di Ignazio Dessì
Anche un pescatore figlio di pescatori, nipote di pescatori e fratello di pescatori, può avere un’idea brillante. Per esempio quella di offrire i frutti del lavoro della sua piccola cooperativa, il pescato giornaliero, in un bel ristorante autogestito con vista su una laguna presa in prestito al paradiso terrestre. Magari recuperando una struttura abbandonata e trasformandola da “immondezzaio in cartolina”, come sottolinea con orgoglio lui, Antonio Loi, 63 anni, 50 dei quali trascorsi tra barche, reti ed ami. Un artista della pesca illuminato, capace di lanciare in Sardegna la prima iniziativa ittioturistica, imitata poi da altri nella regione. Anche un re del settore però può salire in cielo, insieme agli altri soci, e rischiare di precipitare in un mare di difficoltà per colpa di una corruzione imperante e di una burocrazia cieca, specie in tempi di crisi. Tutto comincia nel 2001 tra mille difficoltà e senza finanziamenti pubblici, ma l’iniziativa prende piede e arriva in breve a offrire lavoro a 7 persone che diventano 20 nei periodi di maggior afflusso turistico o di particolari ricorrenze. L’Ittioturismo della Società Cooperativa Pescatori San Domenico di Marceddì, nel comune di Terralba, in provincia di Oristano, in poco tempo diventa famoso in tutta l’Isola e Oltremare, per la bontà dei piatti a base di pesce (menù fisso e incredibilmente abbondante) e la squisita ospitalità. Il posto inoltre è incantevole, un angolo dal fascino inimitabile, con quella veduta sul blu dello stagno, i pesci che saltano fuori dall’acqua, i cormorani, i fenicotteri e una natura rigogliosa. Ma i guai sono in agguato. Nel 2005/2006, visto il buon andamento dell’attività culinaria legata alla pesca, si decide di ingrandire il locale. Il costo burocratico è di 7 nullaosta da richiedere agli enti interessati. Sei arrivano nell’arco di 20 giorni, l’ultimo, quello dell’assessorato all’Ambiente regionale per le nuove vetrate, misteriosamente non c’è nemmeno dopo 6 mesi. Loi chiede spiegazioni. Gli rispondono che la pratica è in mano a un certo funzionario. Quando il pescatore-imprenditore lo incontra arriva, con l’impatto di una doccia gelata, la spiacevole sorpresa: “La richiesta di 60mila euro di tangente per avere ciò che spetterebbe di diritto”, ricorda il pescatore di Marceddì. Ma Loi è un tipo tosto, non ci sta ad essere strangolato in un momento in cui con gli altri sta tirando la cinghia per realizzare il suo sogno. Parla con la Questura di Oristano. “Il telefono del ricattatore viene messo sotto controllo. Poi le forze dell’ordine mi danno una borsa con 60mila euro e mi dicono di effettuare la consegna”. Il funzionario viene preso con le mani nel sacco e condannato. Ma le vicissitudini della cooperativa di Marceddì non sono finite, anzi i guai aumentano. Quando Antonio ottiene la concessione per l’Ittioturismo viene nominato custode della struttura e di quanto c’è attorno. “Fa obbligo al concessionario il servizio di guardiania” diurno e notturno, c’è scritto. Loi pensa così di ristrutturare una vecchia mansardina sopra il ristorante dove poter piazzare un letto e riposarsi, quando finisce tardi il lavoro, in modo da poter svolgere anche quel compito aggiuntivo. Un bel giorno un certo geometra dell’Assessorato all’Agricoltura, una signora, gli telefona e gli impone di riportare la mansarda nello stato precedente: ha una decina di centimetri in meno dell’altezza minima consentita. Arrivano 4 vigili urbani e non vogliono sentire ragioni, anche quando Loi chiede: “Se io sono il custode, quando mi fermo la notte dove devo dormire? In barca?”. Ma la burocrazia, si sa, spesse volte ha poche orecchie e buon senso ancora meno, e così il pescatore e i suoi colleghi son costretti a demolire la mansarda, costata 47mila euro, più 11mila di manodopera e 12mila di progettazione, incassando un altro duro colpo. In quello stesso periodo arriva poi la “strana” proposta. Forse per aver visto i documentari dedicati alla bella iniziativa dei pescatori di Marceddì dalla tv catalana, dalla Rai con Linea blu o dalla televisione giapponese, molti businessmen del settore turistico si rivelano interessati a quella perla della laguna. E proprio dei giapponesi si dicono pronti a sborsare 2,3 milioni di euro per rilevare l’attività. Al signor Loi del resto lo dicono chiaro anche da taluni ambienti della Regione: “Se non ce la fa ad andare avanti può sempre vendere”. Ma lui non ne vuol sapere. “Non mi interessa, anche se prenderei dei soldi e vivrei più tranquillo, dovrei mandare a casa dei giovani che hanno creduto in me, deludere le loro attese, mettere in difficoltà tante famiglie”, afferma. Così dice no. E i guai continuano. Per rendere più attrattivo il ristorante piazzato a pochi passi da quello specchio liquido di nove ettari dove si guadagnano il pane ogni giorno, i soci della Cooperativa hanno pensato di allestire anche uno spazio con degli animali, curati amorevolmente da tre dipendenti e alloggiati in ricoveri adeguati, costruiti in materiali ecologici come le canne. Ci sono cavalli sardi, pony, caprette e agnellini, coppie di fagiani rari, e perfino lama e papagalli. Il piccolo eden diventa in breve meta di scolaresche e appassionati che poi si fermano a mangiare. Un bel giorno, “il 4 di ottobre 2013 – racconta Loi – arriva però una telefonata della geometra della Regione che mi impone di demolire subito le strutture”, altrimenti le licenze per l’attività di ristorazione “se le sogna”. Davvero un altro duro colpo. Eppure, continua amareggiato Loi, “venivano spesso a mangiare da noi tanti funzionari pubblici, perfino rappresentanti della Asl e della Questura che ci facevano i complimenti per l’idea degli animali”. Nessuno si era mai lamentato. Improvvisamente invece decidono questa cosa. Ho avuto paura per il futuro del nostro lavoro ed ho demolito le voliere e i recinti. Ci ho rimesso qualcosa come 100mila euro”, sospira il re-pescatore. L’altra grossa rogna arriva con la rilevazione di un singolare abuso edilizio nell’estensione della copertura in legno contornata dalle vetrate che offrono ai clienti la vista sulle acque della laguna. Un insolito abuso, visto che si parla di 70 metri quadri edificati “in meno” rispetto a quanto previsto dal progetto. “Mi ero accorto che i tavoli sul lato più lontano avevano una vista panoramica ridotta e quindi avevamo scelto di costruire meno del consentito per dare a tutti la possibilità di godere dello stesso panorama”, spiega Loi. Il controllo del comitato ambientale ha stabilito che “non c’è stato alcun danno paesaggistico o edilizio”, ma non è bastato. Il Comune di Terralba mi ha imposto di pagare per la sanatoria 5mila euro e mi ha fatto rifare per tre volte il progetto. Alla fine ci ho rimesso 51mila euro tra sanatoria e altre incombenze. Un salasso terminato il 2 gennaio”, precisa. Ma le peripezie tra i meandri della burocrazia non sono finite, perché la certificazione dell’avvenuta sanatoria tarda ad arrivare. “Il comune afferma che non è giunta la documentazione della Regione”, ma la Regione dice che “il pagamento risulta”. Fatto sta che l’agognato pezzo di carta la cooperativa non ce l’ha ancora, nonostante “ad ambedue gli enti risultino i versamenti”. “Una cosa pazzesca”, sbotta l’intraprendente patron dell’Ittioturismo di Marceddì che dopo l’uscita della storia su emittenti e giornali locali si è sentito chiamare dalla segreteria dell’assessore regionale all’Agricoltura, Oscar Cherchi (Pdl). “L’assessore non ne sapeva niente – si è sentito dire – e vorrebbe incontrarla”. Ma dopo tre appuntamenti fissati e poi fatti saltare l’impressione è che il politico “se ne sia sbattuto”. Peccato, perché le attività come quelle della Cooperativa Pescatori San Domenico rientrano a pieno titolo tra quelle decantate in campagna elettorale come basilari in una regione a forte valore naturalistico, turist
ico, culturale e gastronomico come la Sardegna. Basilari sì, ma solo in campagna elettorale, evidentemente. “Siamo allo stremo – dice Loi sconsolato – nonostante abbiamo clienti affezionati che ci vengono a trovare e tavoli sempre prenotati. Noi lavoriamo, ci sbattiamo, spremiamo le meningi e spandiamo sudore, ma tutto viene vanificato dalla burocrazia e, a volte com’è successo a me, dalla corruzione. Invece di darti una mano ti mettono il piede in testa. Poi si stupiscono se la gente si ammazza”