Conversando con l’amico Bruno Furcas, mi chiede. “Vale, ti andrebbe di scrivere un articolo per Tottus in pari sull’evento che ci sarà sabato all’Istituto Levi, per far conoscere una persona molto più che valida?” Io non ho potuto che accettare, chiaramente, malgrado non lo conosca. La descrizione fatta da Bruno è stata talmente tanto efficace, che mi trovo qui a scrivere per lui e per Tottus in pari. Mi metto in contatto con il diretto interessato: si chiama Christian Castangia. Una concisa ma chiara e ben inquadrante telefonata, quella fatta, per raccogliere le informazioni più sottili, di cui la penna necessita per far sì che uno scritto non risulti sterile e buttato su carta tanto per… Effettivamente, fidandomi di quelle percezioni che si intuiscono a pelle, Christian è proprio come mi era stato descritto agli albori. Un conto è raccontare di una persona, un altro è saperlo descrivere grazie al tono della voce, al timbro che utilizza nell’accentuare dettagli durante la conversazione, comprenderne i precetti, inclinazioni e volontà. La voce fa tanto, i termini utilizzati ne compensano l’equilibrio. Una persona pacata ma allo stesso tempo tenace, per quel che fa: dalla parte del più debole o meglio delle persone speciali. Una persona che con le giuste parole sa dove fissare il punto e da lì creare un insieme di diramazioni che spaziano tra le tematiche più sensibili della società. Così come mi ha detto: “Sono in continuo cambiamento”, diciamo che però le idee ben chiare di base ci sono eccome. Non importa quali sfaccettature si affrontino, a mio avviso, purchè siano per una giusta causa. Credo che queste siano le mosse giuste da compiere affinchè si sappia di cosa stiamo parlando. Christian è una di quelle persone che degli eventi e imposizioni mediatiche da scalpore e notizia, non sa che farsene. Azione è un sostantivo che richiama il suo verbo di origine, ovvero azionare, mettere in movimento, avviare, far funzionare. Ecco…ben vengano le belle morali, purchè esse vengano messe in azione. Così come Christian fa. Quindi, lettore, ecco a te Christian Castangia. Ciak! Azione!
Christian Castangia è nato ad Iglesias il 26 dicembre 1974 conseguito il diploma di scuola superiore nel ‘94 decide di iscriversi all’Università di Cagliari in Scienze dell’Educazione si laureerà nel 2001 con una tesi in Storia e critica del cinema “L’individuale e il sociale nei film di Nanni Moretti”. L’anno che precede la laurea (estate 2000) si reca a Roma per conoscere il regista ed intervistarlo personalmente, ma soprattutto, per ricevere da lui il materiale concordato che lo stesso autore gli fornirà per poter adeguatamente argomentare la tesi. Dopo alcuni anni di esperienze lavorative in qualità di educatore professionale nelle case famiglia e nei centri educativi territoriali del capoluogo decide di ampliare ed arricchire la sua passione e indirizzarsi professionalmente verso la fonte dell’ educazione: i bambini. Oggi è infatti insegnante di scuola primaria si è laureato nel 2007 presso la facoltà di Scienze della Formazione Primaria di Cagliari e si è specializzato nelle didattiche aggiuntive per il sostegno. Appassionato e studioso di cinema decide dopo qualche anno di esperienza di utilizzare l’audiovisivo come strumento di rilettura e narrazione delle pratiche educativo-didattiche in campo scolastico. Nel 2010 realizza il suo primo cortometraggio che tratta il tema dell’autismo dal titolo “In una goccia d’acqua” (ispiratosi alla poesia di F.G. Lorca “Il bambino muto”) un documentario che narra una difficile esperienza professionale con un bambino con sindrome autistica, con gravi compromissioni del linguaggio (bambino non verbale) e dei significativi comportamenti problema legati all’autolesionismo. Visti i risultati ottenuti in campo didattico questa esperienza segnerà per sempre il suo dover essere educatore e maestro di bambini, in particolare di quelli con bisogni educativi speciali.
Prosegue dicendo: Per me è molto importante mettere al centro del mio lavoro gli allievi, ancor di più se in loro è presente una specialità sulla quale soffermarsi e riflettere prima di agire, vivo perennemente ponendomi questo interrogativo: “sarò mai alla loro altezza?” Da quando nella scuola è stato introdotto il termine inclusione per definire l’integrazione scolastica io non ho fatto altro che lavorare per promuoverla negli Istituti in cui sono stato, incontrando molte difficoltà e ipocrisie, senza però tralasciare l’interesse primario per cui il mio ruolo è stato istituito quindi facendo valere il diritto allo studio che è quello primario, fondamentale e istituzionale dei bambini.
Parliamo di inclusione in ambito educativo? La parola inclusione è entrata da poco nel nostro sistema educativo e questo è avvenuto, principalmente, per adeguarsi alla terminologia internazionale, ma ancora oggi molti colleghi insegnanti non né hanno appreso l’importanza. L’inclusione deve essere intesa come un’estensione del concetto di integrazione che coinvolge non solo gli alunni con disabilità, formalmente certificati, ma tutti i compagni, con le loro difficoltà e diversità. Oggi, nella scuola italiana, si presta particolare attenzione agli alunni con Bisogni Educativi Speciali, ossia in generale a coloro che per vari motivi, anche temporanei, non rispondono in maniera attesa alla programmazione della classe e richiedono, quindi, una forma di aiuto aggiuntivo. A tutt’oggi cerco sempre di sensibilizzare il più possibile gli stessi bambini e colleghi che incontro nella mia vita professionale perché si concretizzi il valore di far parte di una comunità dove nessuno venga o possa essere escluso. Personalmente vedo gli allievi come delle fonti da dove poter attingere e trovare ispirazione, li reputo una necessità imprescindibile del vero insegnante, l’unica ricchezza che una scuola possieda e per il quale ci è dato il privilegio di istruirli. Noi educatori e insegnanti li dobbiamo assolutamente tutelare da ogni forma di discriminazione e in questo senso dobbiamo esserne l’esempio per trasmettere loro un principio fondamentale: vedere la diversità come una risorsa. Amo misurare le mie competenze soprattutto confrontarmi con nuove realtà perché ho sempre avuto dentro di me una gran voglia di approfondire per crescere professionalmente e adempiere al meglio il ruolo per cui sono stato incaricato: il maestro.
Torniamo alla cinematografia, Christian. Quali sono le altre tue produzioni? Nel 2012 scrivo e dirigo un altro cortometraggio dal titolo “Domani tu” questa volta una fiction, sempre ambientata in una scuola elementare, dove racconto la freddezza, l’irruenza e l’incompetenza di un insegnante che si trova ad operare con una classe costituita oltre che da “bambini bravi” anche da discenti con difficoltà riconducibili ai disturbi specifici dell’apprendimento (DSA), iperattività e attenzione (ADHD) o in generale di carattere cognitivo (ritardo mentale). Un “maestro unico” che si delizia e si compiace delle eccellenze della sua classe, noncurante di situazioni di apprendimento difficili, una vita scolastica dove vengono a mancare interventi pedagogici mirati, strategie didattiche compensative e dispensative per includere tutti i bambini. Gli allievi si esprimeranno attraverso la musica così da scatenare dinamiche condivise da tutti i compagni, suscitando emozioni e scardinando quella routine d’insegnamento non adatta a tutti. Un racconto dove vince l’esperienza, l’emozione; dove quel che provi vale molto di più di quel che sai e sai fare. Alunni che insegnano che tutto quello che è fuori dal comune e di per sé esclusivo, non è brutto e cattivo ma solo diverso e che la diversità arricchisce il mondo. È in questo periodo della mia vita professionale che conoscerò ed inizierà la prima collaborazione con un giovane professionista della mia città, Stefano Zedda, (lui si occupa di video produzioni) al quale affiderò il montaggio dell’intero corto. Soddisfatto di questo nostro risultato egli avrà in seguito, nel 2014 la possibilità di lavorare nuovamente col sottoscritto curando il montaggio di un altro corto da me scritto e diretto “Tutto cambia”. Anche in questo caso è un racconto liberamente ispirato alla vita scolastica dell’allievo che verrà proiettato il 2 aprile dello stesso anno in occasione della giornata mondiale dell’autismo. Lo scopo di tutto è sempre quello di promuovere l’inclusione, mostrare umilmente come è stato possibile realizzarla e come a volte non è semplice farlo, perché è difficile coinvolgere diverse figure professionali, che invece sono necessarie, quando si ha a che fare con l’autismo, per raggiungere un obiettivo significativo. Io non ho fatto altro che documentare filmicamente quanto si è lavorato intorno al bambino perché il suo piano educativo individualizzato (PEI) fosse il più possibile un vero e proprio progetto di vita.
Quale funzioni conferisci, per esempio a quest’ultimo corto? Non vuole essere un filmato che descrive un eroe, anche se ciò che si vedrà abbraccia unicamente la positività del discente, perché l’intento è quello di promuovere l’individuo (l’allievo) nella sua specialità, perché tutto ciò che non è bello da vedere lo si conosce già. Non ho neanche la presunzione di aver raccontato l’unica verità sull’autismo, possiamo definirla una goccia nell’oceano che però, lentamente è solo questione di tempo, creerà le sue onde. Nel filmato si vedranno dei risultati ottenuti mediante l’applicazione del metodo cognitivo-comportamentale attuato mediante il supporto di immagini visive e attraverso diverse figure quali insegnanti, psicomotricista funzionale, psicologa cognitivo-comportamentale, educatrice e assistente di base. Ho deciso di utilizzare questo metodo, non sempre condiviso, perché nella scuola mancano ancora le competenze, la formazione adeguata per saperlo applicare. Sostengo e appoggio tale metodo perché è lo stesso suggerito dalle linee guide dell’Istituto Superiore di Sanità ed anche perché è il medesimo utilizzato nel centro per i disturbi pervasivi dello sviluppo (ospedale Brotzu di Cagliari) dove operano le più importanti figure a livello territoriale e non solo. Mi faccio forte per smantellare una convinzione diffusa tra i miei colleghi, infatti non ritengo che ogni metodo valga l’altro.
Perché l’audiovisivo? Per me l’audiovisivo personalmente è un ottimo strumento per coinvolgere gli allievi (e quindi sensibilizzare) sia della primaria, settore in cui opero, sia degli altri ordini di scuola. Infatti questo cortometraggio è il primo fra tutti, rispetto agli altri che non hanno trovato degli sbocchi se non all’interno dell’istituto in cui sono stati girati, che prenderà più spazio nelle sedi adeguate, grazie al supporto di una cara collega Enrica Ena che ha fin da subito ha voluto credere in me e per la quale riserbo un forte legame di amicizia. Enrica per tutta la primavera del 2014 concretamente promuoverà il mio corto proponendolo soprattutto alle scuole siano esse di ordine superiore ad indirizzo scientifico e magistrale fino ad arrivare alla stessa Università nella quale mi sono formato dedicando una giornata intera di formazione ai neo-laureandi (di scienze della Formazione Primaria) che si prestavano al conseguimento della specializzazione nelle didattiche aggiuntive per il sostegno. Diciamo che lo strumento audiovisivo è anche un’importante testimonianza di raccolta di documenti e se vogliamo di buone pratiche da adottare quando si lavora nell’istruzione. Da quando ho iniziato a lavorare filmando tutto ciò che ruotasse attorno al bambino speciale ho capito anche quanto contemporaneamente il video avesse un valore trasversale per i loro genitori, perché che di solito sono messi nell’ombra, isolati dal contesto e considerati anch’essi diversi dagli altri e a loro volta un po’ esclusi dalla comunità scolastica. Sicuramente non potranno mostrare con orgoglio il quaderno del proprio figlio e quindi il video diventa, come uno stesso genitore mi ha scritto una volta visto il corto sulla vita scolastica del proprio figlio “un bene prezioso, carico di emozioni, che ci da la possibilità di riempirci d’orgoglio per il nostro bambino, un documento ricco di ricordi da imprimere nella memoria e che rimarrà per sempre”.
Operare nel sociale, non può e non deve essere solo un lavoro. Anzi, prima di tutto ci vuole il cuore. Che mi dici a riguardo? Mi piace impegnarmi nel sociale perché penso di avere un’attrazione, un richiamo per le persone che siano essi adulti o bambini senza distinzioni di genere e nazionalità, esseri che umilmente necessitano di aiuto, di un valoroso e onesto impegno nei loro confronti. Viviamo in un mondo principalmente consumistico che insistentemente cerca di dare il prezzo a ogni cosa che produce o a persona che ci abita, con questo subdolo meccanismo si ha tendenzialmente la convinzione o presunzione di stabilirne anche il valore, ma non possiamo confondere le due cose. In questi ultimi anni ho sempre voluto agire libero, senza padroni, consapevole di scontrami con chi sta più in alto di me, del mio ruolo perché non amo scendere a compromessi soprattutto quando utilizzo e mi avvalgo delle arti, che siano esse audiovisive come il cinema o prettamente grafiche come la pittura e la fotografia. Quando crei non si possono avere delle persone che ti obbligano a produrre, l’arte è come l’amore, non può essere prigioniera né tantomeno malata di consumo, l’arte è libertà ed io mi sento così quando documento ciò faccio a scuola: libero.
Dal 2014 qualcosa cambia. Sarà lui a raccontarci… Il 2014 per me è stato un anno molto importante, di notevoli passaggi e cambiamenti esistenziali, da precario che ero ho ottenuto il ruolo e allo stesso tempo è stato un anno di grandi soddisfazioni artistiche. Avvalendomi della collaborazione di Stefano con il quale ho condiviso questa volta non solo il montaggio bensì anche la regia sono riuscito a realizzare, scrivendo un’altra sceneggiatura, un altro cortometraggio di carattere sociale “L’amore impossibile”, tratto da una storia realmente accaduta di violenza assistita. Per chi non sapesse cito testualmente: “Per violenza assistita intrafamiliare si intende l’esperire da parte del bambino/a qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente ( quando essa avviene nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore è a conoscenza della violenza), e/o percependone gli effetti. Si include l’assistere a violenze di minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia e ad abbandoni e maltrattamenti ai danni di animali domestici. Il nostro impegno fin da subito è stato quello di dare assoluta credibilità alla storia che l’associazione di Iglesias “Io non ho paura” donne contro la violenza onlus ci aveva affidato.
Nello specifico: il tuo filmato? Questo filmato si può in un certo senso considerare più impegnato visto il tema trattato e in aggiunta è stato reso stilisticamente più interessante e piacevole allo sguardo e all’ascolto perché vi è una maggiore professionalità nella cura delle immagini e della colonna sonora che è completamente inedita. Posso aggiungere che è il primo cortometraggio in Italia ad avere dato sfogo e voce ad un tema così delicato. Quando ho scritto la sceneggiatura, pur ispirandomi ad una storia vera, non ho mai voluto che nelle scene di violenza, durante le riprese fossero presenti gli attori bambini protagonisti, proprio per salvaguardare propedeuticamente quel diritto all’infanzia che per primi noi autori e la presidente dell’associazione Francesca Ena abbiamo voluto preservare. Questo lavoro di recente realizzazione, grazie all’aiuto di alcuni amici e colleghi che lavorano nel settore, lo stiamo promuovendo nelle scuole e in tutti i luoghi di aggregazione, perché lo scopo che ci eravamo prefissati fin da subito è stato ed è fare prevenzione tra gli adulti ma soprattutto fra i giovani adolescenti, in modo da suggerirgli come intervenire prima che sia troppo tardi e smantellare il muro di omertà che gravita intorno alla violenza domestica.
Sabato 15 novembre, il preside Enrico Frau dell’Istituto Levi di Quartu S.Elena con i suoi ragazzi hanno aperto le porte dell’aula magna a Christian Castangia, occasione in cui è stata fissata la data di un incontro con lui, accompagnato da: Enrico Frau, preside; Francesca Ena, presidentessa dell’associazione sopracitata; Roberto Cherchi, medico chirurgo e attore del corto in questione; Stefano Zedda, collaboratore diretto di Christian; Bruno Furcas e Salvatore Bandinu, educatori. Ti va di raccontarci? Sabato ci hanno visti protagonisti in una scuola di Quartu Sant’Elena, l’Istituto superiore “Primo Levi” dove opera un altro mio caro amico educatore e insegnante Bruno Furcas. Con Bruno, che tu ben conosci, ci siamo sentiti per telefono verso ottobre; quando lo contattai per invitarlo ad assistere alla prima del corto, non potendo partecipare per impegni personali, mi ha però fin da subito fatto capire che fosse interessato all’argomento ed era intenzionato, dopo un confronto e l’autorizzazione a procedere del Preside, ad organizzare una giornata a tema e proiettare il filmato nell’aula magna dell’Istituto in questione. Ad accoglierci, con grande stupore, ci sono stati circa 400 persone tra colleghi e studenti, l’aula magna era gremita di persone pronte ad accogliere e creare un dibattito sul tema di violenza intrafamiliare. È stato un momento molto importante e di grande confronto fra varie figure professionali e in modo particolare di ampio effetto tra i giovani. Fra gli astanti chiamati ad intervenire nel dibattito, per mia sorpresa, era presente anche un’altra persona amica; anche questa di tua conoscenza, Salvatore Bandinu, col quale ho mantenuto i contatti, se pur sporadici, da circa dodici anni, da quando insieme a Bruno lavoravamo come operatori professionali in un centro educativo territoriale della provincia di Cagliari.
Prossima tappa? Un altro appuntamento dove proietteremo “L’amore impossibile” sarà il 28 novembre nella città in cui lavoro attualmente: Sassari. Per questo incontro devo ringraziare un’altra persona conosciuta di recente e che però fin da subito si è mostrata interessata al mio lavoro e ha voluto investire del suo tempo nella realizzazione dell’evento. Il suo nome è Gianfranco Strinna, ex maestro di scuola “elementare” e attualmente Dirigente Scolastico dell’Istituto di scuola Primaria “S. Pertini” del medesimo capoluogo. In quella giornata avremo la possibilità di attivarci nel nord Sardegna con questa campagna di sensibilizzazione sul tema della violenza assistita, verremo accolti nella sala Angioy del bellissimo palazzo della Provincia di fine ‘800 sita in piazza d’Italia a Sassari.
Chi ti ha sostenuto? Mi viene difficile parlarne perché dovrei tornare indietro nel tempo, quando ero bambino e frequentavo io le scuole elementari, non posso dire di aver trovato “la maestra”, quella in grado di saper cogliere le sfumature che oggi molti bambini presentano e non riserbo un ricordo positivo di quel vissuto. Più volte, in quella fase così delicata del mio sviluppo, non sono stato motivato, accolto e compreso per alcune difficoltà che manifestavo. Forse oggi il lavoro che faccio mi consente di recuperare quel passato, farne una rilettura e dargli una forma di giustizia. Sono tante le persone che mi hanno sostenuto ma una in particolare ha segnato per sempre il mio indirizzo artistico e professionale facendomi conoscere una realtà culturale di alto livello che ancora oggi mi porta i suoi frutti; l’incontro decisivo è stato Marta Carbonari, la mia insegnante di lingua italiana in terza superiore che ha avuto lo sguardo lungo, che ha saputo vedere in me quello che in realtà non potevo ancora essere, dando luogo così alla cosiddetta profezia che si autorealizza, scatenando intrinsecamente quella motivazione che poi mi ha spinto ad essere quello che oggi sono.
Progetti futuri? Bella domanda! Diciamo che sto scrivendo una nuova sceneggiatura che affronterà il tema del bullismo, ma mi riservo in questo momento nel rivelare o dare altri indizi al riguardo. L’unica cosa che posso dire che mi avvarrò di giovani adolescenti che in un modo o nell’altro hanno a che fare e sono coinvolti con questo problema proprio perché mi piace includere sempre e comunque i diretti interessati, coloro che in prima persona pagano continuativamente il prezzo più alto. Per me sarà un’occasione ulteriore per riflettere e capire quanto i giovani e la scuola e tutti i luoghi di formazione sentano il bisogno “dell’abbraccio” che rinforzi l’autostima e incoraggi a superare gli ostacoli più ostili che la vita professionale e non solo ci possa riservare. Il mio intento sarà anche in questo caso quello di creare un documento, una testimonianza importante da condividere col mondo esterno; un filmato da dover promuovere a tutti costi perché gli altri sappiano, perché in modo ampio la formica debba diventare generosa nei confronti della cicala e si possa realizzare quella che Rodari ha definito “una rivoluzione.”
Direi che l’amico Bruno aveva davvero ragione. Non credi, lettore? Grazie a Christian Castangia per queste sentite parole, cariche di significato, e per essersi raccontato. O meglio per aver raccontato quali sono le sue attività e quel che fa, senza sbrodolare: che intanto non serve. Servono persone che al mondo, come lui, sappiano davvero dove stanno vivendo!
complimenti a Valentina Usala che tra le righe ci ha regalato il vero Christian, quello che è sempre in azione, che si batte per gli esclusi e per le ingiustizie… di qualsiasi genere esse siano. E bravo a te Christian, collega e “amico” di una vita intera!!!!