di Cristina Muntoni *
Cagliari, 1812. È una fredda mattina di novembre e uno strano silenzio domina il Palazzo Regio. La Corte Sabauda, rifugiata nella capitale del Regno dopo la cacciata dal Piemonte da parte delle truppe napoleoniche, è in attesa di sentire un pianto. La regina Maria Teresa sta per partorire e al sesso del nascituro è legato il destino della casata. L’unico possibile erede della Corona è morto a tre anni, in circostanze non chiare. «Probabilmente avvelenato – scriverà l’abate Schiaffini, padre spirituale della regina – giacchè il medico gli dava una tal medicina che lo faceva contorcere». Ora, se non nascerà un maschio, la Sardegna sarà persa, passerà ai Carignano, nelle mani di Carlo Alberto. È un anno difficile. La carestia, le malattie e la fame sono così laceranti che i cagliaritani continueranno a ricordarlo per i secoli a venire con l’espressione “s’annu doxi” per riferirsi a un periodo tragico. Siamo nel periodo caldo dei moti indipendentisti sardi. È l’anno della congiura di Palabanda, la rivolta contro i Savoia che si concluse con l’impiccaggione dei cospiratori e i sogni infranti di chi voleva ribellarsi alle nuove insensate tasse per sostenere le spese di Corte. Tutte le speranze di un futuro migliore dipendono dal sesso del figlio della regina. Il pianto arriva. Sono le 8 e 50 minuti. Re Vittorio Emanuele viene immediatamente informato. È una femmina e la delusione non viene nemmeno celata. «Tutta la Corte si ritirò mortificata», si legge nel diario di Carlo Felice che descrive l’atmosfera di profondo sconforto che raggelò quell’istante. Ma, in mezzo alla glaciale disillusione e al clima di disgrazia, una bambina piena di vita apriva gli occhi per la prima volta. Bellissima e sana, ma femmina. Ad accoglierla, non il calore di una madre distratta dal dover sostenere sguardi giudicanti, ma la luce che entrava abbagliante in una stanza affacciata sui tetti di Cagliari, sulla Sella del diavolo e sul mare. Maria Cristina, principessa del Regno di Sardegna e futura regina del Regno delle Due Sicilie, è destinata ad una vita di lacerante solitudine emotiva, ma anche di gesti di grazia e potente bellezza. Del suo passaggio non troverete quasi nulla nelle monografie sui Savoia perché la “reginella santa” – come la chiamavano già in vita – non cambierà le date della storia, nè inciderà nel destino di un’Europa rivoluzionata dall’avventura napoleonica. Il suo passaggio cambierà però la visione del mondo di molte persone e la sua vita è ancora oggi un esempio da imitare. È la vita di una cagliaritana straordinaria che offre una chiave di lettura nuova e diversa del periodo dei Savoia di cui abitualmente, nella storia dell’Isola, si ricordano solo le ombre.
A gettare luce su queste pagine ombrose sono stati soprattutto gli studi dei due filosofi ricercatori sardi Ilaria Muggianu Scano e Mario Fadda che, con Maria Cristina di Savoia. Figlia del Regno di Sardegna regina delle Due Sicilie (Arkadia ed., 258 pag., 17 euro), aldilà degli intrighi di Corte, dell’etichetta e delle rigidità di un sistema dominato dall’apparenza, hanno fatto emergere il volto umano di una ragazza che, soprattutto dopo la morte della madre, si trovò a muoversi spaesata come un’intrusa nei corridoi dei Palazzi Reali, in balìa di piani macchiavellici e manovre politiche sanguinose dove diventa pedina di una lugubre scacchiera umana.
Prima di morire in circostanze non del tutto chiare, si aprì al mondo con curiosità, intelligenza e una generosità tale che ha portato a proclamarla Venerabile nel 1859, Beata la primavera del 2013 e forse Santa nel prossimo futuro. La prima di Cagliari. Il tratto distintivo della sua santità sta soprattutto nell’enorme attenzione verso i poveri e per la condizione femminile rispetto alla quale sentì forte il bisogno di fare qualcosa per restitutire dignità e libertà di scelta alle donne. Esattamente quella che non ebbe lei quando, alla morte della madre a Torino, non potè nemmeno partecipare al suo funerale perché Carlo Alberto le ordinò di partire immediatamente a Napoli per sposare il re delle Due Sicilie Ferdinando II, così irruento e profondamente diverso dalla sua natura delicata e sensibile che la portò a desiderare, piuttosto, di farsi monaca. Così come Francesca Sanna Sulis (che morì due anni prima della sua nascita) avviò un’impresa per la produzione della seta, in cui dava lavoro e dignità a tanti poveri, soprattutto donne e con questa impresa e un progetto di istruzione, mirava a restituire alle donne la sovranità sulla propria vita. In questa seteria a San Leucio, vicino a Caserta, promulgò uno statuto che ha fatto parlare certi storici di «comunismo» borbonico: eguali diritti ereditari per uomini e donne, libertà assoluta per i giovani di contrarre matrimonio senza il consenso dei genitori, istruzione obbligatoria, una casa per gli orfani, una magistratura elettiva, una serie di attività e risorse con una gestione collettivizzata. Un microcosmo di pari dignità, una città ideale e immaginifica dove la felicità era un diritto inalienabile, non un caso fortuito tra equilibrismi insostenibili. La sua passione per il divertimento ha fornito materiale utile per opporre resistenze nella causa di beatificazione al Promotore della Fede, il cosiddetto “avvocato del diavolo”, «come se questo suo mostrarsi molto contenta ai balli fosse disdicevole», spiegano gli autori della monografia. Maria Cristina amava gli spettacoli a teatro e i balli a Roma, Napoli e Torino, dove capitava si presentasse in costume sardo e piume di fenicottero, a memoria di quella terra che lasciò per Torino nel 1815, ma a cui si sentì sempre legata. Un legame reciproco se si pensa che, a cento anni dalla sua nascita, i festeggiamenti per il suo ricordo raccolsero a Cagliari una folla oceanica, tutta la stampa sarda dedicò un mese intero alla sua memoria e un cagliaritano, il canonico Efisio Serra, elargì un sussidio “alle bambine di famiglie bisognose che nasceranno il 14 novembre alle quali verrà imposto al sacro fonte battesimale il nome della Venerabile Maria Cristina”. Lo scorso gennaio si è celebrata a Napoli la sua beatificazione con duemila persone riunite alla Basilica di Santa Chiara e un festeggiamento a cui hanno partecipato i principi Carlo e Camilla, Amedeo d’Aosta, Gabriella di Savoia, la princpessa Clotilde moglie di Emanuele Filiberto, numerosi discendenti dei Borbone delle Due Sicilie e una variopinta rappresentanza delle più antiche dinastie reali d’Europa. A raccontare la vita di Maria Cristina sarà in autunno un docu-film diretto e sceneggiato da Ilaria Muggianu Scano, “I luoghi della storia – La Regina che vide il futuro”, le cui riprese sono in corso in questi giorni. Il film è inserito nel progetto Cagliari Capitale Europea della Cultura 2019 e a interpretarlo saranno Claudia Tronci, Camilla Soru, Gianluca Medas e Massimo Zedda, intervistato dalla regista in qualità di sindaco della città natale della “reginella santa”. «La narrazione sarà contrappuntata da delicati espedienti semiotici che legheranno scena a scena – racconta la regista – L’intenzione è quella di rifuggire il facile escamotage di gusto folckloristico». Perché è stata una donna straordinaria? «Cristina ebbe dei gesti di generosità estrema verso tutti durante tutta la sua vita e fu un’autentica enfante prodige. I sette articoli dello statuto della Colonia di San Leucio fissavano le regole per un’idilliaca vita in comune. Le donne, prima ridotte a tante automi, spesso erano vittime delle violenze e dell’alcolismo dei loro mariti. Una volta recuperate alla vita, diventano le interlocutrici principali della Reginella, forse morta assassinata». Alle 12 e mezza del 31 gennaio 1836, dopo aver partorito il suo unico figlio due settimane prima, Cristina muore nell’isolamento imposto dal medico, lasciando al marito, di cui si diceva la picchiasse, la possibilità di stabilire nuove alleanze sposando Maria Teresa D’Austria. Smantellata la cassetta sulle scale che percorreva ogni giorno e dove chiunque poteva infilare un biglietto con suppliche e richieste di aiuto economico, di Cristina rimase il decalogo di vita che scrisse per se stessa. “Non dare retta ai consigli e avvertimenti di tutti. Pensar bene, prima di far una cosa, alle conseguenze, Essere garbata con tutti, senza render conto dei fatti miei a nessuno, né dar troppa confidenza. Non lusingar la gente lasciando credere il falso per compassione di far dispiacere dicendo la verità”
* L’isola delle Donne (La Donna Sarda)