di Elisabeth Ledda
Antonio appena è possibile ritorna in Sardegna. E sull’aereo ci sale non per
lavorare ma per raggiungere la sua famiglia. Perché, come ogni sardo,
ha radici solidamente piantate nella terra che lo ha visto nascere e crescere.
E nonostante la sua attuale vita lo conduca incessantemente in giro per il mondo,
in volo da un continente all’altro, casa è una parola che continua a fare rima con Gadoni.
“Mi manca svegliarmi e vedere le montagne, respirare l’aria fresca del mio paese”
racconta Antonio Melis, giovane steward della Emirates Airline, con sede a Dubai.
Viaggiare è diventato il suo pane quotidiano. Brasile, Australia, Cina, Stati Uniti,
Sud Africa, Europa, continenti e nazioni che si rincorrono, luoghi lontanissimi e
sconosciuti a portata di mano, centotrenta possibili destinazioni in tutto il mondo.
Un sogno ad occhi aperti per un ragazzo di 26 anni. La passione per i paesi s
tranieri accompagna Antonio fin dai tempi dell’università. “Le prime esperienze
all’estero le ho vissute da studente, e mi sono state utili per perfezionare il
mio inglese, oltre che per divertirmi e incontrare persone di diverse nazioni.
Sono stato per sei mesi a Malta con il Progetto Erasmus – racconta
Antonio – successivamente in Inghilterra con una borsa di studio dell’Università
di Cagliari ed infine in Australia, come assistente di lingua italiana”.
Un viaggio tira l’altro, il desiderio di scoprire posti nuovi e lontani si
irrobustisce meta dopo meta, diventa insaziabile. E’ la permanenza
nel nuovissimo continente a decidere il percorso di Antonio. Come
tutte le cose straordinarie della vita, l’inaspettato accade quasi per
gioco, arriva in punta di piedi e cambia profondamente la vita di chi
lo afferra nell’istante in cui magicamente, si manifesta. “Insieme ad
altri due ragazzi sardi mi sono presentato a Sidney alle selezioni della
Emirates. Non mi interessava particolarmente prendervi parte, ma i
miei amici mi avevano insistentemente convinto ad accompagnarli,
giusto per vedere come potesse andare ma senza nessun reale interesse
per l’esito. Dopo tre giorni di colloqui e prove selettive, sono risultato tra
i dieci vincitori. E chi l’avrebbe mai detto? Mi hanno chiesto quale fosse
la prima data utile nella quale potessi raggiungere Dubai, ed ho subito
preparato i bagagli”. Sulla valigia che accompagna Antonio in ogni suo
viaggio c’è da sempre l’immagine dei quattro mori e la scritta deu seu sardu.
“Quando lavoro su tratte nazionali, capita spesso che mentre si salutano i
passeggeri venga fatto presente che sul volo, oltre all’arabo, all’inglese e
alle altre lingue conosciute dall’equipaggio, ci sia un italiano che parla a
nche il sardo”. Ci tiene Antonio, a precisare le sue origini, in qualunque
posto lo conduca il suo mestiere. “Quando mi chiedono quale sia la mia
nazionalità, rispondo che sono sardo. Lo dico ogni volta, anche se con
l’esperienza ho imparato che purtroppo quasi nessuno conosce la Sardegna.
E mi spiace sempre moltissimo doverlo constatare. Abbiamo tanto da offrire
eppure pochissimi sanno chi siamo, le nostre risorse e le nostre bellezze
rimangono ancora nascoste a tanti, non sono opportunamente promosse,
e per il resto del mondo, continuiamo ad essere degli sconosciuti”.
Raccontaci qualcosa della città in cui risiedi.
Dubai è un miracolo della tecnologia e della modernità, un luogo creato
a tavolino in mezzo alle sabbie del deserto, fortemente proiettato nel
futuro. Lo sceicco è stato molto lungimirante ed è riuscito a realizzare
una città all’avanguardia, sicura, in cui tutto funziona alla perfezione
grazie anche all’utilizzo dei mezzi informatici e di internet. E’ un
paradiso turistico pieno di mille attrazioni. Qualunque cosa desideri
è possibile farla: sciare o nuotare in una vasca con i delfini. I grandi
investimenti fatti in questa città, soprattutto nel settore dell’energia,
del turismo e degli affari, ne fanno un luogo da sogno, alla moda,
ideale per il divertimento dei giovani.
Quali sono gli aspetti negativi di Dubai?
Come ogni città ricca, è un luogo dalle tante contraddizioni.
L’80% della sua popolazione è straniera. Sono presenti moltissimi
indiani, pakistani e bangladesi, umile manovalanza a bassissimo
costo per la costruzione delle opere architettoniche. Vivono in
condizioni di estrema povertà e vengono sfruttati dai potenti locali.
Benchè Dubai sia il regno dell’avvenirismo, le sue forti radici islamiche
la frenano fortemente in questa sua ostentata apertura alla modernità.
Parliamo del tuo lavoro. Cosa ami di questa attività?
Il mio mestiere mi consente di viaggiare continuamente e visitare
luoghi che prima potevo vedere solo attraverso le immagini, su
internet o sulle riviste. Mi sento molto fortunato perché ho potuto
e posso fare cose non accessibili a tutti: attraversare il Golden Gate
di San Francisco in bicicletta, visitare il carcere di Alcatraz, fare una
fotografia al Capo di Buona Speranza, assaggiare cibi nuovi ed insoliti,
come la carne di coccodrillo o di canguro, e tante altre cose ancora.
Come svegliarsi a Dubai e magari addormentarsi a New York, o a
Parigi, o a Pechino.
Quali invece le difficoltà?
Inizialmente l’adattamento ai ritmi lavorativi si è rivelato pesante.
Il sonno diventa sfasato, non si hanno orari stabili che scandiscano
i diversi momenti della giornata: ci si addormenta e ci si sveglia in
base alle esigenze del fisico, si mangia quando si ha appetito.
Tutto è cadenzato dai turni di lavoro, che variano continuamente.
Inoltre scompaiono dal calendario le domeniche e le feste comandate,
tutti i giorni sono uguali per chi fa questo mestiere.
Quale tra le città che hai visitato ti è rimasta nel cuore?
Sono rimasto affascinato da Rio de Janeiro, dal suo clima festoso, a
llegro, dalla simpatia dei suoi abitanti. Mentre mi ha profondamente
colpito per la sua povertà Calcutta, i volti delle persone non mi hanno
lasciato indifferente. Pur nella totale miseria la gente sorride e saluta
gli stranieri, tutti vogliono farsi fare una foto, traspare una bontà di
cuore che difficilmente si scorge nelle nostre città europee, fredde e frenetiche.
Cosa ti manca maggiormente della Sardegna?
Ho nostalgia della mia famiglia, degli amici, mi manca il mio paese e i suoi
ritmi. I cibi genuini, locali, non importati o prodotti industrialmente.
Di contro non ho assolutamente nostalgia della mentalità chiusa di
molte persone, che pensano che il mondo finisca dietro la curva del
proprio paese. E non mi manca affatto la lentezza della Sardegna e dell’Italia,
questo continuo incedere traballante, sempre indietro a tutto e a tutti.
Il tuo lavoro ti ha cambiato? In che modo?
Viaggiare è un’esperienza straordinaria che apre la mente, impari a vedere
le cose da più punti di vista, a non fermarti a ciò che ritieni ovvio e scontato.
Bisogna saper ascoltare quello che gli altri vogliono comunicarti, accostarsi
con tatto e rispetto a culture e stili di vita variegati, accettare ciò che è
diverso. Viaggiare è una scuola che insegna ad adattarsi a vivere meglio
con persone di ogni nazionalità, offrendo loro ciò che sei: il mio essere
sardo ma anche cittadino del mondo.
Che consigli puoi dare ai ragazzi della tua età?
Viaggiate, conoscete il mondo, prendete ciò che di bello e utile possono
darvi luoghi e culture differenti e tornate a casa per mettere a frutto
ciò che avete appreso. Allargate i vostri orizzonti.
Come ti immagini tra 30 anni?
Probabilmente non farò più questo mestiere, perché i suoi ritmi
frenetici non sono sostenibili per lungo tempo. Comunque continuo
ad immaginare la mia vita fuori, con il cuore gonfio di nostalgia
per la Sardegna eppure lontano.