La città fin dalle prime ore del mattino, investita da una prevista ondata di caldo, è sotto la stretta morsa della calura ferragostana. Le vetrine sgombre, con i vetri opachi di polvere, dietro serrande abbassate, non riescono ad ingannare un’improbabile chiusura per ferie. Nessun cartello a motivare quel vuoto se non un “saldi” dimenticato, quasi beffardo, a testimoniare un estremo tentativo di resistere, ma neppure un “affittasi” ad auspicarne una nuova intrapresa.
La piazza Roma non sprigiona particolari energie. Qualcuno si ostina a ricercarle ai suoi lati che allungano la propria ombra, forse l’unico merito riconoscibile alla stridente architettura dei palazzi che la circondano. Nella piazza più avanti, dentro il palazzo degli Scolopi si discute insolitamente, in questo ordine di tempo, di bilancio di previsione, forse per esorcizzare una discussione di ben altro tenore, al rientro dalle ferie.
Un traffico a ranghi ridotti che si riflette sugli stalli azzurri, liberi e finalmente privi del consueto carico di automobili, mostrano una città più visibile nei suoi contorni. Attorno ai tavolini si resiste stoicamente al caldo, senza il consueto vociare di vivaci discussioni che neppure la scarna cronaca locale e politica riesce a rianimare. Un alto tasso di umidità offusca in alto l’azzurro che fa pensare a neanche un prete per chiaccherar mentre di certo si rimpiange il sollievo dei semifreddi “de su Bar de Ibba”, poi “Azzurro”, ma oggi pure lui sprangato, chiuso, come un ammonimento. E non è certo un bel vedere in pieno centro!
Si direbbe che siano tutti al mare o quasi. Eh sì! Per raggiungerlo, insieme al suo vasto litorale di tante seconde case, sempre più sfitte anche a fronte dell’offerta di cifre più ragionevoli, questa città la devi abbandonare per andare incontro al maestrale. Lo sanno bene i “runners” di Oristano, che indomiti percorrono instancabilmente i poco più di quattro chilometri che la separano da Torregrande.
Una città quasi incustodita, che non viene presa d’assalto dai turisti – come i commercianti vorrebbero – ma più intenti invece ad approvvigionarsi coi bancomat che a scoprire l’indubbio fascino del suo centro storico. Resta la speranza che si rifacciano vivi a serata inoltrata per l’ultima di shopping sotto le stelle, una scommessa coraggiosa fortemente voluta anche quest’anno dagli imprenditori contro il calo dei consumi.
Una città in ordine più o meno come tutte le altre, con le buche vecchie coperte dal nuovo manto stradale, a cui non si può chiedere di colmare le nuove, che frattanto, quasi per dispetto, si sono aperte. In questi ultimi tempi a forza di discutere e scrivere di decoro urbano, nei programmi elettorali e nei piani programmatici del Comune, indugiando sulle declinazioni futili di una città di bellezza, il capoluogo è diventato di sicuro meno decoroso.
Destino inevitabilmente segnato a chi abusa delle parole, del loro senso più autentico, che nella fattispecie rimanda più fedelmente ad un duplice significato, non assimilabile alla semplicistica assenza di cartacce ed altro, ma più propriamente al bello, all’elegante, quindi di dignità civile e dell’aspetto gradevole dei suoi luoghi. Anche per questo, le mura di una città sono lo specchio della sua coscienza. Non si tratta di quelle ignominiosamente demolite, per cui si nutrono ben altri risentimenti e sensi di colpa ascrivibili ad un’altra generazione di amministratori.
Il messaggio inviato, peraltro richiesto, in tal senso dalla cittadinanza alla politica è stato estremamente chiaro, attendibile, così come attestava un sondaggio preelettorale del PD. Infatti il 41% per cento dei cittadini ha domandato una maggiore pulizia della città, con un’attenzione particolare al decoro urbano.
E già che ci siamo e per tenerne da conto: il 29 per cento ha sollecitato una migliore illuminazione, la creazione di ulteriore verde pubblico, un miglioramento dell’arredo urbano, un’attenzione particolare alle manutenzioni in genere, il potenziamento della vigilanza per prevenire gli atti di vandalismo.
Il 27 per cento ha chiesto maggiore trasparenza, ascolto e concretezza dell’apparato comunale; di indirizzare le scelte verso la meritocrazia ed un adeguato coinvolgimento dei cittadini.
Il 19 per cento ha chiesto una maggiore presenza della polizia locale, adeguati controlli e un maggiore senso civico; ha sollecitato la lotta all’evasione. Infine, un aumento delle sanzioni per punire i comportamenti non corretti, e così via in misura decrescente.
Tutto chiaro! C’é poco da interpretare. Svolgimento: si direbbe in questo caso: insufficiente. Nella rete dei cittadini per Oristano e della città che vorrebbero, implacabili sono le foto su corduli di marciapiedi divelti, caditoie in stato pietoso, lampioni dimora di piccioni e quant’altro. Talvolta sembra si esageri in minuziosità quasi compulsive, a ricercare il degrado anche quando non lo si vede ad occhio nudo. Ma si sa! Pochi secondi sono sufficienti per sporcare ed imbrattare con graffiti non proprio artistici, molto più tempo per impegnare risorse umane ed economiche da adibire al riordino.
Risultato: un cahier de doleance sempre aperto ed in continuo aggiornamento. Macchinosamente riproposto in Consiglio comunale attraverso la prospettata adesione ad un portale esterno sul tema, che comportava più di qualche problema procedurale come evidenziato, da legale competente qual è, dal consigliere Martani. Ma in quel consesso vanno trovate le soluzioni e non solo le eccezioni. Poiché poco resta da inventare, basterebbe seguire l’esempio virtuoso del sistema adottato da un Comune come Prato – http://decorourbano.comune.prato.it/ – il cittadino segnala ai recapiti indicati la natura del problema magari corredato da una foto sul sito del Comune e l’intervento di ripristino è documentato dalle immagini, creandosi pertanto un archivio delle segnalazioni che saranno oggetto di nuove modalità di intervento qualora dovessero ripetersi, oltre che un monitoraggio costante dei siti, delle segnalazioni e degli interventi.
L’unica doccia fredda proviene dallo scorrere dei dati sul PIL o dalla gelata delle valutazioni di Moody’s su una crescita vorace ma insufficiente, come granite avvelenate, per scoprire che in fondo diventiamo pericolosamente sempre più poveri. Archiviato il successo di Mondo Ichnusa, la riunione pubblica convocata solo il giorno prima sul bilancio, registra solo sette presenze, disertata da associazioni di categoria ed organizzazioni sindacali – oltre che dai cittadini – attesta l’indifferenza di una città che annega tra problemi e malessere economico-sociale. Il paventato segnale di discontinuità si è via via fatto più debole, quasi impercettibile. Ma ci si chiede che fine hanno fatto i poco meno di 550 candidati concorrenti nelle 23 liste per i sei candidati a sindaco, un candidato ogni 540 abitanti. Delusi, disimpegnati, distratti? Insomma è più facile apparecchiare una tavolata dal sapore contradaiolo senese in piazza Eleonora per 200 persone, autoconvocata da un gruppo f. b., che bandire un tavolo di centrosinistra dove alla fin fine, sarebbe un solo commensale a decidere il menù, come si tiene a precisare!
Gli oristanesi sembrano voler investire in “beni rifugio”, che cioè conservano il loro valore nel tempo di fronte alle incertezze dell’oggi. Evidentemente i ricordi offrono questa opportunità. Ma attenzione, una loro scarsa diversificazione in una società dove anche le classi medie sono “borderline”, non esclude spiacevoli sorprese. Resta ancora vuoto – e non certo per lo scampato pericolo! – il tavolo della crisi, anche se munito perfino di relativa segreteria, nell’attesa di una stanca riedizione della mitica “vertenza Oristano”.
In questo scenario non ci si deve sorprendere se passa inosservato il quarantennale di Oristano quarta Provincia della Sardegna. Forse perché in Italia si celebrano unicamente le vittorie piuttosto che trarre insegnamento dalle sconfitte, che non necessariamente debbono avere le conseguenze di una rovinosa disfatta ma senza sottovalutare l’azione erosiva, defatigante, delle occasioni mancate (molte!), del localismo foriero di comode carriere percorse da esponenti politici, impegnati ad infoltire le schiere di formazioni continentali in vista di scontri del tutto estranei al territorio. Oggi non è molto diverso in Consiglio Regionale, con buona pace di un risorto sovranismo.
Il bilancio comunale di previsione passa nello spazio di questa mattinata, con la novità di un solo emendamento del Sindaco, però in qualità di assessore alla cultura. Appare inspiegabile come le deleghe assessoriali restano accentrate, mentre si distribuiscono, non prive di perplessità sotto mentite spoglie, quelle vaghe ed approssimative tra i consiglieri. L’opposizione appare più che insofferente, stanca, demotivata, affetta di reducismo secondo l’epopea di Scarpa, Ortu, Barberio e Nonnis, effetto di una sorta di addio ai sogni di gloria oramai giunti alla meta. In altri tempi la discussione del documento contabile sarebbe stata inondata da una valanga di emendamenti, visto il tempo utile residuo fino al 30 di settembre.
La via da e per l’Aventino non registra nessun andirivieni, a conferma che non è mai stato un comodo e duraturo luogo di villeggiatura. Il PD non fa mistero dell’andamento lento della sua amministrazione locale: almeno così lo definisce qualche suo autorevole dirigente, che recita il “de profundis” per l’assenza della politica con la “P” maiuscola.
Si rilancia il rapporto col personale dell’amministrazione comunale, a più riprese definito “l’autentica risorsa strategica” di un’amministrazione. I sindacati, così riservati, non ci sembrano ansiosi di affrontare questa nuova sfida, che può presentare problematici effetti collaterali. Il confronto che doveva iniziare con la dirigenza, registra sul nascere già una clamorosa ritirata, il dietro front del Sindaco, in capo a cui è rimasta la delega per il personale, sul procedimento di rescissione contrattuale di una delle due figure apicali del settore tecnico. Ne sapremo di più, anche se poco è rimasto all’interno del più stretto riserbo, alla ripresa dalle ferie, quando si discuterà un’interrogazione sulla vicenda presentata dall’opposizione. Certo una valutazione surreale effettuata dai vertici del PD non aiuta e non si capisce dove si vuole andare. Invece sembrava, sembrava – non si tratta di un refuso – che proprio da lì occorreva cominciare se non altro per una questione di metodo, laddove le gratifiche per il raggiungimento dei risultati di obiettivo sembrerebbero erogate per una sorta di automatismo, anche quando alcune retribuzioni che equivalgono alle stesse di un capoluogo di oltre 150.000 abitanti, sono riconosciute per coordinare poi 300 unità lavorative in meno.
Sembrano in troppi a volersi togliere i fastidiosi sassolini dalle scarpe ed in tanti a non voler vedere o sentire. Le previsioni, non solo meteo, danno per certo un autunno caldo come quello del 1969, chissà perché non quello del 1992, quando si sfaldò il sistema dei partiti della prima Repubblica, da perderne oggi il conto della sua numerazione.
Intanto, a Sassari, alla Faradda di Li Candereri dopo il tradizionale brindisi a “zent’anni”, all’uscita serale dal Palazzo di Città del nuovo Sindaco Nicola Sanna con la sua giunta, saranno più i fischi o gli applausi? I primi sono i più fragorosi anche per via dei fischietti. Una licenza laica alla simbologia dei Candelieri, a cui i sassaresi non intendono rinunciare dopo averla instaurata negli anni Settanta. Ad Oristano invece dovremo aspettare una delle strampalate classifiche che si stendono nel Paese, che ci ha visto già capitale del buon umore, col Sindaco più antipatico, mentre più di recente secondo il Sole 24Ore con i severi e preoccupanti dati INPS, la Sardegna è la prima per pensioni di invalidità ed Oristano capeggia l’elenco con 9,4 per cento di pensioni erogate sul totale della popolazione, per un importo medio di 422,4 euro al mese.
Solcano la geometria della piazza, all’ombra finalmente della torre Mariana, delimitata dall’acqua che sembra prendersi gioco, quelle ombre dalla dimora precaria e dalla meta incerta, con quella fretta inspiegabile dei passi che vuole dimenticare la prima ed illudere la seconda. E purtroppo non sono un miraggio tremolante dell’afoso orizzonte urbano. Ad un saluto a quei nomi semplici, quasi ad interrompere l’insopportabile peso della solitudine, ti risponde quello sguardo svagato ed insieme teso, ancora più inconfessabile della stanchezza di quelle travagliate esistenze, laddove anche i ricordi finiscono per fare del male. La Caritas ha annunciato che anche quest’anno non va in ferie. E la chiamano estate!