di Martina Marras *
Quando dieci anni fa arrivò in Francia, sicuramente non pensava di trattenersi così a lungo. Luana Argiolas, 33 anni, era una giovane studentessa di lingue con una grande passione per la musica. Una delle tante che, in cerca di momentanea evasione, si concedeva una pausa-studio all’estero. Quella ragazza, ora, anima le serate parigine, cantando. Lou di Franco, sa fill’e Franco, come ama dire lei. «Cercavo un nome d’arte, dato che il mio era, per i più, impronunciabile. Volevo che mantenesse una sonorità italiana: ho scelto il mio diminutivo, unito al nome di mio padre», racconta Luana. Quando parla del suo percorso artistico, Lou si definisce ‘molto fortunata’. Il progetto musicale è in piedi da quattro anni e ha conquistano anche Yves Jamait. A gennaio è uscito il primo Ep, Le goût des mots, prodotto quasi totalmentehomemade, del quale è molto soddisfatta. Canzoni d’autore di influenza jazz, nate nelle campagne di Digione e composte interamente da Luana e Jérôme Broyer, partner del progetto. Sei tracce dedicate alla Sardegna – Custas cantzonis funti po sa sardigna, mamma de su dabori e de su prexiu miu – e nelle quali c’è tanta Isola (compreso un pezzo in limba).
Avevi mai pensato che saresti diventata una cantante? Lo sognavo. Mio padre suonava e io giocavo con la sua chitarra, fin da quando ero bambina. Per me è sempre stata una grande passione. Che potesse diventare un lavoro, fin quando sono stata in Sardegna, non lo credevo possibile. In Francia lo è stato.
Com’è la vita in Francia? Fredda. Piove di continuo. Una delle prime canzoni che abbiamo scritto si intitola “Un anno sotto la pioggia”. Il clima influisce sul morale e la mancanza di sole rende tristi. Le persone, qua, sono fredde. Molto gentili ed educate, ma fredde, formali. Ti abbracciano senza mai chiudere le braccia.
E il pubblico francese? Devo dire che con noi è molto caloroso. Nei concerti parlo tanto della Sardegna, racconto la mia terra. Questo lato, quasi esotico, piace molto al pubblico. Parte della mia fortuna, forse, sta anche in questo.
Canti in francese, in italiano e in sardo. Che lingua preferisci per la tua musica? Il francese è una lingua bellissima da cantare, ha un suono romanticissimo. Ogni lingua ha una sonorità diversa e mi accorgo che la voce cambia, a seconda di quella che utilizzo. È quasi come se usassi uno strumento diverso. Io mi preferisco in sardo. Mi piace molto anche il francese, ma il sardo è più sincero.
Negli scorsi mesi hai avuto qualche data in Sardegna. Com’è stato esibirsi in patria? Emozionantissimo. Non avevo mai cantato qua e prima di salire sul palco avevo una paura incredibile. Per la prima volta ho visto i miei amici tra il pubblico: è stato bellissimo. Ci tratterremo in Sardegna per un mesetto, siamo tra i finalisti del premio Andrea Parodi…e poi chissà.
Pensi mai a tornare in Sardegna? Sempre, tutti i giorni. E adesso inizio a pensarci seriamente, tanto che ho controllato gli annunci di affitto. L’idea, a dire il vero, è venuta a Jérôme. Pensiamo di continuare a fare musica homemade, come abbiamo fatto per il disco. Vorremmo portare avanti il progetto, guardando alla Francia come territorio privilegiato per le esibizioni, ma avendo la base in Sardegna.
Si può sopportare la nostalgia per la soddisfazione professionale? È quello che ho fatto finora. Ma ci sono tante motivazioni per cui sento di dover tornare in Sardegna. È difficile da giustificare, quest’unione che abbiamo con la nostra terra. Ce l’abbiamo solo noi. Quando cerco di spiegarlo, i francesi non lo capiscono. Forse è la nostra natura di isolani, forse è perché abbiamo sofferto tanto e ancora continuiamo a soffrire. Abbiamo tante lotte da portare avanti. Io mi sento colpevole, per aver abbandonato la Sardegna, ogni giorno. È per questo che voglio tornare.
* La Donna Sarda