di Giovanni Runchina *
Centocinquanta notti nel deserto di Atacama – Ande cilene- il più secco e alto al mondo a 5 mila metri sopra il livello mare dove «ho visto il cielo stellato più avvincente che mi sia capitato di osservare»; Stati Uniti «la mia prima esperienza lavorativa all’estero» in assenza o quasi di burocrazia «nel giro di pochissimi giorni possedevo una casa, un conto in banca, un’assicurazione sanitaria, l’equivalente del codice fiscale: insomma ero un cittadino a tutti gli effetti»; poi Germania e, dal 2012, Olanda. Da un continente all’altro – spesso col naso all’insù – e i piedi sempre ben piantati a terra.
Ciriaco Goddi è curioso per professione – astrofisico – e per indole. Nato a Nuoro 39 anni fa, cresciuto a Orune, liceo scientifico a Bitti «lì è nata la mia passione per la matematica e per la fisica», laurea e dottorato in Fisica all’università di Cagliari, vive in Olanda dove, da poche settimane, gestisce Black Hole Cam. «E’ un progetto innovativo per il quale mi è stato offerto un posto da rappresentante scientifico; l’obiettivo principale è fotografare per la prima volta un buco nero, precisamente quello posto al centro della nostra galassia: stiamo parlando di un mostro con una massa pari a un milione di volte quella del Sole. Utilizzeremo una rete di telescopi molto sofisticati e dislocati in Europa, Stati Uniti e Hawaii, America Centrale e del Sud, Africa e Asia. Se riuscissimo nell’impresa, le ripercussioni sarebbero enormi perché potremmo verificare due teorie: quella dei buchi neri e quella di Einstein sulla gravitazione. Un risultato del genere potrebbe portare al Nobel».
Sognando una telefonata dall’Accademia di Svezia, Ciriaco Goddi racconta le tappe della sua carriera di scienziato, decollata nel 2006 dopo il rullaggio sull’accidentata pista della ricerca in Italia; un sistema che «non solo paga poco ma non è dinamico». Inevitabile andar via ma non parlategli di ennesimo cervello in fuga. «Ho lasciato la Sardegna nel 2005, a dire il vero un po’ controvoglia. Ma ha vinto il proposito di realizzare il mio sogno: diventare un astrofisico. Ciò non significa che non esistano casi di scienziati italiani formatisi in patria. Tuttavia, a parte la ben nota scarsità di posti di lavoro, all’epoca sentii che per completare la mia formazione ed entrar a far parte attiva dei principali progetti scientifici, era necessario fare esperienza internazionale. Volevo sprovincializzarmi scientificamente, socialmente e culturalmente».
Decisiva la chiamata dell’università di Harvard, uno tra le più blasonate a livello mondiale che ha formato decine di giovani capaci di fare la storia, anche recente: dai presidenti degli Stati Uniti John Kennedy e Barack Obama agli imprenditori multimiliardari Bill Gates e Mark Zuckerberg. «Avevo appena finito il dottorato a Cagliari e mi ero trasferito all’osservatorio Astrofisico di Arcetri a Firenze ma, contemporaneamente, avevo inviato alcune domande ad altre università, tra cui Harvard. Con mia grande sorpresa, pochi mesi dopo mi cercarono perché mi volevano nel loro team. Insomma, era una di quelle occasioni che non si potevano rifiutare e partii per l’America. Arrivai a Boston nel 2006. In tre anni di permanenza ho avuto modo di apprezzare valori come la meritocrazia nei criteri di selezione, la motivazione nel lavoro di squadra e il riconoscimento professionale e sociale per il ruolo del ricercatore, tutti aspetti che in Italia mancavano. Dopo quel triennio grandioso, però, decisi di tornare in Europa dove la qualità della vita è migliore».
Nel 2009, Ciriaco trasloca ancora una volta: supera la selezione per un programma prestigioso di postdoctoral fellowship all’European Southern Observatory (ESO) di Monaco di Baviera, in Germania. «Si tratta del maggior istituto d’Europa nel quale si gestiscono i telescopi più grandi al mondo che operano, o sono in costruzione, nell’emisfero Sud, in particolare in Cile». Nel 2012, a conclusione del progetto, lo scienziato sardo riceve diverse proposte e, alla fine, sceglie di accettare quella del JIVE (Joint Institute for VLBI in Europe) in Olanda che comanda una complicata rete di telescopi dislocati in tre continenti: Europa, Asia e Africa. «Il cuore di questa rete è la tecnica interferometrica a lunga distanza (Very Long Baseline Interferometry), in cui 10-20 antennone con svariate decine di metri di diametro osservano simultaneamente la stessa sorgente nel cielo. I segnali acquisiti sono poi correlati da un super computer che gestiamo nel nostro istituto in Olanda. Il risultato è un’immagine molto nitida della sorgente celeste osservata». Una sorta di percorso preparatorio al Black Hole Cam al quale Ciriaco lavorerà per i prossimi sei anni tra le università di Nijmegen e di Leiden.
Senza rinunciare a far rientro a casa non appena può: «Non ho rimpianti per aver lasciato l’isola ma la mancanza è forte. Per questo motivo cerco di tornare più spesso possibile così da non permettere alla nostalgia di fare troppi danni». Complice, anche lavorativamente parlando, una stretta collaborazione con la Sardegna: «Abbiamo ultimato da poco il Sardinia Radio Telescope, un’antenna gigante da 64 metri di diametro che è già parte integrante della rete europea che gestiamo dall’Olanda. E proprio dal nostro centro abbiamo condotto, a marzo, il primo esperimento. Da sardo – conclude Ciriaco – posso dire che è stato uno dei momenti più emozionanti in assoluto».
* Sardinia Post