di Pasquale Porcu *
Alberto Mario Delogu è uno scrittore, poeta, giornalista sardo residente in Canada e profondo conoscitore della nostra isola, della sua cultura, dei suoi abitanti. A lui chiediamo quale Sardegna farebbe conoscere ai suoi ospiti.
Intanto, perché andare in Sardegna? «Perché ci vive un popolo che vale la pena conoscere».
Quando andarci? «Da settembre a giugno, nessun mese escluso. La Sardegna ha due sole stagioni: la primavera e agosto. Tranne che a Fonni, dove sono tre, e a Cagliari, dove è una sola».
Come arrivarci? «In nave, meglio se in cabina con l’oblò e cena al sacco da consumare sul ponte barche. D’estate il Mediterraneo è clemente con chi soffre di mal di mare, e il distacco dal molo di sera e l’arrivo in porto di mattina valgono tutto un viaggio. Ed anche per cominciare ad apprezzare il fatto che sull’Isola il tempo rallenta, e si approfondisce».
Come muoversi nell’isola? «In treno, giusto per spostarsi tra i maggiori centri (e sempre per apprezzare il rallentamento del tempo). Tra i piccoli centri, e sulle coste, non resta che l’auto. A Oristano, Alghero, Olbia e Cagliari la bicicletta, sul lato sinistro della strada. Altrove, dovunque possibile, sempre a piedi sul ciglio sinistro. Le striscie pedonali sono un arredo urbano».
Dove dormire? «Nelle mille locande familiari (bed & breakfast in buon italiano) che punteggiano l’isola, il doppio pro capite della Sicilia e della Toscana e il quadruplo della Lombardia. Sono i veri tabernacoli dell’ospitalità sarda, confortevoli, ben attrezzati, orgogliosamente ordinati e puliti, piccoli scrigni di buon gusto e di composta umanità. È il lato della mia Isola che più amo condividere, persino più delle spiagge, dei nuraghi e dei maialetti al mirto».
Già, dove mangiare? «Facile: allontanatevi dalle coste di almeno venti chilometri, entrate in paese, parcheggiate, entrate in un bar per un aperitivo e cominciate a scambiare due battute col barista. Fateci amicizia, o parvenza di essa, e fategli capire che non siete turisti ma viaggiatori. Al momento del commiato calate la domanda: dove si mangia qualcosa di buono da queste parti? Trovato il posticino, non fatevi fuorviare dall’arredo: in Sardegna il miglior cibo si trova spesso in locali che sembrano obitori postmoderni illuminati al neon, imbandito su tovaglie e piatti di plastica. Incuranti, inforcate gli occhiali da sole e dedicate le vostre migliori attenzioni a quel che c’è nel piatto: è lì l’arca di tutte le atmosfere».
Che cosa visitare? «Le foreste primigenie del Gennargentu; le mesetas del Logudoro; i boschi di sughera e i graniti della Gallura; i tacchi di Ulàssai; le scogliere del Sulcis e della Nurra; la costa di Baunei; la costa dei Fenici; i nuraghi Arrubiu, di Barumini e di Santu Antine; Tharros, Nora, Solki e il fantasma di Cornus; i borghi storici di Castelsardo, Bosa, Iglesias, Cagliari, Sassari, Alghero, Carloforte, Santulussurgiu e Gavoi; una lolla del Campidano e uno stazzo della Gallura, i caseifici del Montiferru. E le case della gente, i loro corridoi, i loro soggiorni, le stanze da pranzo, i bagni e le cucine. Ed i bar: per bere, parlare e chiedere, ma soprattutto per ascoltare».
Chi andare a trovare? «I pastori e la gente di campagna. Perché sono quelli che, in Sardegna, parlano meglio di chiunque altro le lingue straniere. Parlano correntemente gli idiomi della terra e degli animali, della dignità e del dolore, della solitudine e della timidezza, dello stupore e dell’allegria. Che sono poi le stesse lingue che parlano anche i visitatori, gente che pensiamo sempre come jet-setter portocervini che camminano a due spanne da terra, e in realtà sono vulnerabilissimi esseri umani come noi».
Chi e che cosa evitare? «I sardi che giocano a fare gli italiani caciaroni e piacioni . I sardi che non sorridono mai. I luoghi denominati “Porto” (in Sardegna è solo un toponimo per definire baie costasmeraldine, marine del boom edilizio e attracchi per petroliere).
Come partire? «Come fanno i giapponesi, indietreggiando e inchinandosi per nascondere una lacrima».
* Nuova Sardegna