di Ramona Pisanu
La civiltà nuragica è stata a lungo dipinta come una civiltà chiusa e refrattaria ad ogni tipo di contatto culturale con il mondo esterno, anche se le cose in realtà stavano diversamente.
La civiltà nuragica era ben inserita in un rete di scambi commerciali che caratterizzavano e rendevano vivace la vita del Mediterraneo.
Fra le civiltà con cui i Nuragici avevano sicuramente instaurato un rapporto di sistematici e intensi scambi commerciali e culturali fu quella dei Micenei, interessati al traffico di metalli. Più in particolare, durante la tarda età del Bronzo, la Sardegna, Creta e le altre zone del Mediterraneo occidentale, diventano meta privilegiata di mercanti egei di provenienza prevalentemente cipriota, come dimostrano le importazioni e la tipologia dei manufatti metallici , d’uso comune e cultuale, ivi rinvenuti.
L’introduzione delle tecniche di lavorazione dei metalli, indiziata dalla circolazione di arnesi da lavoro di tipologia cipriota, costituisce un ulteriore segnale di un coinvolgimento di questa zona del Vicino Oriente, cui si deve anche l’adozione in loco di specifici strumenti di probabile valutazione ponderale e tesaurizzazione del bronzo, gli ox-hide ingot s , un particolare tipo di lingotto a forma di pelle di bue essiccata tipici di Cipro.
Il rinvenimento di ceramiche micenee in diversi siti nuragici ha indotto gli studiosi ad ipotizzare la presenza dei Greci in Sardegna nell’Età del Bronzo.
Ad oggi i siti archeologici interessati non hanno rilevato la presenza di veri e propri insediamenti abitativi: al di là della ceramica mancano le tipiche prove di una frequentazione straniera. Questo non esclude, naturalmente, le presenze dovute ad altre circostanze.
Gli stessi scavi, mostrano che la ceramica in questione risulta introdotta in Sardegna prima della vera espansione in Occidente dei Micenei,si parla quindi di una fase di “precolonizzazione”.
In questa fase probabilmente gli unici in grado di navigare nel mare d’Occidente erano proprio i Nuragici perché in quel periodo i Greci non si erano ancora spinti verso tanto e gli Egizi mai si spinsero nel “Mare Nostrum.
Le fonti risalenti al XIV secolo a.C. segnalano la presenza dei Nuragici in Egitto e negli stati del Vicino Oriente nella veste di Sherden, presentandoli come guerrieri famosi per l’abilità nel combattimento con la grande spada di bronzo
A testimonianza di tali rapporti sono stati rinvenuti in Sardegna diversi e significativi reperti ceramici. Molto noti i frammenti di ceramica micenea rinvenuti nel nuraghe Antigori significativamente ubicato sulla costa meridionale della Sardegna, presso Sarroch, ma anche il cosiddetto ”alabastron” rinvenuto al nuraghe Arrubiu di Orroli.
Altrettanto importante e interessante appare la testina in avorio proveniente da Mitza Purdia (Decimoputzu) raffigurante un personaggio che porta un elmo del tutto analogo a quelli descritti nelle opere omeriche come tipici dei guerrieri achei.
Gli stessi Nuragici, nella veste di pirati Cari-Fenici, si insediano nelle Cicladi durante il regno del cretese Minosse. Successivamente questi pirati si trasferiscono dalle isole dell’Egeo nella regione anatolica della Caria. Se davvero i Nuragici si spingevano nei lontani mari del Mediterraneo orientale non potevano non essere entrati in contatto col mondo greco, decisamente più vicino all’Egitto e all’Anatolia.
Quando la civiltà micenea era ancora nella sua fase embrionale, lo stesso territorio risulta interessato dall’arrivo di genti definite come Pelasgi (ovvero provenienti dal mare), le quali si insediano nella località di Dodona che, secondo Erodoto, ospitava il più antico oracolo della Grecia.
Le fonti raccontano che l’approdo di genti “barbare” nel mar Egeo è indubbiamente di provenienza occidentale. In tal caso ricordo che nel mare collocato al tramonto del sole dei Greci, in quel periodo, l’unica civiltà capace di navigare per mare aperto era quella nuragica.
Segue poi l’importazione in Grecia dell’ “l’abitudine di venerare gli eroi”. Cos’era esattamente questa abitudine? Circa un secolo dopo Erodoto, il filosofo Aristotele, nel disquisire su un particolare fenomeno legato al trascorrere del tempo, prende come modello la Sardegna per narrare delle persone che “giacciono presso gli eroi” dimenticando, al risveglio, quanto avvenuto nel “frammezzo”.
La celebrazione del particolare culto in Sardegna è confermata da molti studiosi , tra i quali Filopono e Simplicio; il primo precisa che le persone in questione erano malati che dormivano per cinque giorni presso le tombe degli eroi perdendo la cognizione del tempo, il secondo aggiunge che gli eroi “dormienti” erano i Tespiadi, ovvero i figli che Eracle aveva generato con le figlie di Tespie.
Insomma, i Greci sapevano che la celebrazione del culto era stato importato nel loro paese dai Pelasgi, eppure per spiegare il particolare fenomeno del sonno prendono come esempio la Sardegna, collegando così, implicitamente, l’isola dei nuraghi alle genti insediate a Dodona; la stessa citazione dei Tespiadi-Eraclidi, seppure mirata a dare lustro agli eroi greci, conferma l’antichità del culto. Gli officianti del culto agli eroi morti, i sacerdoti Selli, erano chiaramente privi di calzature?
Questa tipologia di statuette raffigura certamente personaggi di rango muniti di bastone e mantello ma rappresentano anche la funzione sacerdotale, mostrata appunto dall’assenza delle calzature e dal particolare indumento che indossano. Un indumento dello stesso tipo è citato da Omero, il quale lo definisce col termine “bende di Apollo”, facendolo indossare dal sacerdote Crise.
Le profetesse epirote invece, assumevano la veste di colombe o parlavano come colombe per interpretare gli auspici. Intanto in Sardegna la donna ha sempre assunto un ruolo piuttosto importante nella società, mentre nella funzione di guaritrice sfiora spesso l’ambito religioso; inoltre l’antichità della funzione taumaturgica appare dimostrata dal rinvenimento di bronzetti facilmente identificabili come sacerdotesse-guaritrici.
La presenza delle colombe, le troviamo riprodotte in gran numero e in miniatura in numerosi siti religiosi, mentre nelle navicelle in bronzo figura sistematicamente sulla sommità dell’albero e sulle fiancate; non è da escludere che il volatile fosse presente anche da vivo perché, come dicono le fonti antiche, era utilissimo nella navigazione.
Ci dovrebbero essere pochi dubbi anche sul luogo scelto dai Nuragici per praticare il culto degli eroi: la Tomba di Giganti appare il sito più appropriato e verosimile, mentre le sacerdotesse svolgevano probabilmente i loro compiti nel vicino nuraghe e nella nicchia del lungo corridoio che conduce alla sala principale. Non a caso, infatti, molti nuraghi risultano costruiti disassando ad arte il diametro interno dell’ambiente della torre principale rispetto al diametro del paramento esterno: con questa formidabile variante costruttiva, che rischiava di indebolire tutta la struttura, i Nuragici, allungavano il corridoio aumentandone il fascino.
D’altra parte l’aspetto religioso è quella che giustifica meglio la costruzione di migliaia di mirabili e costosi edifici. Le stesse grandi nicchie ricavate all’interno dell’ambiente principale del nuraghe hanno le dimensioni ideali per ospitare i “troni” dei sacerdoti-capi.
I poteri di Ermes si prestano benissimo alle caratteristiche socio-economiche dei Nuragici, la tradizione di provenienza greca attribuisce ad Ermes un preciso legame con la Sardegna tramite la figura di Norace, il quale sarebbe nato dalla coppia formata dal dio e da Erizia, uno delle Ninfe Esperidi; come è noto Norace avrebbe guidato gli Iberi che giunsero nell’Isola per fondare Nora.
Ebbene, alcuni bronzetti nuragici riproducono uno strano personaggio che riassume quanto descritto dalle fonti greche su Ermes.
Infatti le statuette in questione rappresentano un fanciullo nudo, col membro eretto, mentre suona lo Zufolo (launeddas) con un copricapo rotondo. Per terminare con il culto ad Ermes ricordo che il carnevale di Bosa, ma pare che manifestazioni similari si svolgessero in varie zone della Sardegna, prevede la rappresentazione della versione di Giolzi bambino-bamboccio nudo munito di un enorme fallo.
Insomma tutti questi riscontri possono soltanto dimostrare come il grande popolo nuragico fosse ben integrato nella nella vita mediterraneo tanto da influenzare i popoli vicini, più di quanto si possa immaginare. Un motivo in più per ritrovare la speranza affinchè la Sardegna possa in futuro splendere di nuovo.