CONFERENZA AL CIRCOLO SARDO DI MILANO CON GAVINO CONTU E FRANCESCO COSSU: IL PREMIO LOGUDORO DI OZIERI, OLTRE TRENT’ANNI DI POESIE E DI LIMBA SARDA


di Sergio Portas

Parafrasando quel tal Manzoni, che del liceo Parini fu prima alunno poi professore, e che credette opportuno di dover recarsi in Arno a sciacquare i panni lombardi del suo pensare e scrivere di conseguenza, Giuseppe Soddu, preside di professione, dalla natia Berchidda, il Limbara dei graniti candidi a farle da quinta, presa casa in riva del più prosaico Lambro dove conta di risciacquare i suoi, va ad occupare la cattedra dirigenziale di questa scuola milanese, tra le più prestigiose di sempre del capoluogo meneghino. Liceo classico per antonomasia, fucina della classe dirigente di Milano, che la borghesia compradora, prima anche nobile (diplomati qui: Carlo Cattaneo, Cesare Correnti, Luciano Manara) ci ha sempre spinto a studiare i suoi rampolli. Che da grandi sono diventati Ratti, papa Pio XI, e Streleher, quello del “Piccolo teatro”, e Gadda Carlo Emilio, per me il più grande scrittore del novecento italiano, fino a Zucconi Vittorio, per me il miglior giornalista che sfoggi “Repubblica” e con lui Walter Tobagi, insieme nel giornale scolastico “La zanzara” (celeberrimo per cosiddetto “scandalo sessuale” dei suoi reportage nei sessanta pruriginosi anni democristi). Come arriva, Giuseppe ribalta la decisione degli organi collegiali che l’anno scorso avevano decretato l’apertura di una sezione di liceo scientifico, tentativo estremo di scongiurare l’emorragia degli iscritti che ha portato la scuola ad annoverare poco più di seicento ragazzi. E questo gli vale la prima pagina di “Repubblica -Milano” e un paginone interno di Tiziana De Giorgio che gli fa dire come lo studio della cultura classica sia antidoto tra i più efficaci per darsi strumenti utili a navigare in questi climi recessivi reiterati, di una crisi economica che pare senza fine alcuna. Giuseppe Soddu è una specie di  caterpillar che tutto spiana degli ostacoli che si mettessero in mezzo ai progetti che ha. Questo pomeriggio domenicale è qui al circolo culturale sardo di piazza Santorre di Santarosa assieme a due ozieresi di razza, Gavino Contu e Francesco Cossu, con loro ha lavorato e prodotto un’antologia che titola :”Premio Logudoro 1982/2011. 30 Annos De Poesia 30 Annos De Limba Sarda”. E davanti a un pubblico non proprio numerosissimo né, ahimè, giovanissimo, tutto ci dicono del premio che Ozieri ha istituito per dare lustro alla poesia scritta in logudorese. E’ Gavino che inizia a raccontare con la sua voce da basso (canta anche nel famosissimo coro cittadino, che ha fondamenta negli anni ’50): “Nel 2008, quando mi hanno fatto presidente del premio Logudoro, la prima cosa che mi è venuta da dire è: dobbiamo fare un’antologia. E nell’aprile 2012 a Ozieri un convegno ha presentato un quaderno antologico con la  poesia prima classificata degli ultimi trent’anni, due anni più tardi quest’opera che presentiamo qui. E se era facile scegliere le prima trenta, non altrettanto è stato cogliere il meglio delle altre tremila e oltre che avevamo in archivio. Le regole che si erano dati i padri fondatori, quei criteri che si rifacevano a “sos cantos de poesia a bolu”, per cui, dato un tema obbligato, i poeti in gara dovevano improvvisare l’uno contro l’altro dinanzi a un pubblico appassionato che avrebbe giudicato quale premiare, sono rimasti praticamente immutati nel tempo. Dal 2008 c’è una sezione dedicata alla poesia religiosa ( cosa che ha reso possibile estendere la partecipazione anche di poesia scritte in Campidanese, Sassarese, Algherese e Tabarchino). E quando Giuseppe Soddu era ancora “il mio preside” all’istituto Enrico fermi di Ozieri per promuovere la lingua, la letteratura della Sardegna, abbiamo dato vita a un progetto che avrebbe coinvolto tutte le scuole superiori dell’isola: “Camineras on line”, che si suddivideva in quattro sezioni: poesia , narrativa, traduzione e tradizioni delle comunità sociali. La lingua sarda si tutela così”. “Saludu e trigu”, esordisce  Francesco Cossu, che continua a narrarci di questo “cuncursu poeticu a tema impostu”, perché “su poeta, è testimonziu de su tempus”. Il premio Logudoro, con la sua scelta di campo, in un certo senso chiudeva agli altri “dialetti”, ma forse anche per questa decisione ancora oggi possiamo leggere e capire quanto scritto in “su condaghe” di San Pietro in Silki: nel 1180 è la badessa Massimilla che ricopia carte precedenti relative alla consistenza patrimoniale dell’abbazia benedettina fondata a Sassari intorno al 1065. Per volontà del suo signore il giudice Gonario II di Torres… “ e de sos maiorales de Locudore”. Ma da dove nascono gli innumerevoli schemi della poesia orale sarda? Se i gosos bizantini hanno fatto da apripista, tutti schemi con il ritornello e “sa torrada”, l’ottava è di provenienza castigliana, ma poi si useranno quartine e sestine e terzine. Se i versi sono sempre di undici sillabe, le combinazioni delle rime e delle parole sono innumerevoli e dipendono ovviamente dalla maestria del poeta che le usa. I poeti sardi non seguono la metrica italiana, se ne fregano dei dittonghi e dei trittonghi perché “sa cantone” nasceva per essere cantata. Davvero c’è da chiedersi come Ozieri, poco più di diecimila abitanti, abbia pervicacemente portato avanti per decenni un progetto di salvaguardia della cultura sarda così nobile. Che ci sia lo zampino di quei reperti prenuragici ritrovati nella grotta detta di San Michele, dal centro del paese prendete per il campo sportivo e l’avrete davanti, da lì venne fuori roba datata tra il 3200 e il 2800 a.C., i vasi  così finemente lavorati e forniti di tripodi, con motivi geometrici incisi elegantemente sull’argilla, colorati con ocra rossa non si erano mai visti in Sardegna. A questa cultura di San Michele ( o di Ozieri) sono legate le “domus de janas” di tutta l’isola, dice Lilliu che è  lì sono le origini dei modelli di sviluppo della Sardegna attraverso i secoli, modelli ricalcati sul tipo di società del villaggio. Giuseppe Soddu prima ci dice della nutrita schiera di alunni sardi che c’è nel suo liceo, orgogliosi di esserlo e tutti con vivo interesse per la lingua sarda. Poi riprende il filo conduttore del discorso: poesia e limba, l’utilizzo della lingua per fini espressivi. Lui, a cui tocca di scegliere il “tema” del premio dal 2008 dice che, se ben scelto, il tema imposto può sprigionare creatività. Cita Pietro Casu, quando afferma, con lui, che la poesia sarda deve essere in rima. La scelta del logudorese non denota una delimitazione geografica, ma  linguistica, come lo fu il fiorentino di Dante e Petrarca e Boccaccio. In essa sono scritti la maggior parte dei condaghes, la Carta de Logu. Recita alcuni versi dell’ozierese Vittorio Sini, stampati sulla seconda di copertina dell’antologia, li dice di “leggerezza profonda”: “Oh poeteddos ruzos chi cantamus/ cun sentimentu sa paghe ‘e su mundu!/ Faghimus paris unu ballu tundu/ in onore ‘e su cras chi desizamus!”, per i non sardi presenti traduce:  “ruzos”, agresti, cantiamo la pace del mondo in onore dei desideri che vogliamo per il domani. Se i temi che si sceglievano riguardavano espressamente la Sardegna, la parola (la lingua sarda) , la poesia, adesso ve ne sono anche di attualità, anche internazionale. E, per un passato che può vivere nel futuro, si augura che rimanga la rima, il tema, il logudorese. Il logudorese che è un sentire, un luogo di Torre, Turris, Nuraghi, il termine si riferisce alla Sardegna tutta. E se una volta i sardi non avevano una lingua comune che tutti, ma proprio tutti, capissero, tanto che Pietro Casu quando tradusse in sardo la “Divina Commedia” dell’Alighieri lo fece “pro s’ummile zente de Logudoro”, adesso tutti i sardi oggi usano la lingua italiana. Altro che lingua comuna! Dovrei dirvi di due dei presenti che si mettono a cantare le poesie prese dall’ antologia; dei ricordi di Gavino Contu,  gli dico che sono guspinese, di quando giocava portiere nell’Iglesias e nel ’63 o giù di lì vennero a Guspini (campo in erba) a vincere due a zero. Del maestro di scuola Fran
cesco Cossu (40 anni di servizio) che 15 anni fa con i suoi alunni ha vinto, sempre a Guspini, il premio di teatro giovani. E che, a sentire lui, la guardia scelta dell’imperatore di Bisanzio (formata da sardi- shardana) cantava gosos in sardo. Ma voglio lasciarvi con il preside Giuseppe Soddu che, visto il nuovo gravoso incarico, va a correre al parco Lambro “solo due volte alla settimana”, che si deve alzare al mattino alle sei, la porta del suo ufficio sempre aperta per alunni o docenti. Mi dice che quest’anno vuol far correre la “Stramilano” (15 chilometri) a tutto l’istituto, alunni e professori e personale non docente e genitori compresi, una maglietta con su scritto “Liceo Parini”. Scommettiamo che finiscono in prima pagina sul “Corriere della Sera”?

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