Un racconto degno delle pagine struggenti dell’intramontabile “Cuore” di De Amicis, dove la protagonista in questo caso è la giovane donna sarda Luisetta Piras di Samassi, che dalla stanzetta della cittadina del Medio Campidano ridiede il sorriso a oltre seicento famiglie sarde. Dopo la fine della seconda guerra mondiale la serenità non arriva repentina. L’Italia è libera, ma le poche navi da guerra che giungono a Cagliari e gli aerei che atterrano a Elmas o a Monserrato portano poche notizie, e tutt’altro che precise. Tanti sono i prigionieri degli Alleati, tanti sono coloro che cercano di rientrare in Sardegna con un mezzo di fortuna ma rimane la necessità di comunicare con la famiglia, almeno far sapere ai propri cari della fortunata sopravvivenza. Come fare? Anche chi sa leggere e scrivere non ha alcuna possibilità di inviare neppure una cartolina. L’unico spiraglio di luce in fondo al tunnel è Radio Vaticana. Anche la giovane Luisetta aspetta il fratello ventiseienne bloccato in qualche zona imprecisata della Penisola, dove la fine del conflitto bellico lo aveva sorpreso. Improvvisamente però a casa Piras un parente porta una lieta notizia “Giuseppe è vivo! Lo ha detto Radio Vaticana!”. L’emittente romana, infatti, subito dopo la guerra, si preoccupava di diffondere quotidianamente il programma “Messaggi per la Sardegna”. Sono i giorni di un’umanità in ginocchio: il pane bianco è considerato un bene voluttuario, il latte è concesso ai malati gravi e davanti a privazioni inenarrabili procurarsi una vecchia radio è realtà oltre la scienza. Il senso di debito di Luisa verso quella sorte che le ha restituito l’amato fratello sarà tale da superare anche questo scoglio: procurata una radio diventò la portavoce dei messaggi di quei sardi partiti per il fronte e incapaci di comunicare con i propri cari in preda all’angoscia. “Qui Radio Vaticana”: dalle 18 alle 18 e 30, per quattro mesi la giovane donna capta e ordina i messaggi dell’emittente, segnali disturbati e quasi incomprensibili che tuttavia non le impediscono di farsi rapida intermediaria tra i dispersi sardi e le famiglie. Ogni altro collegamento era interrotto, la posta non funziona più: l’ardimentosa Luisa annota con carta e penna i segnali delle onde corte 50,26. Le comunicazioni provengono da tutto il mondo, dai campi di prigionia più lontani ai vari fronti di guerra, poche parole che la studentessa trascrive diligente. Grazie al paziente e incommensurabile lavoro di Luisa centinaia di mamme riuscirono a riavere la speranza di riabbracciare i propri figli. Il primo: “Iglesias. Alla mamma Falchi Lucia dal figlio Severino, internato a Nairobi. Numero di Matricola 35243”. Brevi missive che i soldati inviano alle famiglie per dichiarare la propria esistenza. Anche lo scrittore Giuseppe Dessì ricevette da Luisetta il messaggio dei propri familiari bloccati a Roma. Molti furono i segni di riconoscenza verso il prezioso aiuto offerto dalla ragazza e il suo grande capolavoro di dolcezza che si schermiva quando la si osava definire una “santa”. Certamente custode eccellente e incarnata della nostra memoria storica.
* La Donna Sarda