POCHI SAPEVANO CHE I FRATELLI DI WERK KAISER FRANZ JOSEPH FOSSERO 31: L’ASSOCIAZIONE SARDA DI VERONA E’ NEL FORTE A LORO DEDICATO


di Maurizio Solinas

Ha svelato questi misteriosi personaggi, Maurizio D’Alessandro con una fantastica e dotta conferenza per gli “Eventi di arricchimento culturale” promossi dall’Associazione dei Sardi “Sebastiano Satta” di Verona.

Di questi fratelli che hanno nomi altisonanti, Wallmoden, Schwarzenberg, Liechtenstein, D’aspre, Alt Wratislaw, Clan, Culoz, per citarne alcuni, i padri furono: il Maggiore Generale Franz von Scholl e Johann von Hlavarty. Sì, due dei massimi geni dell’architettura militare. Operarono a Verona e dintorni tra il 1833 e il 1848 contribuendo a costruire il più formidabile Campo trincerato, di quel mitico Quadrilatero di risorgimentale memoria che tutti abbiamo studiato sui banchi di scuola ma che molti ricordano vagamente. Lo stratega feldmaresciallo austriaco  Johann Josef  Wenzel Anton Franz Karl Graf Radetzky von Radetz, lo volle a difesa di Verona nello spazio esterno, sulle colline che fanno corona alla Città e nella pianura antistante, del quale fanno parte 31 forti (19 dei quali ancora esistenti) che formavano l’ultimo più moderno sistema imponente a difesa avanzata della piazzaforte asburgica. Erano per lo più seminterrati e in muratura a pietra squadrata o poligonale ma anche in terra battuta e palizzata sul tipo Far West, gli ultimi costruiti. Torri cannoniere, rondelle, terrapieni, fossati, polveriere, arsenali, ridotte, possenti bastioni: solo la cinta muraria è lunga 9 chilometri per una superficie di circa 100 ettari. A chiudere il cerchio, un sistema telegrafico ottico che in meno di venti minuti trasmetteva notizie a tutte le postazioni, di giorno con pannelli di legno mobili e colorati di nero o bianco di notte con segnali luminosi prodotti da lampade a petrolio. Le fortezze più grandi avevano un tracciato esterno poligonale, a volte stellare, con muro alla Carnot a feritoie per i fucilieri, un ridotto di gola o centrale per gli accasermamenti difesi anch’essi da feritoie e bocche per cannoni, caponiere esterne per battere il fossato, alti terrapieni per le postazioni dei cannoni e riservette per le polveri. Tutto era circondato da un profondo fossato attraversato con ponti levatoi agli ingressi. Erano autosufficienti per alcuni mesi e pressoché inespugnabili.  Per inciso anche Budapest è attorniata da fortezze molto simili a queste perché costruite con questo sistema e con la stessa pietra sedimentaria fossilifera dell’eocene, facile da lavorare e atta ad assorbire con poco danno le cannonate.  Passati all’Italia dopo l’abbandono del Lombardo – Veneto da parte dell’impero Austroungarico, si sono salvati quasi integri quelli che furono usati dall’Esercito Italiano fino alla seconda metà degli anni sessanta, soprattutto polveriere o depositi d’armi. Due o tre furono fortemente danneggiati nell’ultimo (si spera) conflitto mondiale. Gli altri vittime dell’ignoranza iconoclasta e dell’incuria delle Soprintendenze, sono stati demoliti non sempre per far posto a opere pubbliche. Di quelli in terra battuta rimangono di alcuni le tracce. Con il tempo i nomi austriaci lasciarono il passo a quelli italiani: Forte Dossobuono, Santa Caterina, San Leonardo trasformato in Santuario alla Madonna di Lourdes, pessimo esempio d’architettura religiosa, San Mattia, Fenilone, Parona e così via. Legato alla storia moderna Forte Procolo dove è avvenuta la fucilazione dei gerarchi fascisti che tramarono contro Benito Mussolini il 25 luglio del ‘43 (Ciano, De Bono con avvocato d’ufficio il sardo Marrosu, ecc., leggi “Il processo di Verona”). Altri per essere stati usati dai nazisti come carceri e luoghi di tortura, San Leonardo e Forte Sofia. A Werk Kaiser Franz Joseph, oggi Forte Chievo (presso la nostra sede) si deve da parte nostra doverosa memoria perché legato al sangue sardo del suo comandate il Maresciallo Gavino Gavini di Sassari.  Impegnato nella Resistenza, passava armi al movimento partigiano, su delazione imprigionato dai fascisti, deportato al campo di sterminio di Gusen dai nazisti morì l’11 aprile del 1945. Nel concludere voglio ricordare che la città di Verona è stata dichiarata dall’UNESCO patrimonio mondiale dell’umanità, proprio le sue mura difensive e non per la favola di Romeo e Giulietta. Quando volete venire a visitare Werk Kaiser Franz Joseph, sarò felice di farvi da cicerone.

Nota:

ci stiamo organizzando per commemorare Gavino Gavini quindi faccio appello alle persone di buona volontà per avere notizie, per sapere se a Sassari c’è ancora qualche suo parente -Gavini Gavino, nato a Sassari 5 dicembre 1904, deceduto in campo di sterminio di Gusen, 11 aprile 1945, Maresciallo artiglieria-. Oppure se ci sono nipoti di Brescia perché il figlio Gavini Giuseppe n. 13.4.1932 e deceduto a Brescia 9.10.1987; in Svizzera Gavini Gianni Michele n. 2.9.1938 deceduto 20.10.1959 ad AARAU (Svizzera); Gavini Rita n. 23.10.1934 emigrata in Germania e sposata con Reichold Friedrich residente a PADERBORN (D) Von Stauffenberg Str. 1.

Ho scritto due lettere a Gavini Rita e una a Reichold Frierdich, senza mai avere risposta. Le lettere non sono tornate al mittente.

Nell’elenco telefonico di Paderborn c’è un certo REICHOLD HERMAN, Vattmannstr, 3, Paderborn 33100, telefono 05251-55674, non conosco il tedesco quindi sarei molto grato se qualche emigrato in Germania telefona chiedendo se è parente di Reichold Friedrich e quindi anche di Gavini Rita. 

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