di Eleonora Bullegas *
Enrico Bonacini ha le sembianze apparenti di una persona gentile e una buona posizione economica. Miriam ha solo 18 anni quando lo incontra. Infanzia e adolescenza le ha trascorse in una famiglia con poche possibilità economiche, dove le è stata impartita un’educazione rigida. Miriam ed Enrico si sposano dopo un breve fidanzamento. Lei capisce subito di aver messo la sua vita nelle mani di un carnefice. L’idea romantica dell’amore si frantuma davanti alle prime provocazioni. Presto arrivano violenze psicologiche e fisiche. La scrittrice cagliaritana Maria Mantega, nel romanzo “Io, sola” (Arkadia, 14 euro), affronta l’argomento dei maltrattamenti femminili. La sua prima pubblicazione risale al 2009 con “Oltre il varco”. Nel 2011 è uscito “Antichi segreti”. “Io, sola” è il suo terzo romanzo.
Cosa l’ha spinta a trattare un tema tanto delicato come quello della violenza sulle donne? I miei due primi romanzi sono dei fantasy. Raccontano storie di bambini, ma sono stati letti anche da molte persone adulte. Cambiare genere letterario è stata una sfida. In un momento in cui i tg ci propinano atti estremi di femminicidio, mi sono detta che sarebbe stato interessante scrivere un libro in cui si raccontassero le dinamiche nascoste e antecedenti il fatto ultimo e cruento della violenza più efferata, quale l’omicidio o l’omicidio/suicidio da parte del partner. Perché tante donne resistono anni accanto al loro carnefice senza il coraggio di riprendere in mano la propria vita? Qual è il ruolo della società? Quale quello delle istituzioni? Le attuali leggi sono sufficienti a tutelare le vittime? Come riconoscere la violenza psicologica? “Io, sola” vuole rispondere a queste e a tante altre domande e far riflettere la società.
Di cosa si occupa nella vita e com’è nata la sua passione per la scrittura? Lavoro in un negozio di usato per bimbi e di prodotti Bartolucci, i classici lavori in legno della bottega di Geppetto: un ambiente che non stona col mio animo sognatore. La mia passione per la scrittura è nata alle scuole elementari grazie ad un’insegnante che mi ha trasmesso l’amore per la letteratura. In quarta elementare avevo già una buona infarinatura de I Promessi Sposi. Un giorno, in quinta elementare, la maestra ci diede un compito con un titolo impegnativo: “I bambini e la fame nel mondo”. Scrissi con passione tutto ciò che avevo dentro di me. Il giorno seguente la maestra mi lodò per il mio lavoro. Le sue colleghe, dalle altre classi, vollero venire nella mia per conoscere “quella bambina che aveva svolto un così bel tema”. Fu allora che decisi che avrei scritto per tutta la vita. Avevo capito che la mia timidezza non era più una barriera. Ora sono impegnata nella stesura di un nuovo romanzo e ho già in mente quello che lo seguirà.
La vicenda di Miriam riflette le storie di violenza vissute da migliaia di donne. Come ci si difende dall’uomo di cui si è innamorate che si rivela brutale? L’esperienza di Miriam vuole insegnarci a dire subito “basta” senza attendere un secondo ceffone. Abbiamo da amare innanzitutto noi stesse. Dobbiamo renderci indipendenti economicamente e ideologicamente. Solo in seguito potremo riconoscere l’uomo giusto da amare. L’errore più grande, che può fare una donna vittima di violenza che esce dal suo incubo, è rifugiarsi in un’altra storia sentimentale senza prima aver ritrovato se stessa. Miriam ci insegna che da sole è faticoso difendersi. Il gioco giusto sarebbe quello di squadra, tra vittima, società e istituzioni contro l’orco di turno.
Alla fine del libro lei ringrazia le sue figlie “perché mai, diventate donne, vivano una simile esperienza”. Cosa le hanno detto dopo aver letto Io, sola? Oltre che un ringraziamento vorrebbe essere un augurio. Elisa ha 10 anni e non ha letto il libro: troppo piccola per capire i particolari di una storia così dura. Laura ha 17 anni. È stata la mia prima lettrice. Si è commossa e mi ha incoraggiata alla pubblicazione. Mi dice: «Mamma, io non cadrò mai in una trappola simile». Il mio cuore di mamma spera e trema. Il mio augurio è quello che le mie figlie, come qualsiasi altra donna al mondo, abbiano il giusto spirito di discernimento nella distinzione tra amore vero e amore malato.
Tra i ringraziamenti finali, ce n’è uno anche all’associazione Donne al Traguardo, che da anni si batte per sostenere le donne vittime di maltrattamenti. Quali messaggi ha voluto lanciare con questo romanzo? Mai attendere il secondo schiaffo: nessun uomo ha il diritto di picchiare una donna o privarla della sua dignità. Parlare sempre di ciò che abbiamo subìto. Le vittime non devono avere vergogna. La vergogna è tutta del carnefice. E se non si viene ascoltate in famiglia, rivolgersi a un centro antiviolenza senza il timore di essere intercettate o di compromettere la propria privacy.
Il messaggio finale più importante è quello di avere tanto coraggio, di lottare sempre e comunque per la vita. Miriam non perde la speranza. Per lei stessa e per un mondo migliore.
* l’isola delle donne