Nel momento in cui mi accingo a scrivere queste righe di saluto, molti dei nostri sassarini si trovano già in Teatro Operativo afghano per preparare il cambio di responsabilità nel settore Ovest.
Quest’anno il saluto prima della partenza, coincidente con la Festa della Brigata, si è tenuto ad Olbia per rendere omaggio ad una città che è stata recentemente colpita da una cicatrice che non rimarginerà presto.
Ma oggi come non mai Olbia è il simbolo di una sardità che mai si spegnerà, quello della sofferenza fuori dai riflettori che sa trovare le proprie ragioni dalla forza interiore.
Una forza cui i sardi si sono appellati non solo per sollevarsi nei loro momenti critici, ma anche nel mantenere la propria identità fuori dall’isola, quando in solitudine hanno dovuto affrontare una nuova vita da emigrati o quando, tottus a una conca, sono stati chiamati ad aiutare gli altri.
Così, come dissi alla cerimonia di Olbia dello scorso 28 gennaio, sento forte il legame che unisce i Sassarini delle origini, combattenti sul fronte del Carso e sull’altopiano di Asiago durante la prima guerra mondiale, e quelli di oggi, impiegati nelle missioni di soccorso in caso di pubbliche calamità o di supporto alla pace nei Teatri Operativi dei Balcani, dell’Iraq e dell’Afghanistan.
E questo legame va ricercato nell’essenza dei valori della Sardegna, valori secolari come l’ orgoglio, l’orgoglio di essere presenti nelle circostanze in cui il dovere chiama ed impone di non voltarsi dall’altra parte, di mettersi in gioco in prima persona.
Mi piace sempre citare la frase, che i lettori di “Tottus in Pari” ben conoscono, di Alfredo GRAZIANI, Ten. del 151° Rgt., tratta dal suo libro “Fanterie Sarde all’ombra del Tricolore”, quando la Brigata, salendo sull’Altopiano di Asiago, si imbatte nelle impaurite popolazioni di donne, vecchi e bambini messe in fuga dalla guerra. La frase è la seguente: “Poco più oltre, un gruppo di donne levò in alto i bambini, dicendoci: Salvate le nostre creature! State tranquille – dissi – ormai tra voi e loro ci sono le nostre baionette. E, dalle file, la voce di un ignoto: “immoi che semus nos”, più tardi ripresa in limba con l’espressione “como che semus nois” (ora ci siamo noi).
“Como che semus nois” è l’essenza del soldato sassarino. E’ il coraggio di aiutare il più debole contro le prevaricazioni del più forte, è l’abnegazione che spinge ad affrontare anche il sacrificio più estremo purché questo serva a salvare vite umane.
Quando la Sassari, sulla strada da Pec a Djacova in Kosovo, si presentò al Monastero di Decane per difenderlo da atti di banditismo, il primo veicolo militare che vi arrivò fece scendere i nostri soldati sardi che dissero ai monaci, usciti per accoglierli, “Here we are”. Ci siamo noi. Como che semus nois.
Quando la Sassari arrivò a Nassirya in Iraq, lungo le strade che attraversavano il mercato della città, la popolazione li guardò con curiosità, già abituata ai volti dei bersaglieri della Garibaldi. Qualche bambino accennò un saluto. In una lingua straniera si udì una domanda, si capì il senso: “ma chi siete?”. Dal bordo di un mezzo un sassarino disse: “La Sassari!” E aggiunse: “Ora ci siamo noi!”. Como che semus nois.
Quando la Sassari con il Provincial Reconstruction Team a Herat si presentò al Ministro dell’Energia Ismail Khan, lui guardò i nostri Sassarini col rispetto che meritano e chiese notizie sulla nostra terra. Qualcuno parlò di un’isola bellissima, incontaminata e con un mare stupendo. Ma subito prese il sopravvento l’orgoglio, la forza e la determinazione dei sardi a fare il possibile per il popolo afghano. In sostanza: Ora ci siamo noi. Como che semus nois.
Quando la notte del 18 novembre un violentissimo nubifragio si abbatté sull’Isola, investendo con inaudita ferocia la città di Olbia, i “Sassarini” giungevano alle prime luci dell’alba per lavorare con le braccia ma soprattutto con il cuore. Anche in quei drammatici giorni, tra il frastuono delle macchine movimento terra e la silenziosa, dignitosa compostezza della gente di Olbia, ancora una volta, l’eco assordante del Como che semus nois!
E così, nel preparare la Brigata ad una nuova missione, nell’affrontare nuove sfide che richiedono mesi di addestramenti serrati e prolungati, non posso che rimanere colpito quando, dopo giorni e notti di lungo, faticoso operare, nei volti segnati dalla fatica ed intrisi delle creme di mascheramento, colgo, nello sguardo dei miei sassarini, la limpidezza di chi vuole dirmi: “Comandante, noi siamo qui. Noi siamo accanto a lei. Uniti nel nostro motto Forza Paris, siamo pronti ad ogni sacrificio e ad ogni sfida. Como che semus nois”.
Con queste parole saluto le nostre famiglie rimaste in Sardegna e soprattutto voi, Sardi lontani da casa, che continuate a fare della vostra vita un esempio di sardità.
FORZA PARIS!
Come redazione di TOTTUS IN PARI, siamo onorati della testimonianza che il Generale Manlio Scopigno ha voluto regalarci. Noi con il cuore, caro Generale, saremo vicini a lei e a tutti i ragazzi che si appresteranno a compiere questa delicata missione in Afghanistan.