di Sergio Portas
Ci voleva Caterina Bonvicini per tenere a bada Geppi Cucciari, a casa Marras, via Cola di Rienzo di Milano, per l’ennesima presentazione dell’ultimo libro di Marcello Fois: “L’importanza dei luoghi comuni”, edito da Einaudi. Non a caso la scrittrice fiorentina col suo “L’eqilibrio degli squali”, Garzanti 2008, ha dimostrato ampiamente di saper penetrare nella psicologia delle persone e nelle distorsioni dei modelli comportamentali dei nostri tempi, che ti fanno incontrare i tipi più strani, alcuni sì affascinanti come gli squali ma che come loro possono avere reazioni altrettanto pericolose. Geppi squalo non è ma neppure lontanamente oserei definirla una mammoletta, e visto che ha fatto della battuta pronta e mordace una caratteristica di lavoro che l’ha portata a diventare una star televisiva di prima grandezza, occorre che sia Marcello sia la Bonvicini siano bravi a non perdere il filo del discorso, quando interloquisce lei. La Bonvicini dice di un Fois anomalo, che ha saputo scrivere un “gioiellino” che spiazza, lui che ci aveva sin qui abituato ad un respiro epico nei suoi ultimi romanzi. Qui ci si trova davanti ad una pièce teatrale, tipo massacro di famiglia in un interno, che riporta a letture di Cechov, il Tennessee Williams di “Un tram che si chiama desiderio” (anche lì protagoniste due sorelle). Fois concorda, dice che ha passato dieci anni coi Chironi che sono i protagonisti della trilogia che va scrivendo, di essersi preso una sorta di vacanza con questo piccolo dramma da camera, che ha l’ardire di voler scandagliare l’animo femminile di due nevrotiche fragili. “Due pazze isteriche” le definisce Geppi, interloquendo da par suo. E in effetti, rileggendo a casa il libro, tutti i torti proprio non li ha. Che queste due gemelle che si ritrovano a casa di un padre morto da poco, che le aveva abbandonate da piccole, a otto anni d’età, hanno un unico problema: non si amano. “Non hanno mai coltivato l’affetto tra loro”, dice Marcello: “Impossibile ricucire un dialogo con una persona che non ami”. “Difatti cercano di sopravvivere a discapito l’una dell’altra”. Fois, come spesso gli capita in queste occasioni, rivendica il suo essere venuto grande in una famiglia popolata di donne, lui unico figlio maschio, in quel di Nuoro, anni sessanta. Con ricordi forti, una nonna capace di detti memorabili: “Non sapete quanto costa comandare”. Aiutato in questo dalla scrittura “che è capace di stanarti delle cose che non diresti mai”. Non la prende bene Marcello quando il discorso scivola sulla definizione di romanzo femminile, per dire del suo ultimo, ha uno scatto d’insofferenza: “La letteratura se ne frega di queste categorie”, facile ricordare qui la Madame Bovary di Bodelaire e l’Anna Karenina di Tolstoi: si è scrittori veri se si riesce a scrivere di tutti, diversamente si può fare al massimo ottimo giornalismo (sic). Di questo romanzo è anomala anche l’ambientazione: questa vecchia casa con una carta da parati che risuona dappertutto. “Sembra di essere in Africa”, dice Geppi. Una vera e propria giungla che rimanda a quei quadri di Rousseau, detto il Doganiere, di cui i critici hanno sempre messo in evidenza l’incongruenza della vegetazione che deborda dai suoidipinti, frutto di una fantasia altrettanto straordinaria. “La carta da parati mi ha sempre messo angoscia”, dice Fois e qui ho cercato di riproporre questo mio sentire. Ha l’effetto di amplificare la sottile perfidia che pervade il discorrere e il ricordare delle due sorelle. “Questa capacità di ricordare delle donne, di cui gli uomini hanno paura”. “Giustamente!” dice Geppi, succede quando il tuo interlocutore, che spesso è il tuo compagno, ricade in un errore che gli era stato perdonato magari cinque, sette anni fa. E allora gli fai scontare tutto, quello di ieri e quello di oggi. E dovreste vedere con che tono lo dice, con che fierezza di occhi. Che non si capisce bene se lo pensa davvero o un po’ ci fa, solo per far scoppiare la sala in una risata scrosciante. E’ molto divertente assistere a queste presentazioni di Fois che si lascia spesso andare a confidenze personali che non diresti mai. Di sé dice di essere uno scrittore che non riesce a prendere un cavolo di appunti. Fortuna che possiede una memoria di ferro. Da quando è diventato padre, si diventa padri solo alla morta dei tuoi genitori, ha un rapporto pieno e diverso coi figli Jacopo e Eleonora, rispettivamente di ventuno e quattordici anni. Solo da poco con Eleonora “non sono più i fidanzati di una volta” e con terrore si è accorto di riproporre con Jacopo atteggiamenti mutuati dalla figura paterna: “sono un genitore tradizionale”. “Con terrore mi sono sentito dire: questa casa non è un albergo! A differenza della mamma che tutto vuole sapere, non voglio che Jacopo mi dica nulla di come passa le sue serate. Mi ricordo troppo bene le troppe cose che mai avrei confidato ai miei genitori”. Dopo la fine di un libro gli prende una tristezza totale. Di questo rivendica la struttura che ha rimandi a una teoria generale del tutto a cui i fisici tendono da sempre. E’ un libro di poca felicità, a suo dire felicità e verità sono inconcepibili in un romanzo. Come dice Proust: “La felicità non fa romanzo”. E sono centinaia di anni che gli scrittori non hanno a protagonisti dei loro libri che la peste, la natura, una donna rapita, il vagare per mare in attesa di un ritorno all’isola natia. Che è senza dubbio l’Itaca di Omero ma non può non essere anche la Sardegna. E “Sei per la Sardegna” si intitola il libretto che Einaudi ha messo in vendita a sei euro, i cui proventi saranno interamente devoluti alla comunità di Bitti, tra le più colpite dall’alluvione. Oltre a Fois ci sono Francesco Abate, Alessandro De Roma, salvatore Mannuzzu, Michela Murgia e Paola Soriga. Ognuno con un suo racconto, ognuno col suo stile di scrittura. E il libro è balzato a sorpresa nella classifica di quelli più venduti, che gli italiani ai sardi vogliono uno strano bene. Fois qui si lascia andare ad una specie di ballata: “ Oh… Ho condotto eserciti di amici continentali/ in giro per spiagge/ sforzandomi di mettergli a disposizione/ quanto di meglio possedessi. E mi aspettavo sguardi incantati/ ma anche quegli sguardi erano solo parti in commedia./ Dopo la roccia cercavano il resort…/ E alla spiaggia gli stabilimenti…/ E un chiosco decente in riva al mare.” (p.38)
Ho tradito nel momento stesso in cui ho pensato che l’unico modo per difendermi dal senso di inferiorità fosse quello di dichiarami, a tutti i costi, superiore. Io ho fatto il turista a casa mia. Certo. Nella terra/spiaggia. Nella terra/ciambella. Nella terra/vacanza. Io ho visto bene me stesso col costume della festa. E mi sono visto come gli altri mi vedevano, non com’ero. Perché adattarsi allo sguardo altrui può diventare una forma di sopravvivenza, ma anche una forma di eutanasia. (pag.36/37).