È una storia strappalacrime, di quelle che purtroppo esistono senza nessuna spiegazione: c’è, punto e basta. Lacrime che invece non appartengo né alla burocrazia né alle istituzioni di competenza. Una mamma in trincea da 20 anni che non molla la battaglia per amore dei due figli, entrambi affetti della stessa malattia, una patologia “unica” al punto che nessuno è riuscito ad attribuirle un nome. “Grave ritardo psicomotorio” dicono i medici; la mamma, invece, afferma: «C’è molto di più. I miei figli non camminano, stanno solo seduti, non parlano, masticano male e nessuno riconosce la giusta diagnosi». È la storia di Luisa Caddeo, anni 44, asseminese con una forza da leonessa. Vive con Roberto, 19 anni, e Sara di 16, i suoi due bimbi speciali che dal loro mondo solitario fanno tanti sorrisi e offrono carezze. Anni rinchiusa a casa perché non aveva i mezzi adatti per portare al parco Sara e Roberto. Poi lo spiraglio di luce grazie a Le Iene che con la loro professionalità l’hanno aiutata mettendo in evidenza una situazione da troppo tempo ignorata. Oggi però l’ennesimo appello: c’è bisogno di un appartamento al pian terreno, adatto alle esigenze dei suoi ragazzi. Luisa malgrado tutto insegue il sogno di creare una fattoria didattica per disabili: l’obiettivo è di alleviare le sofferenze e difficoltà ai tanti ragazzi come Roberto e Sara, e ai loro familiari.
Roberto, il primo figlio. Vivevo in Germania, dove ho conosciuto il mio ex marito che ho sposato nel ’93. Nel settembre del ‘94 nacque il mio bambino, dopo una gravidanza difficile: sola in un paese straniero e lontana dalla mia famiglia non è stato facile. Roberto cresceva lentamente e la placenta invecchiava precocemente. Nacque a trentaquattro settimane, piccolo, stette due mesi in incubatrice. I problemi sono incominciati subito, non cresceva e non riusciva a nutrirsi, soffriva di ipotonia, una riduzione del tono muscolare, strabismo e tanto altro: rimase ricoverato per almeno due anni.
Poi Sara. Sara è nata a Cagliari. Gli esami invasivi mi assicurarono che la bambina sarebbe stata sana, invece, come Roberto, parto difficile probabilmente a causa dell’ipotonia. La bambina ingerì il meconio, le prime feci del neonato lesionando il polmoncino destro. Rischiò la vita. Iniziai una spietata ricerca di specialisti e cliniche che potessero aiutarmi a scoprire cosa avessero i miei figli, non volevo arrendermi al giudizio di qualche medico secondo cui non sarebbero sopravvissuti all’ottavo anno di età. Andai al Gaslini, a Genova, anche lì non riuscirono a capire di che sindrome si trattasse. La diagnosi è “rara malattia con grave ritardo psicomotorio”.
Poi la separazione. Il mio matrimonio non resse la situazione e nel 2011 sono tornata dalla mia famiglia ad Assemini. Vivo ospite da una mia cara amica in una casa al primo piano inadeguata alle nostre esigenze: le continue crisi epilettiche disturbano in piena notte i vicini, non posso uscire liberamente perché bisogna essere almeno in tre, non ho un parcheggio sotto casa. Ma oggi c’è Fabrizio, il mio nuovo e grande compagno, il mio sostegno morale.
Mamma a tempo pieno. Certo. Pablo Trincia, de Le iene, ha ascoltato le difficoltà di una vita dedicata interamente ai miei figli: non posso lavorare, visto l’enorme impegno giornaliero e le istituzioni non sono pronte a tendere una mano in situazioni come la mia. Un’associazione del Trentino, che ha visto il primo servizio mandato in onda, ha pensato di fare una raccolta fondi e a febbraio di quest’anno mi hanno consegnato un multivan, un auto adeguata per trasportare i mie bambini. Poi la ASL ci ha fornito un letto nuovo per Sara e, finalmente, delle carrozzine fatte su misura. Alcuni medici, sempre grazie al servizio televisivo, si sono offerti per visitare i bambini privatamente e gratuitamente, nonostante non lavorino in un ospedale sardo. Ho trovato anche una cooperativa di servizi che mi aiuta nel quotidiano per alleggerirmi il carico di lavoro. Oggi Sara e Roberto frequentano l’Aias di Decimannu e finalmente escono e socializzano.
Prima de Le Iene come vivevano i tuoi angioletti? Difficile gestire una situazione come quella dei miei figli: troppo grandi per frequentare la scuola e troppo piccoli per i centri Aias, anche la fisioterapia diventava impossibile. Il centro S. Maria Assunta a Guspini purtroppo chiuse nel 2009: lì grazie a personale specializzato il loro stato di salute era migliorato. Roberto, sostenuto, era riuscito a fare dei piccoli passi e Sara a stare in piedi; la loro alimentazione era passata da frullata alla possibilità di mangiare ogni tipo di cibo. Le cose che funzionano in Sardegna non durano, peccato. Poi con gli sporadici cicli di riabilitazione di 45 minuti la situazione peggiorò.
Il tuo nuovo appello. Riuscire a trovare al più presto una casa al piano terra adeguata alla situazione con un canone d’affitto proporzionato a quelle che sono le mie possibilità finanziarie, partendo dal presupposto che a detta del Comune non ci sono case per disabili. Comunque le mie entrate sono le indennità di accompagnamento.
Il tuo futuro. L’Associazione Assimilia Assemini Onlus, cercare di arrivare ai fondi di Bruxelles grazie alla regione Sardegna per realizzare il progetto di una fattoria per ragazzi disabili con disturbi pervasivi dello sviluppo e dargli la possibilità di svolgere delle terapie, cosiddette, di buone prassi come la pet terapy, la ippoterapia, l’ortoterapia. Anche per Roberto e Sara.
* La Donna Sarda