IL PERCORSO DELLA DEVOZIONE IN SARDEGNA: SEMATA, I SEGNI DELLA FEDE


di Emanuela Katia Pilloni

Andare per campi, attraversare agri lontani dall’urbana civiltà. Straniero in terra propria, ramingo e solitario. Il peregrinus romano non era un viator e non godeva delle sicurezze che la professione di messo pubblico gli avrebbe garantito. Smarrito fra sentieri non tracciati, era bisognoso di tutto. Protezione, ospitalità, conforto. La traccia del suo passaggio era il passaggio stesso, perché come per le anime perse che errano nel peccato, la meta è il viaggio.

Penitenza e devozione. Via, verità e vita. Nelle parole evangeliche è racchiusa la chiave della traslazione etimologica che porterà il peregrinus romano a divenire il più familiare pellegrino cristiano. Al fedele immerso nella dimensione della Fede che vuole anticipare il sapore soave del paradiso sulla terra o al peccatore che teme la dannazione eterna, si apre una sola via. La redenzione come luogo dell’espiazione ha un itinerario definito e sicuro: Cristo. Nessuna deroga, nessuno sconto. Sulla via della salvezza siamo tutti uguali. Anche i re. Elena l’imperatrice che troverà la vera croce sulle orme di Cristo nel Golgota, ufficializzerà la nascita – già in epoca paleocristiana – del pellegrinaggio devozionale e penitenziale. La terra calpestata dal Signore a Gerusalemme diventerà così la nuova patria terrena degli exules cristiani, peregrini a vita nel proprio regno.

In planta pedis. Emblema per eccellenza di volontà di ricongiunzionealla casa del padre, ogni luogo santo meta di pellegrinaggio era caratterizzato da un segno di riconoscimento peculiare che rievocava un momento o un soggetto evangelico. Così se la palma a Gerusalemme era immagine dell’accoglienza festosa al Cristo prima della passione, le chiavi conducevano alla tomba di Pietro al Vaticano e una conchiglia accompagnava i fedeli fino alla Galizia di San Giacomo. E nella terra di Dedalo? Quali indizi guidavano le speranze dei penitenti nella nostra isola? Qual era il seme della devozione in Sardegna? Laplanta pedis, l’impronta del piede. A testimonianza forse dell’antica denominazione greca dell’isola Ichnussa (impronta) e Sandalya (sandalo) o figura del decisivo passo verso la meta, essa è presente in ogni ospitium, in ogni luogo santo posto lungo l’itinerario di redenzione isolana.

Asclepio. Tuttavia tra le pagine della storia sembra potersi scorgere un’altra genesi di questo sema devozionale, legato ad Asclepio e al suo culto: nel tempio di Pergamo dedicato al dio della medicina sono ancora visibili le tracce del passaggio dei fedeli incise nelle lastre di pietra. E non appare certamente casuale che all’ampia diffusione in Sardegna della devozione ad Esculapio – sotto le vesti egiziane di Bes – faccia eco la costante presenza di orme sante. Come a Fordongianus, non lontano dalle antiche terme romane – già testimoni della presenza di fedeli del dio della medicina – nella chiesa dedicata al martire Lussorio. E così si ripeté ogni qualvolta il sincretismo cristiano sostituì il divino guaritore pagano con l’arcangelo Michele o più raramente con il messaggero di Dio, Gabriele: San Michele di Salveonor a Ploaghe, San Gabriele di Sagama nell’oristanese e San Michele di Nulvi, solo per citare alcuni esempi.

Monaci e crociate. Benché l’ascendenza delle orme sembri ricalcare in alcuni casi percorsi devozionali pagani, nella maggior parte dei casi essa è legata piuttosto all’allontanamento, nell’XI secolo, dei monaci bizantini e il massiccio trasferimento nell’isola di monaci benedettini e gerosolimitani, che rinfrescarono l’attenzione per gli aspetti più popolari e meno contemplativi della vita religiosa. Senza sottovalutare la grande spinta offerta in seno ai pellegrinaggi dalla partecipazione dei nobili sardi alle crociate: da Gonario II di Torres a Pietro III d’Arborea o al curatore dell’Anglona Petru de Serra meglio noto – e non a caso – come de Jerusaele. In Sardegna il binomio monachesimo latino e presenza templare favorì accanto alla creazione ex-novo di itinerari penitenziali, certamente anche il rinnovato interesse per quelli più antichi.

I percorsi. Se lungo tutta l’antica via romana della Karilibus Turrim – e attraverso i suoi numerosi diverticoli – si snodavano i percorsi dei peregrini, sono soprattutto la strada Gallurese a norde la Bia de Loguad est i tracciati più ricchi di testimonianze di planta pedis: ben 12 tra le circa 15 chiese in cui sinora se ne è accertata la presenza, gravitano attorno a questi assi stradali. E tra le svariate diramazioni alcune tradiscono ancora l’originaria vocazione: sa ia de is Camminantis, a Tonara; s’istrada’e sos Padressa punta de su Pellegrinu sos Biazzantes in corrispondenza della Via Turresa; su Pellegrinu, nel Sassarese.

Realizzate mediante ricorso a strumenti da taglio con leggere incisioni o profondi solchi, di piccole dimensioni o grandezza reale, le orme dei pellegrini – in quanto insegne di identificazione per viandanti – erano sempre poste all’esterno degli edifici religiosi, mai all’interno. Ai mendicanti di cibo e redenzione, segnalavano – infatti – la via per la salvezza, non la meta finale. Erano l’indizio certo del diritto all’hospitalitas umana e spirituale per tutti coloro che alla pari del Sommo Poeta potevano affermare per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende, peregrino, quasi mendicando, sono andato.

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