di Antonio Mannu – Progetto Migrazioni
Questa pagina, già pubblicata sul quotidiano La Nuova Sardegna, nasce dal progetto: “Migrazioni – In viaggio verso i migranti di Sardegna”, un lavoro collettivo di ricerca sulla migrazione sarda. “Migrazioni” è sostenuto dalla Fondazione Banco di Sardegna, dalla Provincia di Sassari, dalla Camera di Commercio Italiana negli Emirati Arabi e dalla Visual E di Sassari. Al progetto è dedicato un sitoweb: www.deisardinelmondo.it
«Qui ad Hong Kong sono arrivata nel 2010, da Dublino, dove lavoravo per la Citibank. Adesso lavoro per la Bank of America». Paola Corizia è sassarese. È nata nell’aprile del ’77 e nel 2000, quando frequentava l’Università, è partita per l’Irlanda. L’intenzione? Fare un corso di inglese per 6 mesi. «È finita che ho lasciato l’Università e in Irlanda ci ho passato undici anni» Quando parte Paola è arrabbiata e delusa. Trova l’ambiente sassarese chiuso e conformista, vede meccanismi che non accetta. «Non mi piaceva dover avere delle conoscenze per andare avanti. Non mi piacevano i “ciarameddi” (pettegolezzi ndr), le discussioni a senso unico, l’abitudine a sentenziare, le certezze granitiche e condivise. Avere opinioni diverse non era accettato. Mi sono stancata e mi son detta: “Proviamo ad uscire un momento!” Fuori ho trovato meno conformismo, un mondo in cui era legittimo avere una propria opinione, dove potevo vivere senza che qualcuno mi dicesse come. A quel punto mi sono liberata». Al principio è dura. Poca dimestichezza con la lingua, pochi soldi. Studiare e lavorare: che fatica! È ancora grata a due ragazzi di Sedini, fratello e sorella che, senza chiederle nulla, nei primi tempi la ospitano per alcuni mesi. Poi la decisione di restare più a lungo. «Lavoravo tanto, bar o ristoranti, a volte anche due lavori, 15 ore al giorno. Ad un certo punto ho pensato che era ora di tornare». Invece, in quel momento, un colpo di fortuna. «Ricordo questa persona che si siede al bar, mi guarda e chiede: “Ma tu di dove sei?” “Sono italiana, della Sardegna”. Allora mi ha parlato in italiano. Era marocchino, aveva lavorato in Italia per la Lufthansa. Abbiamo chiacchierato, gli ho detto che ero stanca di quel lavoro e mi ha risposto che forse poteva aiutarmi, sapeva che la Lufthansa cercava personale. Gli ho fatto avere il curriculum e non ci ho pensato più. Un paio di mesi dopo mi hanno chiamata, ho fatto un colloquio, ho cominciato a lavorare». Prima nel servizio prenotazioni, mercato inglese ed italiano, poi in altri settori. Sta bene, ha il 90% di sconto sui voli aerei e ne approfitta. Ma per crescere Paola dovrebbe imparare il tedesco e non le va. L’Irlanda è ancora in espansione, le banche cercano personale e allora si propone. E anche se non sa nulla sulle banche la assumono alla Citibank. Comincia al servizio clienti, dopo qualche tempo si occupa di grossi progetti internazionali che coinvolgono altre banche, gruppi finanziari, grandi investitori. «Oggi faccio la stessa cosa per la Bank of America. Ho lavorato duro, perché non ti regala nulla nessuno, contano solo i risultati. Chi emigra, soprattutto da certi paesi, è disposto a lavorare tanto». Dice che chi arriva da una realtà in cui avere un lavoro non è scontato, sviluppa una dedizione ed uno spirito di sacrificio che altri non hanno. Si riferisce agli italiani, agli spagnoli, ai portoghesi. E fa l’esempio dell’Irlanda, dove in passato era diverso, perché era un paese povero e arretrato. Poi è arrivato uno sviluppo economico anche inaspettato e tutto è stato facile. «Dopo un po’ gli irlandesi si sono adagiati, in quel momento sono arrivati gli stranieri. Assetati di lavoro, disposti a fare di più. È quello che ho fatto io, è un po’ brutale ma è così. È successo anche da noi in Italia, perché questo è quello che fanno gli emigrati. Per la paura di perdere il lavoro, di non farcela, perché devi contare solo su te stessa. Non è competizione, è proprio un senso di necessità, di bisogno. Dovrebbero rifletterci quelli che dicono: “Ci rubano il lavoro!” Lo facciamo anche noi, lo abbiamo fatto. E non rubiamo, lavoriamo». E Hong Kong? «Mi trovo bene, la gente è rispettosa ma non tutti lo sono, noi abbiamo da imparare. È un paese molto influenzato dall’occidente e, purtroppo, la popolazione locale nei nostri confronti ha come un atteggiamento sottomesso. In Cina è già diverso ma qui spesso è così. Penso sia dovuto alla storia, alla dominazione britannica, un popolo con una spiccata attitudine al comando. Quando sono arrivata ero spaesata e anche delusa, a causa dell’arroganza di molti occidentali che si comportano come colonizzatori. Sfortunatamente è facile fare così, perché in un certo senso sono gli stessi abitanti di Hong Kong che ti spingono ad agire in questo modo. Anche se io mi sento un’ospite e come tale mi comporto. I più giovani, che viaggiano, studiano all’estero o nelle scuole internazionali, sono diversi, più svegli e sicuri. Devo dire che, pur nelle diversità, questa sorta di senso di inferiorità mi ricorda la Sardegna. Anche da noi spesso, certo in forme differenti, esiste come una soggezione nei confronti di chi viene da fuori, di ciò che arriva dal mare, anche culturalmente. Penso per esempio alla lingua. Forse è un atteggiamento che ha radici nell’insularità, nel fatto di essere stati al lungo dominati. Ma comunque esiste. Sembra quasi che i sardi, non tutti naturalmente, pensino di non essere in grado di fare certe cose. È triste, perché credo che la Sardegna abbia tante opportunità, ma non riusciamo a vederle e a dargli un senso concreto. Troppo spesso è chi viene da fuori ad aprirci gli occhi e quando poi le vediamo sono ormai in mano altrui – aggiunge Paola Corizia –. C’è anche un fattore economico, nell’isola abbiamo poche risorse in termini di capitali, per fare investimenti e far partire certe dinamiche. Però anche qui forse si sono fatti errori. Penso al settore bancario. Non conosco bene i termini della questione ma ho idea che la cessione del Banco di Sardegna sia stata un’altra opportunità persa. Ancora una volta ci siamo lasciati portar via qualcosa, anche una parte della nostra storia, finanziaria ed economica, della quale non abbiamo più il controllo. E invece di essere padroni – conclude Paola – dobbiamo servire ed obbedire».