«Chi inquina, paga». Della serie: partire da un assunto banale e scontato per cozzare con l’impossibilità di raggiungere lo scopo. Conta poco, che in ballo ci sia la salute dei sardi: anche questa è una servitù. È dal 1982 – cioè da quando la Sir di Nino Rovelli ha mollato la Sardegna dopo un ventennio di disastri ambientali – che si discute sull’obbligo sacrosanto di ripulire un luogo da tonnellate di diossine, idrocarburi, metalli pesanti e via avvelenando. In tanti – tecnici, amministratori, politici di alto livello (non tutti) – si sono sgolati per denunciare lo scandalo delle mancate bonifiche in una regione come la nostra che vanta il record nazionale delle aree contaminate: 450mila ettari, un sesto del territorio dell’Isola, una vergognosa mostruosità che giorno dopo giorno ci minaccia e ci rende vittime di scelte scellerate del passato.
PORTO TORRES Mettere a fuoco il caso di Porto Torres, culla del petrolchimico rovelliano, è doveroso per l’estensione del fenomeno, la pericolosità e la quantità dei veleni. Qui qualcosa si è mosso e si sta muovendo perché queste maledette bonifiche partano. Nessuno però si metta a saltellare di gioia perché gli ostacoli (burocrazia e presenza nel sistema di personaggi superpotenti e plurinquisiti), non mancano. EREDITÀ Il pesantissimo retaggio della Sir l’ha raccolto l’Eni, attraverso la “sua” Syndial, che fino a oggi ha speso 170 milioni per le tre branche in cui si suddivide l’attività di bonifica: interventi sui suoli, sulle falde acquifere e le demolizioni. La somma messa a correre è di 530 milioni e lo stesso sindaco di Porto Torres, Beniamino Scarpa, ammette che «oggi stiamo meglio, rispetto al recente passato». Scarpa si riferisce al programma “Nuraghe” presentato il 3 ottobre a tutti gli enti che concorrono (e dovranno lavorare in sinergia) alla soluzione dell’annosa querelle: Ministero dell’Ambiente, Regione, Arpas e Comune.
I SUOLI L’intervento più urgente (!) è quello di Minciaredda, un’area di 35 ettari esterna allo stabilimento principale (1200 ettari) scoperta con un blitz dall’Irs di Gavino Sale. Ruspe indipendentiste scovarono una discarica a cielo aperto, con sacchi di prodotti chimici ad altissima tossicità, interrati senza ritegno e venuti alla luce in quell’incursione. Quell’area grida vergogna e dopo la bocciatura del primo progetto, di copertura tombale, è stato percorsa una strada che ha portato a una conclusione. Dopo un concorso di idee a livello internazionale cui hanno risposto 24 gruppi, l’appalto è stato affidato alla “Astaldi”, una società con 100 cantieri in 15 Paesi. «La Syndial – racconta Scarpa – ci presenterà il progetto a giorni, noi lo dovremo valutare vista la sua delicatezza». Queste le fasi: svuotare il sito, compiere un’attenta cernita dei materiali e infine inviare in discarica i rifiuti. Insomma, la superficie andrebbe rivoltata da cima a fondo e i pericoli che le micidiali sostanze velenose inquinino l’atmosfera sono enormi.
LA DISCARICA DEI VELENI Il comune di Porto Torres è intervenuto con una certa determinazione per risolvere il caso della cosiddetta “Discarica dei veleni”, nella quale anche l’Arpas ha rilevato valori di benzene in misura elevatissima. Appena eletto, il sindaco si è trovato sulla scrivania questa pratica scottante (l’area si trova nel porto industriale e comprende un inceneritore nella zona chiamata Darsena Servizi e fu vietata al transito e alla sosta), e ha chiesto a Syndial la disponibilità a bonificarla. «Potevano rifiutare – commenta Scarpa -, invece hanno accettato e spenderanno 8 milioni». Il verbo coniugato al futuro è corretto perché lo scorso 23 ottobre, il primo cittadino di Porto Torres ha firmato un’ordinanza nella quale la Syndial deve frenare l’avvelenamento da benzene nelle acque e dei terreni.
FALDE C’è infine il caso delle falde acquifere, ma siamo in alto mare. Nel senso che il progetto prevede il trasferimento delle acque di falda al depuratore del Consorzio industriale di Sassari, ma i tecnici di Regione e Provincia sono contrari.
* Unione Sarda