di Maria Adelasia Divona
In occasione dell’iniziativa “Monumenti aperti” all’inizio di maggio, sassaresi e turisti hanno potuto ammirare il restauro quasi ultimato dell’ex Ospedale civile SS. Annunziata sito in Piazza Fiume. Nel 1841 l’amministrazione comunale deliberò la costruzione di un nuovo ospedale, e il re Carlo Alberto, dietro richieste pressanti della comunità sassarese, concesse alla città di espandersi fuori delle antiche mura medievali. Prima di tale data, Sassari possedeva un vecchio ed insufficiente ospedale in Via Arcivescovado, sorto in seguito alla soppressione dell’Ospedale dei Lebbrosi, risalente al XVI secolo e localizzato nei pressi del complesso di San Pietro in Silki. La nascita dell’ospedale della “SS. Annunziata” è dovuta alla fusione di tre ospedali: di Santa Croce (XV sec.), dell’Annunziata e di Santa Maria Maddalena.
Il progetto fu affidato all’ingegnere piemontese Carlo Berio, i lavori all’impresa del sassarese Giovanni Fogu e la direzione dei lavori all’architetto dell’amministrazione comunale Giovanni Maria Piretto. Il progetto presentava una struttura a raggiera che prevedeva, sulla base delle indicazioni mediche dell’epoca, la separazione dei malati. La prima pietra fu posata l’8 giugno 1843 alla presenza di un rappresentante del re, e il 29 settembre 1849 il nuovo edificio fu ultimato, almeno nella parte riservata ai malati. Chi lo ha visitato ha potuto leggere sulle lapidi presenti lungo lo scalone e al primo piano, nell’Atrio dei Benefattori, i nomi dei munifici cittadini che, con il loro generoso contributo, resero possibile l’attività e lo sviluppo dell’ospedale, nonché la bellissima cappella a pianta semicircolare dedicata alla SS. Annunziata. L’altare in marmo bianco fu fatto erigere dal sacerdote Salvatore Sassu su disegno di don Simone Manca, primo sindaco di Sassari dopo l’Unità. Attraverso grandi vetrate la Cappella comunicava direttamente con i tre bracci dell’ospedale in cui erano situate le camerate di degenza, consentendo agli ammalati di assistere alle funzioni religiose.
L’intervento di restauro è stato finanziato dalla Direzione Generale per le Biblioteche del Ministero per i Beni e le Attività culturali ed è stato diretto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici, il Paesaggio, il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Sassari e Nuoro. Dal prossimo giugno il complesso monumentale dell’ex ospedale ospiterà la Biblioteca Universitaria di Sassari, Istituto del Ministero per i Beni e le Attività culturali, la cui nascita è strettamente legata a quella dell’Università (1562): attualmente possiede c.a 300.000 volumi, di cui c.a 1000 manoscritti e 73 incunaboli e diverse migliaia di cinquecentine e di edizioni del sec. XVII e XVIII. Conserva una preziosa e nutrita raccolta di storia locale, nonché il prezioso Condaghe di San Pietro di Silki.
A chi sarà intitolata la Biblioteca? Sarà il Il MiBAC a deciderlo, avendo finanziato il restauro, ed è per questo che sul sito delle petizioni on line change.org si è aperta la competizione di due gruppi contrapposti: Berlinguer o Deledda? Da un lato è nato un apposito “Comitato Biblioteca Enrico Berlinguer – Sassari” che nel trentennale della scomparsa intende così ricordarne la passione e l’impegno politico e civile, onorando la memoria e il lascito morale e civile di un illustre sassarese che si è affermato come una delle figure più importanti del pensiero politico del ‘900. Primi firmatari della petizione sono stati, tra gli altri, Manlio Brigaglia, Salvatore Mannuzzu, Giulio Angioni, Simonetta Bagella, Gianni Caria, Paolo Carta, Daniela Cossiga, Vindice Lecis.
La proposta di intitolazione a Grazia Deledda viene da Dino Manca, docente di Filologia della Letteratura italiana e Letteratura e filologia sarda presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Sassari e membro della Commissione lingua e cultura sarda della stessa università. Sostiene Manca nella sua argomentazione: “La scrittura crea i libri, i libri, veicolo di saperi e vissuti, creano le biblioteche e le biblioteche rappresentano il luogo della memoria delle comunità insediate in un territorio. Attraverso la memoria si ricostruisce l’identità personale e collettiva e si dà un fondamento alla coscienza di sé. Senza memoria vengono meno i legami con le proprie radici e si cessa di essere coscienza progettante. Non esiste comunicazione senza contesto, così come non esiste metodo educativo, formativo e informativo al di fuori delle coordinate spazio-temporali e quindi ambientali. Lì dove si fa più stringente il rapporto fra istituzioni culturali e territorio, non può dunque mancare una riflessione seria sui codici e sui linguaggi, soprattutto in una regione peculiare e complessa come la Sardegna. La biblioteca è un’istituzione, un presidio, un simbolo che comunica, a partire dalla sua intitolazione. E chi, ci si chiede, meglio di una scrittrice, di un premio Nobel, può rappresentare il «granaio» etico ed estetico dei sardi, il modello letterario più alto, il paradigma di un’identità di popolo, contro l’«inverno dello spirito»?”
Mi limito a poche considerazioni: non si discute la statura dei due personaggi. Proporne un confronto non è opportuno, ognuno ha la sua rilevanza nel proprio ambito di operatività, non sono, come si direbbe in economia, beni sostituti né complementari. Berlinguer è appartenuto a una delle famiglie storiche sassaresi, ma tutta la sua attività politica si è svolta in continente. Berlinguer è già un patrimonio nazionale. La Deledda ha speso metà della sua vita a Roma, ma il suo immaginario è stato sempre proiettato sulla Sardegna. Pur essendo premio Nobel per la letteratura, solo dallo scorso anno i suoi libri sono stati inseriti nei programmi scolastici italiani. A lei sono dedicate piccole biblioteche comunali in giro per l’Isola ma, a parte la sua casa a Nuoro, non c’è in Sardegna un luogo simbolico che ne faccia risuonare il nome. Grazia Deledda è, al momento, patrimonio quasi esclusivo del popolo sardo. Perché non promuoverne il nome affinchè diventi anche lei patrimonio collettivo? Staremo a vedere che decisioni saranno prese a Roma, ancora una volta, per conto dei Sardi.