Sono bastate due generazioni, quella tra gli anni Cinquanta e i Sessanta e quella tra gli Ottanta e i Novanta, per rimuovere completamente i ricordi drammatici di malattie che per millenni hanno causato lutti infiniti al genere umano. In Sardegna, in aggiunta alle comuni malattie infettive, la malaria era uno dei killer più efficaci e temuti. In altre regioni del mondo non c’era la malaria ma c’erano altri killer che per fortuna non operavano in Sardegna, ma erano altrettanto temibili perché lasciavano margini di sopravvivenza veramente esigui ai loro bersagli. Nei progrediti paesi dell’occidente la medicina era finalmente riuscita a debellare i microrganismi che causavano le malattie più gravi e che occupavano il primo posto come causa di morte nella popolazione. L’uso degli antibiotici e le vaccinazioni preventive erano gli artefici di questo straordinario risultato del progresso della medicina moderna. I lutti del passato diventarono progressivamente pallidi ricordi e in un momento successivo furono quasi rimossi dalla mente degli uomini. Ora i killer sono altri ed il posto in prima fila per quanto concerne le cause di morte è occupato dai tumori e le malattie cardiovascolari. Da qualche decennio si stanno affacciando alla ribalta malattie causate da virus che arrivano dall’Africa equatoriale. Queste malattie sono causate da microrganismi che vengono trasmessi da animali selvatici all’uomo. Non abbiamo elementi per stabilire il momento preciso in cui si sono verificate le prima infezioni umane causate da questi microrganismi trasmessi dagli animali. Il mancato sviluppo di immunità nei confronti della malattia da parte delle popolazioni africane colpite induce a pensare che il passaggio del virus dagli animali all’uomo e il conseguente sviluppo della malattia non può essere molto remoto. Si può comunque ipotizzare che queste zoonosi esistano da molto tempo nelle località nelle quali si sviluppano in quanto nelle stesse località ci sono i serbatoi animali dei microrganismi che ne sono la causa. Queste malattie non erano mai uscite dal luogo di origine, almeno fino ad alcuni decenni fa, a causa dell’isolamento delle comunità nelle quali si sviluppavano e della loro letalità che verosimilmente causava, almeno talvolta, la completa estinzione della popolazione colpite. La malattia più conosciuta e temibile arrivata nel progredito mondo occidentale è l’Aids. Dopo un iniziale sconcerto la ricerca medica ne individuò la causa e mise a punto la terapia. Sebbene non ci sia ancora una terapia idonea ad eliminare definitivamente il virus dell’Aids dall’organismo, oggi si è in grado di rallentare il decorso della malattia e di allungare enormemente la sopravvivenza dei malati. La ricerca sul virus dell’Aids è comunque servita come modello per la ricerca su virus simili ed ha abbreviato i tempi di studio e la ricerca di provvedimenti terapeutici per affrontare le recenti epidemie di ebola. Naturalmente i possibili scenari di una epidemia di ebola sono profondamente diversi in rapporto alla regione di sviluppo dell’epidemia. E’ altamente improbabile che nei paesi dotati di una sanità organizzata e tecnicamente avanzata si assista a scenari epidemici simili a quelli del passato. Purtroppo questo si sta verificando da alcuni decenni nei paesi di origine della malattia, cioè nell’Africa equatoriale e subequatoriale. Ebola è il nome di un fiume che scorre nella Repubblica Democratica del Congo. E’ in un villaggio situato in vicinanza di questo fiume e, contemporaneamente, in una regione remota del Sudan, che nel 1976 si verificarono due focolai umani della malattia che oggi viene indicata come Malattia da Virus Ebola e che inizialmente, quando ancora non si conosceva l’agente etiologico, fu inclusa in un gruppo di malattie causate da virus diversi che veniva chiamato genericamente col nome di gruppo delle febbri emorragiche. Ebola è un virus a Rna a singola elica ed a polarità negativa, cioè un retrovirus, che replica con un meccanismo simile a quello del virus che causa l’Aids. Il serbatoio naturale del virus sono animali selvatici e tra questi le attuali evidenze indicano come il candidato più probabile il pipistrello della frutta chiamato Pteropodidae. La malattia è una zoonosi, causata da un virus che si trasmette da un animale all’uomo. Si può sviluppare anche in altri primati come scimmie, gorilla e scimpanzé quando vengono infettati da Ebolavirus, che possono trasmetterla, a loro volta, all’uomo. In una comunità nella quale un componente contrae la malattia la sua trasmissione diventa interumana e dà origine all’epidemia. Il virus è molto labile e ha vita dura fuori dagli organismi che invade. I comuni disinfettanti lo inattivano in pochi minuti. Il contagio avviene attraverso il contatto diretto coi malati, coi morti e col materiale che proviene da queste fonti: saliva, feci, vomito, sangue, lacrime. Sembra che il virus non si trasmetta per via aerea. Il contagio non avviene da parte dei malati che si trovano nel periodo di incubazione ma solo dopo che gli stessi sviluppano la malattia, indicata dalla comparsa dei primi sintomi. Una volta che il virus penetra nell’organismo invade le cellule di tutti gli organi. Le cellule in rapida moltiplicazione sono quelle che subiscono in breve tempo i danni maggiori, in particolare le cellule deputate alle difese immunitarie, specie monociti, e le cellule dell’endotelio vascolare. La penetrazione del virus all’interno della cellula causa la distruzione del sistema immunitario e l’alterazione del sistema della coagulazione sanguigna. Dopo il contagio l’incubazione va da 3 a 21 giorni. La malattia inizia con la comparsa improvvisa di febbre, intensa astenia, dolori muscolari e faringodinia. Dopo qualche giorno compaiono vomito e diarrea, arrossamento delle congiuntive e un esantema maculo-papuloso con la caratteristica della porpora palpabile. In poco tempo si arriva all’insufficienza renale ed epatica e ad emorragie interne diffuse. La diagnosi clinica si pone solo in base a criteri epidemiologici, come per la comune influenza, in quanto, soprattutto nelle prime fasi della malattia, i sintomi non sono specifici e sono quelli che compaiono nel corso di qualsiasi altra malattia infettiva. Solo gli esami di laboratori possono dare la conferma diagnostica. Gli esami di routine sono tutti alterati: l’esame emocromocitometrico, parametri di coagulazione, enzimi empatici ed esami di funzione renale. La prognosi della malattia è sempre grave e riservata. Oggi il tasso di mortalità (numero di morti in rapporto al numero di malati) è di circa il 50%. Nelle epidemie del passato il tasso di mortalità andava dal 25 al 90%. La prevenzione si attua alla stessa maniera di tutte le altre malattie infettive cioè adottando tutti i provvedimenti per impedire il contatto diretto coi malati, coi loro umori ed escrezioni e col materiale infetto. L’isolamento dei pazienti è pertanto indispensabile per impedire il contagio ed i contatti devono essere effettuati solo da operatori specializzati che operino con la precauzione del caso. Una parte dei pazienti affetti da ebola, che si aggira attorno al 50%, guarisce spontaneamente. Allo stato non esiste una terapia specifica della malattia. I provvedimenti terapeuti si limitano al controllo dei sintomi e a supporti generici quali la correzione dello squilibrio idro elettrolitico sempre presente in questi pazienti e alla terapia con antibiotici delle infezioni opportunistiche che accompagnano sempre la malattia a causa della distruzione del sistema immunitario. Finora sono state impiegate in via sperimentale, due tipi di terapia. La prima si basa l’uso di un cocktail di anticorpi monoclonali. Questa si è dimostrata estremamente efficace in quanto tutti i pazienti trattati con la stessa sono guariti. La seconda si basa su farmaci che interferiscono con la replicazione del Rna virale. I risultati di questa terapia non sono stati ancora divulgati. Sono in studio vaccini: alcuni sono arrivati alla fase di sperimentazione
umana. Uno di questi vaccini è frutto della ricerca italiana.
MALATTIA DA VIRUS: EBOLA. IL MONDO ULTIMAMENTE HA DISTOLTO L’ATTENZIONE DA UN CATACLISMA ANCORA MOLTO ATTIVO
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