Le lunghissime estati negli stazzi assolati della gallura erano per me, cittadino di mare, un momento bellissimo. Era ritornare indietro, fermare gli attimi della città. Perchè nello stazzo non c’era l’acqua corrente ma il pozzo vicino casa, non c’era la luce ma la lampada a gas che nonna ordinava di accendere solo dopo il tramonto. Erano momenti inenarrabili, giornate lunghissime dedicate al gioco in mezzo alle sughere, tra le arnie e le angurie. Ma lo stazzo rappresenta per me, soprattutto, il sapore non più ritrovato da nessuna parte: quello del latte appena munto. Spiegarlo è praticamente impossibile. Si scendeva con mio nonno a “lu vaccili” dove le mucche attendevano pazienti. Lui prendeva uno sgabello rigorosamente in sughero, si sedeva vicino alla prima mucca, metteva il secchio – “la pinta” – sotto le mammelle e cominciava con maestria a tirare. La mucca non si muoveva, il latte cominciava a scendere e la pinta diventava gonfia di schiuma. Poi si saliva subito a casa dove minnanna attendeva. Il latte serviva per fare il formaggio, la ricotta (lu brocciu) ma due litri venivano messi da parte per la colazione. Il sole cominciava a scaldare il granito e il latte bolliva con tantissima panna (lu pigiu). Ecco, provate ad immaginare quell’odore forte di latte e quel sapore denso. Provate ad immergervi il pane fatto in casa con il grano duro (lu trigu ruju) e la melassa ottenuta dal miele cotto con le arance (l’abbamela). Ritornerete bambini. Perché il latte ha attraversato tutta la nostra infanzia ed adolescenza. Ci sono state pause legate alla paura di essere derisi se si beveva il latte. Ma quel liquido bianco non ci ha mai abbandonato. Lo abbiamo prima acquistato nelle latterie di città, sfuso: era buono ma non aveva lo stesso sapore di quello dello stazzo perché veniva scremato. Poi lo abbiamo acquistato nei cartoni a forma di triangolo, in buste di plastica bianche e molli. Infine nei cartoni che sono arrivati sino ai giorni nostri. Quel latte dovrebbe avere un prezzo alto, perché è frutto di sacrifici, perché è miscela di sapori e rappresenta la vita. Ci siamo nutriti nei nostri primi mesi di vita solo ed esclusivamente di latte. Quel latte, invece, è pagato a chi lo produce 36 centesimi al litro. E viene rivenduto a circa un euro e venti centesimi. Che dignità c’è dietro questa storia? Come posso accettare che quella scatoletta acquistata al supermercato, quel litro di latte costa meno di tre caffè in un bar? Come è stato possibile tutto questo? La chiamano deflazione. Ovvero il gioco al massacro. C’è molta concorrenza sul latte. Addirittura il latte lituano viene importato e giunge in italia a circa 26 centesimi al litro. Ma non passa tra tutti i controlli di quello nostrano. Una grande catena di alimentari ha subito pubblicizzato il latte: ha detto che è solo italiano e che è pagato a 36 centesimi al produttore e non 26 come in Lituania. Capite cosa è la deflazione? E’ un male oscuro e terribile che gioca alla fonte della produzione. Soprattutto agricola. Se tu vuoi un aumento di prezzo io passo ad altri, passo ai lituani. Quindi guadagni poco ma guadagni. I produttori cominciano a ribellarsi. E hanno milioni di ragioni. Io credo, davvero, che il prezzo del latte sia molto basso: meglio è soprattutto molto basso il prezzo che viene pagato al produttore. Dovremmo cominciare a cambiare la nostra cultura quando passiamo davanti alle pile immense di “offerte speciali” che troviamo quotidianamente nei nostri supermercati. Dietro quelle offerte c’è la distruzione della dignità delle persone. In Italia si chiudono ormai quattro stalle al giorno. Capite? Quattro stalle. Ribelliamoci e proviamo ad acquistare solo ed esclusivamente latte di qualità e italiano. E’ vero, è un piccolo sacrificio. Molto piccolo, però. Meno del prezzo di tre caffè al bar. Ce la possiamo fare. Poi, per quanto riguarda il sapore….. Beh, quello è un’altra storia e ha un prezzo diverso e fa parte della malinconia. Però aiuta a ricordare la bellezza di un bel bicchiere di latte.
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È veramente una vergogna pagare 36 centesimi un litro di latte ai contadini..non possono starci dentro…E per forza che chiudono 4 stalle al giorno.Si dovrebbe dare almeno 20 centesimi in più al produttore.compresi i pastoti sardi.a noi consumatori non influire più di tanto sulle nostre tasche. Quindi una tassa o accise di 20 centesimi al litro,compreso quello importato, da dare però ai produttori italiani..sarebbe un bel l’aiuto ai contadini e si impedirebbe di creare altra disoccupazione..I nostri politici cosa fanno? .per favore prendete in mano la situazione è legiferare non merito. Grazie.