di Sergio Portas
Piovigginava venerdì 4 di luglio a Milano, e ancora non sapevamo che l’acqua avrebbe continuato a venire giù per tutto il mese sino a fare imbestialire il Seveso che avrebbe inondato di sé scantinati e metropolitane, ma le grandi piante dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini sembravano gradire l’omaggio liquido che veniva dal cielo e si paravano di una nebbiolina che ricordava certi scorci di lande scozzesi. Per i sardi che venivano da Seneghe a presentare in anteprima la decima edizione di “Cabudanne de sosos poetas”( dal 3 al 7 settembre) una buona occasione per rafforzare il pregiudizio tutto isolano che declina la capitale meneghina a porto delle nebbie, perenni. Negli antichi padiglioni dell’ospedale che fino agli anni sessanta ospitava fino a 1200 “matti”, sono immersi in trecentomila metri quadri di verde (la speculazione immobiliare milanese sbava da tempo per farne appartamenti e uffici) una pletora di cooperative sociali che gestiscono bar, ristoranti, ostello e poi ancora orti liberi, atelier di pittura, attività sportive, spettacoli per bambini. Basaglia sarebbe stato contento del cambiamento. E nel 2008 ha trovato finalmente spazio anche il teatro: “Lì dove una volta c’era un esercito di bollitori, dove si preparavano i pasti, la mensa, oggi si cucinano storie, i pentoloni hanno fatto spazio al palcoscenico” (copio da internet). Così recita di sé l’associazione “Olinda” che collabora col “Cabudanno” di Seneghe e che col “Laboratorio della non scuola” da qualche anno fa da apripista al festival sardo, mediante la fruttuosa mediazione del teatro Alba di Ravenna, coinvolgendo in prima persona gli adolescenti delle scuole milanesi che gravitano intorno al “Pini” nella reinvenzione dei testi della grande tradizione teatrale da Aristofane a Molière , accogliendo le loro suggestioni, l’immaginario, i sogni e le paure. Il “laboratorio”è spesso ospite nel programma teatrale di “Da vicino nessuno è normale” che sempre qui spopola nel mese di luglio. Mai titolo fu più veritiero, e anche da lontano la normalità sembra essersi persa oramai, a sentire di Gaza e dei colpi di cannone che sono arrivati a distruggere le vite dei bimbi palestinesi ammassati come agnelli in ovile nelle scuole dell’ONU. E fortunati più di loro i bimbi israeliani che un ombrello tecnologico ha protetto dai razzi di Hamas. Per commentare queste nefandezze che gli umani compiono derubricandole a “politica”, occorre che i poeti si facciano svelatori di menzogne e alzino i loro carmi a sbeffeggiare ogni potere, come sono usi a fare da sempre. Oggi qui ce ne è uno che questo ha fatto da una vita. Franco Loi, poeta, nasce a Genova da padre sardo e mamma emiliana, trapiantato a Milano fin da ragazzino, mi dice che è riuscito a cambiare casa e indirizzo undici volte. E’ del ’30 e a sentirlo parlare sembrano scorrere le storie che hanno intessuto il novecento che da poco ci siamo lasciato alle spalle. Lui che le ha vissute da protagonista, quelle del dopoguerra, e ti dice di quella volta che un suo articolo sulla situazione disperata del proletariato sardo che doveva uscire per l’”Unità” tardava a vedere la luce ma, inopinatamente, si impantanò anche nei gorghi del “Corriere della Sera”, dimostrazione che verità scomode tardano a trovare spazio sia a destra che a sinistra. E poi di Mussolini, mica è vero quello che raccontano sulla fucilazione di Dongo, e i morti di Piazzale Loreto, la bomba che causò la rappresaglia: la versione ufficiale una bufala ben confezionata! E poi Togliatti e Terracini… ha il dono della fascinazione, specie se ti parla mettendoti la mano sulle spalle, come si fa con gli amici di lunga data. E non è il mio caso naturalmente, l’ultima volta l’avevo incrociato giusto a Seneghe tre anni fa, sotto un sole giaguaro che veniva in parte addolcito da un pergolato di grappoli acerbi, ospite fisso della manifestazione e consigliere del comitato organizzativo e dell’associazione culturale “Perda Sonadora”. Nel 2010 la comunità seneghenese l’ha voluto a cittadino onorario per tutto il tempo del festival. Qui a Milano proiettano anche un video di dodici minuti che lo fa intravvedere nella sua casa, stipata di libri in ogni dove. Dialoga coi Poeti grandi, li cita a memoria e conviene con Petrarca che la poesia sia sempre sacra:”Il sacro da sak (sanscrito?), indolore, movimento d’amore che fa da ponte alla lontananza (sembra riferito ai sardi della diaspora). Prima di tutto quindi è amore, il mistero va amato. E l’amore per il mistero delle cose è la fonte di ogni cosa stessa. Avere di fronte il mistero della vita è il mistero di se stessi, che sono pochi quelli che si conoscono veramente. Come quel tale Dante che giunto al mezzo del cammino di sua vita volle risalire la luce che l’avrebbe portato al Paradiso (della conoscenza di sé) a mezzo di quell’amore che muove il sole e le altre stelle. A mezzo della poesia che scaturisce da sé ( e allora mi sedevo e scrivevo) e dopo tanto cincischiare con le parole mi riprendeva l’allegrezza, come dice Leopardi. E quando soffia impetuosa la poesia l’amore mi abita, con la lingua che è solo musica di parole: il pane, la farina, il cielo; la gente è più attenta ai suoni che ai significati apparenti. Tant’è che io sono andato leggendo le mie poesie in dialetto milanese in Grecia e Portogallo e Olanda e la gente sempre applaudiva”. Il dialetto delle poesie di Franco Loi è praticamente reinventato , innervato com’è da parole latine e italiane, si può affermare che Loi lo abbia nobilitato e rinvigorito come fosse lingua ancora parlata. Il che a Milano non è più. A Seneghe risuona tuttavia per la musicalità del verso poetico: “Seneghe piccolo gioiello incastonato nel verde degli oliveti disseminati sulle colline intorno, la macchia alta di mirto e di lentischio, i verdi boschi di leccio. Nelle strade del paese echeggiano le storie e i campi di vita contadina, tra il giallo dei limoni che svettano dai cortili e i pergolati riscaldati dal sole” (copio dal comunicato stampa). Nel 2009 il Ministero della Cultura lo ha premiato come “Migliore iniziativa in Italia per la diffusione della poesia” e quest’anno ha appena ottenuto il patrocinio Unesco per la X edizione (ibidem). Mario Cubeddu, presidente de “Perda Sonadora”, associazione culturale vera anima del festival, racconta agli astanti del legame profondissimo che i sardi hanno con la poesia. Ne recita una di Benvenuto Lobina, il grande poeta di Villanova Tulo: “Sa festa chi santh’imprommittu”, prima in sardo e poi in italiano: e allora :”Sono pronti i cavalli sotto le finestre/ …/ morti di palla, muggito di vacche sgarrettate/…/ fratello braccato come fiera/…/ andiamo gente andiamo, non ne vedrete più di morti a palla. Campi di grano vedrete, e tu fratello non fuggire più”. A Seneghe dunque per gustare il forte senso di comunità che ancora la contraddistingue, le case aperte ad accogliere un pubblico tra i più vari che incrocia nelle piazze di paese i vari Fois e Murgia e Soriga. Davvero un luogo senza tempo che per quattro giorni regala l’emozione del “canto a tenore” e il canto “ a chitarra” che si mischiano alle forme più raffinate della poesia moderna. Ci diamo appuntamento là con Franco Loi, questo settembre, i giovani di Seneghe pare che siano attesi a Milano, per il mitico Expo, a declamare versi russi di Vladimir Majakovskij.