Il suo cuore è rimasto laggiù nel deserto, tra le tende del campo-stato del popolo saharawi, i senza terra che lei assisteva con amore e dedizione fino a quella notte di ottobre del 2011 quand’era stata rapita da una banda di predoni integralisti. Ma la testa, la vita di Rossella Urru ora è qui. Saldamente in Sardegna, la sua terra. E così, quando ha ricevuto il premio di “Mamuthone e Issohadore ad honorem», non è riuscita a trattenere la commozione, ben mascherata comunque dentro una corazza d’acciaio temprata in un’avventura terribile. Troppo forte ancora il ricordo di quei giorni drammatici «in cui ho anche pensato di non tornare, ma allo stesso tempo pensavo che era inutile pensarci perché non serviva a nulla e allora pensavo a tenere duro a non arrendermi. Sono stata ostaggio di una guerra non dichiarata». Queste le uniche parole che Rossella Urru, la cooperante di Samugheo che aveva fatto battere forte il cuore di tutta la Sardegna e dell’Italia per la sua sorte, si è lasciata sfuggire sul suo rapimento. Il resto sono stati ricordi, anche forti, tanto da farle per un attimo inumidire gli occhi grandi, della sua vita con il popolo saharawi. Emozioni, momenti di vita trascorsi nel deserto, tra gli ultimi, tra giovani che hanno studiato e conosciuto il mondo e sono tornati alle loro origini, senza diritti, senza presente e ancora senza un futuro, perché il popolo saharawi è da 40 anni che sta vagando nel deserto algerino con la promessa di diventare stato, alla ricerca di quell’autodeterminazione, che come ha sottolineato con preoccupazione Rossella Urru, potrebbe un giorno sfociare in violenza. La cooperante di Samugheo è sempre quella che tutti ricordano appena scesa dall’aereo che l’aveva riportata in Italia dopo la tremenda avventura nel deserto. Riservata, silenziosa, timida ma allo stesso tempo molto determinata nell’affermare il suo pensiero. Un’occasione che il Comune di Mamoiada le ha offerto insignandola di un’onorificenza che prima di lei era stata assegnata al Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, all’accademico dei Licei, Giovanni Lilliu e a tante altre personalità. «Grazie Rossella – le ha detto il sindaco Graziano Deiana, nella sala gremita del Museo delle maschere –. Hai messo in mostra la balentia più bella, quella sana. Con la tua forza, il tuo coraggio hai onorato la Sardegna e fatto conoscere al mondo il volto migliore della cooperazione, l’impegno dei nostri volontari, dei nostri giovani che ora anche grazie a te vogliono conoscere una realtà altrimenti poco conosciuta». Rossella ha ringraziato, si è commossa quando l’assessore alla Cultura di Mamoiada, Agostino Melis, le ha consegnato la maschera da Mamuthone e la fune dell’Issohadore, poi si è sciolta raccontando la sua vita prima del drammatico giorno del rapimento e dell’inizio di quell’avventura che non ha ancora completamente superato («Tornare in Africa? Sì lo farò, ma non ora, non ci sono le condizioni») e che ha appena sfiorato rispondendo alla domanda di un mamoiadino. Poi, i ricordi belli degli anni vissuti a contatto del popolo saharawi e del suo impegno costante per loro. Sì, un giorno tornerà ma non ora.
* La Nuova Sardegna