A novembre scorso il primo Ep, Like a Dancer, quattro pezzi pieni di amore e malinconia. A novembre 2014 il prossimo, A Softer Skin, ad indicare il percorso di rinnovamento e crescita, la pelle più morbida di Enrico Spanu, alias The Heart and the Void. 27 anni, studente di Scienze politiche con scarso entusiasmo, un lavoretto in pizzeria per pagare l’affitto. Ma il suo sogno è vivere di musica: voce e chitarra di ispirazione folk, canzoni orecchiabili, essenzialmente pop “dove pop non è una parolaccia. I Beatles erano pop e per me sono il miglior gruppo della storia”, precisa Enrico.
Come nascono i tuoi pezzi? Dipende. Annoto molte cose, singole frasi, due righe che hanno una certa musicalità e poi ci costruisci su la canzone. Oppure, anche se forse è più raro, dalla chitarra: improvvisando salta fuori una melodia sulla quale si costruisce sopra il testo.
Canti solo in inglese: come mai questa scelta? Ho iniziato a scrivere canzoni a 12 anni. E ho iniziato da subito in inglese. Ho sempre ascoltato gruppi inglesi, i Beatles mi hanno cambiato l’esistenza: c’è stato un prima e un dopo rispetto alla mia scoperta dell’esistenza del pop inglese. Per un breve periodo ho scritto in italiano, ma per me il linguaggio della musica è un altro. C’è tanta bella musica in italiano, certo, ma io non ci riesco. L’inglese è molto musicale, ti permette di dire certe cose che in italiano suonerebbero ridicole.
Canti spesso con Giulia, che è anche la tua fidanzata. Nel prossimo Ep ci saranno due pezzi nei quali cantiamo insieme. Ho sempre cantato anche con lei. Nel disco della mia vecchia band, che è stato registrato, ma mai pubblicato – perché nel mentre il progetto è naufragato, quindi non si può sentire da nessuna parte e forse è meglio così – ci sono le sue seconde voci. Lei cantava, ha fatto canto lirico, abbiamo entrambi una grande passione per la musica. Stiamo insieme da tanto e abbiamo deciso di fare questa cosa insieme.
Hai suonato abbastanza fuori dalla Sardegna, ma se potessi scegliere, dove ti piacerebbe suonare adesso? Credo che partirei in tour negli Stati Uniti insieme a qualche altra band, perché è la cosa migliore che possa succedere a un progetto musicale: uscire, fare concerti e vedere come funzionano le cose davvero.
C’è una canzone alla quale sei particolarmente legato? Diciamo che cambia a seconda del periodo. C’è un pezzo vecchio, che facevo già con il mio gruppo, che continuo a fare a volte e di certo a quello sono legato. Ora come ora, però, ti direi che c’è un pezzo a cui tengo nel prossimo Ep. Lo avevo scritto qualche anno fa e accantonato. Poi l’ho riarrangiato e mi ci sono affezionato. Parla di una bambina – ma non dirò chi è questa bambina – di 8-10 anni, dell’innocenza, e di tutte quelle cose che trasmettono i bambini a quell’età.
Di cosa parlano le tue canzoni? Parlano d’amore o comunque di relazioni interpersonali. È difficile che riesca a scrivere qualcosa che vada oltre i sentimenti, in un modo o nell’altro.
Quanta Sardegna, o quanta Cagliari, c’è nella tua musica? Tanta Cagliari e tanta Sardegna. Parlo di cose che succedono a me o di cose che ho visto. La musica che faccio dipende da dove vivo e da dove sono cresciuto, anche il fatto che a volte manchi l’ispirazione è influenzato certamente da questo. Sardegna ce n’è tanta, per me è molto importante: io non vorrei andarmene da qua. Sono legato e non legato a questa terra, ci sto bene anche se non sento di esserne parte, non del tutto, almeno. Ma quando vado via ne sento la mancanza.
Qual è stata la serata più emozionante, finora? Quella ai Magazzini Generali di Milano, dove ho suonato davanti a tante persone. Per il momento è stata senz’altro la più bella, sperando di batterla.
The Heart and the Void, il cuore e il vuoto. Come mai questo nome? Stavo cercando un nome d’arte e in quel periodo avevo in mente due tematiche: da una parte l’amore e dall’altra il non sentirsi appartenere a un luogo (cosa che poi si è un po’ evoluta). Ho scelto queste due parole per rappresentarle entrambe: l’amore, ma anche il sentimento di vuoto, legato alla condizione geografica, emotiva e anche religiosa se vogliamo. Il sentirsi vuoti, senza riferimenti. E poi sono rimaste. Non so se oggi le sceglierei ancora, probabilmente no. Ma continuano a rappresentarmi, certo.
* La Donna Sarda