di Natascia Talloru
Questo volto lo conosco. Occhi scuri. Sopracciglia folte. Sorriso sardonico penetrante che trapassa la fitta aria della città. Massimo Demelas è uno dei miei tanti incontri avuti in quel crocevia di vite milanesi, nella città di tutti e di nessuno, la città che in Italia forse più delle altre apre un passaggio col resto del mondo. E’ facile riconoscersi quando ti porti dietro un bagaglio così importante, radicato ed atavico, siglato in ogni angolino del tuo essere al punto da riflettersi pure nei muscoli facciali, così immobili e severi, duri come la roccia sarda. Poi di nuovo incontrarsi a Nuoro alla Sagra del Redentore. Ritrovarsi tra la folla ciascuno col proprio costume tradizionale e ridere attoniti, sorpresi quasi a vederci per un istante in quelle vesti non più milanesi. A distanza di quasi un anno ho ancora il suo volto davanti, in un bar della Stazione Garibaldi; l’uno di fronte all’altra, cerco di strappargli qualche estratto della sua vita con l’intento di capire il suo universo personale e raccontarlo. In fondo sono queste le storie che ci piacciono, le storie di gente comune, di ragazzi come noi in cammino per chissà dove su questo terreno della crisi che tenta di minare i nostri sogni e le nostre fondamenta. Sappiamo da dove arriviamo ma non sappiamo dove andremo disse qualcuno; ecco che appunto il nostro senso di appartenenza si fa preponderante e ci potrebbe indicare la via. Noi sardi sappiamo da dove arriviamo e questo potrebbe bastare forse per rivolgere lo sguardo verso il futuro con ottimismo, ragion per cui ho deciso di ritagliare uno spazio per Massimo Demelas. Classe 1987. Studi classici al liceo di Nuoro. A 19 anni parte a Pesaro per studiare Comunicazione Pubblicitaria presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Urbino. Dopo una parentesi pavese, quindi giunge a Milano dove si specializza in Comunicazione Visiva presso Arte&Messaggio. Dopo aver collaborato con alcuni studi di pubblicità in qualità di grafico, inizia la sua attività come reporter, fotografo e blogger.
Allora Massimo sei un grafico, reporter, fotografo, blogger. Quale ruolo senti più tuo? Il mio desiderio più grande è quello di riuscire a raccontare una storia. Che sia con le parole o con le immagini è indifferente. Raccontare una storia ed emozionare. Un compito difficile, ci provo ogni giorno. Scrivendo articoli sul blog che gestisco, realizzando reportage di eventi, curando diversi progetti fotografici. Se devo trovare una categoria in cui identificarmi, forse direi fotogiornalista.
Che rapporto hai con la fotografia ed in generale con il mondo della comunicazione? La fotografia è stata il mezzo che ha schiuso il guscio in cui vivevo e mi ha dato l’opportunità di imparare a conoscere la realtà che mi circonda. Quindi è per me molto importante, perché grazie alla fotografia ho trovato il coraggio di scrivere, partecipare a diversi eventi ed entrare in contatto con tante persone. Tutto questo mi ha fornito l’energia necessaria alla realizzazione del progetto fotografico “Strong. La forza delle maschere sarde” che ho avuto modo di esporre in diversi spazi a Milano come il Cinema Anteo, Arte&Messaggio, Palazzina Liberty, Spazio Tian Qi, Auditorium di Vimodrone e Teatro Dal Verme.
A proposito della mostra “Strong. La forza delle maschere sarde”, cosa ha rappresentato per te? Attraverso quegli scatti, fatti a Nuoro durante la sfilata delle maschere del Carnevale sardo in occasione del Redentore, ho voluto mettere a confronto il mondo animale ed umano. Soprattutto in una foto mi riconosco: un bambino biondo incupito dalla maschera, la semplicità del bambino che si scontra col carattere rude degli animali. Le ho rese ancora più scure appositamente; dal punto di vista tecnico questo potrebbe risultare un difetto ma istintivamente ho sentito che contrastare e renderle cupe poteva rappresentare un collegamento più diretto a Nuoro, all’aspetto “strong” di Nuoro e anche della Sardegna intera per l’appunto. Una Sardegna confinata, dove non esiste l’incertezza e il dubbio, ma esiste la certezza. O è bianco o è nero, a differenza di Milano che grazie anche alla sua posizione geografica risulta più accessibile e quindi può acquisire varie sfumature.
Cos’hai appreso da questa esperienza ? Che la Sardegna non è affatto conosciuta, perlomeno non nella sua autenticità. A Milano spesso ignorano cosa sia esattamente il ballo sardo; idem per il canto a Tenore. Durante la mostra mi è capitato mi dicessero – “Ma quello è vestito da spazzacamino o da diavolo?”. La maggior parte delle persone ignorano le nostre tradizioni, se non qualche turista che si è spinto oltre. Uno dei pochi che ha capito subito di cosa si trattasse, è stato Vinicio Capossela. Una sera, durante l’esposizione delle foto al Cinema Anteo, c’è stata la presentazione del suo film-documentario, lo stesso giorno dedicato all’incontro con l’artista dove spiegavo ai visitatori le foto; appena le vide esclamò: – Ma quelle son le maschere del Carnevale sardo! È stato curioso ed onorevole per me, ma soprattutto mi ha fatto piacere notare che lui conosceva una parte della nostra cultura.
Secondo te come mai ancora oggi si conosce poco della Sardegna? Dal mio punto di vista, ci son problemi di comunicazione, intendo dire che comunichiamo male, facciamo passare all’esterno sempre le stesse cose. Forse i sardi danno per scontato che sia chiaro a tutti cosa significhi Sardegna. E’ importante secondo me comunicare fuori l’esistenza di un Carnevale differente ed unico, così come tutto il resto, perché negli anni passati oltre al concetto di mare e alle vacanze da sogno non è arrivato niente o quasi. Inoltre c’è anche un problema interno secondo me, nel senso che se qualcuno prova a proporre altre iniziative, con l’obiettivo magari di cambiare la modalità con cui si comunica, capita pure che ci facciamo la guerra tra noi: l’invidia, la gelosia, la paura di fare qualcosa di nuovo per un determinato motivo non ci permette di creare sinergie; è come un cancro che ci mangia lentamente e che ci mantiene chiusi e nel tempo assuefati. Quando vuoi fare qualcosa scatta in automatico quel discorso di sottofondo nell’ambiente che ti sta intorno secondo cui ci sia sempre qualcuno più bravo di te; questo ti frena e alla fine ti convinci che non ne vale la pena provare. Oggi sono fiducioso però, ci son dei validi motivi oramai per pensare che la Sardegna stia superando certe barriere culturali e sociali ed abbia raggiunto pienamente la consapevolezza del suo valore. Abbiamo un sacco di qualità da mettere in campo. E’ arrivato anche il nostro tempo.
Quindi secondo te è la giusta comunicazione la chiave di volta che può permettere una maggiore conoscenza della Sardegna al di fuori dai nostri confini e non solo per il mare giusto? Esattamente. La mia filosofia è non dare niente per scontato, spiegare tutto e far capire le diversità storico culturali col resto d’Italia e del mondo.
Quali dovrebbero essere secondo te i punti di forza di ognuno per una crescita professionale e personale lontani da casa, dove le difficoltà appaiono maggiori? Credo che per superare le difficoltà dovute al vivere lontano da casa, sia necessario capire le proprie origini, non dimenticarle ma anzi valorizzarle. In Sardegna inoltre si nota parecchio l’appartenenza ad un luogo specifico: io sono fieramente di Nuoro, un’isola nell’isola con confini netti e definiti; tu sei fieramente di Tonara invece con altri confini, altra identità. Sono molto grato di essere nato in una città come Nuoro, che penso ti insegni ad arrangiarti, a sognare, a progettare. Spesso tante cose che desideravo non c’erano. Per questo fin da piccolo ti abitui a ragionare, a studiare, a proiettarti nel futuro. Tutte cose che ti aiutano ad apprezzare una città come Milano che comunque riesce ad offrire tanto. Puoi conoscere gente da ogni parte del mondo. Ma se prima non ti sei fatto una bella gavetta in un centro più piccolo, con tutti i pro e tutti i contro, forse non si riuscirebbe a capire l’importanza di una città come questa. Insomma, penso che per capire e vivere al meglio Milano, sia necessaria una bella fucina di idee e progetti come Nuoro. È fondamentale imparare ad usare l’immaginazione. Cosa difficile se hai già tutto. Inoltre la caparbietà penso sia fondamentale; se una persona aspetta non ottiene mai niente. Io ragiono così, domani è un altro giorno e quindi cerco di cogliere tutte le occasioni possibili oggi.
Quali sono le differenze prevalenti tra Nuoro e Milano secondo te? Tempo fa avevo scritto un articolo proprio su questo argomento: ”Cosa mi ha colpito di Milano? Che nessuno è di Milano. Siamo semplicemente cittadini. Ovvio, ci sono anche i milanesi doc. Ma sono specie rara. E sono contento di essere un semplice cittadino, di poter giocare le mie carte. Così, ci provo. Devo ammettere che negli altri luoghi in cui ho vissuto, ero sempre “non di Pesaro”, “non di Pavia”. Esterno, fuori, forestiero. A Milano invece sono io. Forse è anche per questo che la trovo una bella città.” Le differenze sono tante. Non è semplice riuscire a riassumerle in poche righe. Sicuramente Nuoro è una città molto vivibile, dove puoi raggiungere tutti i posti in poco tempo. Milano è una metropoli. Ogni spostamento richiede organizzazione e tempo. Nuoro però essendo più piccola, offre meno opportunità. Se vuoi fare qualcosa che sia artistico o anche imprenditoriale, non puoi permetterti di essere un “signor nessuno” , devi necessariamente avere una tua storia, un tuo percorso. Questo non vuole essere una critica ma semplicemente un dato di fatto. Milano offre tanto, forse anche troppo, come dicevo prima, se non hai imparato a sognare, a proiettarti nel futuro, cosa che invece ti insegna un centro più piccolo, rischi di assuefarti al mondo che ti circonda e non dare molta importanza a tante cose che invece meritano di essere vissute. Eventi culturali, festival di cinema, mostre, esposizioni. Sono tutte cose che a Milano sono ordinarie. Ma per chi le ha sempre desiderate e sognate, diventano straordinarie.
Ritieni necessario questo distacco dalla propria terra?Intendo dire, spesso chi sta in Sardegna ha difficoltà ad emergere e a valorizzare quello che il posto offre. Cosa ne pensi? Penso che un’esperienza fuori dal luogo in cui si è cresciuti, se possibile dal punto di vista economico, vada fatta. Ti insegna tanto. In primis a riscoprire te stesso, le tue radici. Abitare fuori dalla Sardegna ti fa vedere tutto con un occhio più critico e forse più costruttivo. Inoltre penso che sia fondamentale scoprire altre culture per allargare i propri orizzonti.
A Milano hai partecipato ad aventi importanti, ti senti ormai parte di questo ambiente? Ho partecipato a diversi eventi alcuni come fotografo altri come artista. In tutte le occasioni ho imparato tantissimo. E spero di imparare ancora. Quando realizzo reportage per esempio, incontro altri fotografi professionisti. E questo è fondamentale perché impari a “stare sul pezzo”, respiri lo stesso clima di attesa per un ospite importante, vivi le stesse emozioni. Spesso devi anche riuscire ad importi, a “sgomitare” per trovare una tua posizione favorevole agli scatti. Ma fa parte del gioco e va bene così. Questo ambiente è complicato: riesce a sprigionare tantissima adrenalina, curiosità, voglia di capire il dietro le quinte degli spettacoli. Ma contemporaneamente, devi far fronte ad una concorrenza agguerrita. Ma questo non può che essere uno stimolo.
Sarebbe bello se gran parte dei sardi che vivono fuori, potessero tornare un giorno e portare tutto il loro bagaglio di esperienze con sé, portare il loro contributo per l’innovazione della Sardegna preservando le proprie radici. In fondo tutti gli emigrati la desiderano, la sognano e la pensano a distanza con estrema nostalgia. Pensi di riuscire a tornare? Sarà possibile dopo aver acquisito abitudini di una metropoli? Sicuramente abitando fuori hai maggiori possibilità di accumulare esperienza ed accrescere il tuo bagaglio culturale. E questo è positivo perché porterebbe in Sardegna una ventata di novità, freschezza di idee e nuovi orizzonti. Indubbiamente lo sbalzo da una metropoli ad una realtà più piccola non è semplice, ci sono i pro e i contro. Di Milano mi mancherebbe la sua libertà negli spostamenti, l’ essere in qualche modo collegato con il resto del mondo, ma anche la varietà di colori e persone. Se un domani ci saranno valide opportunità le valuterò molto volentieri. Per adesso vivo il posto in cui abito, assorbendo come una spugna tutto quello che mi può offrire.
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