di Giulia Fresca
Ognuno di noi ha un’isola nel cuore. È un’isola alla quale ci si affida nei momenti in cui ritrovare se stessi o parte delle proprie emozioni, riavviando il punto di ripristino che il peregrinare della quotidianità spesso manda in loop. La mia isola non è immaginaria ma è una vera terra, circondata dal mare, che si offre al suono della Rosa dei Venti. È un’isola a forma di sandalo, quasi a voler rafforzare il segno dell’impronta che ti resta dentro in maniera indelebile: la Sardegna!
Proprio in questa terra in equilibrio nel mare, ho mosso i primi passi oltre quattro decenni fa, a pochi metri dalla riva del fiume Tirso, nella silenziosa cittadina di Ottana sulla quale passa la linea mediana dell’isola. Proprio lì nasceva in quegli anni il petrolchimico che avrebbe dovuto rappresentare il sogno industriale della Sardegna, con la realizzazione del più grande stabilimento italiano di fibre sintetiche. Ma il mio ricordo personale si ferma alle donne di Gavoi, di nero vestite ed all’inseguimento inquietante tra Merdules e boes. Un’infanzia vissuta senza fissa dimora: le origini calabro-lucane si sono confuse con la nascita nella città di Manfredonia per poi divenire cittadina del mondo divisa tra Africa, Est Europa, America del Sud ed Asia, ma con il cuore sempre nell’isola di Sardegna. Un amore che si è consolidato nel 1983 quando il lavoro di mio padre ci ha portati ad Iglesias. È lì che ho conosciuto l’amicizia vera, quella che sconfigge il tempo e le distanze, quella che supera monti e mari rimanendo salda nella sua essenza. La scuola media Eleonora D’Arborea rimane impressa nella mia mente con i suoi murales, cancellati purtroppo da quanti hanno ritenuto superfluo conservare nel tempo un bisogno di riscatto attraverso le immagini, e subito dopo l’inizio delle scuole superiori. Percorrevo poco più di un kilometro per raggiungere da casa la scuola nell’antico convento di Piazza Collegio dove l’Istituto per Geometri divideva gli spazi con i futuri ragionieri. Un edificio intriso di storia e di misteri, nel quale nasceva spontaneo il desiderio di ricercare le tracce della presenza del Conte Ugolino della Gherardesca ma che nel frattempo era divenuto punto di riferimento di ragazze e ragazzi dei paesi vicini, ognuno con la propria esperienza di vita ma tutti con la medesima umanità e senso di accoglienza verso quella ragazza venuta dal Continente.
Ed a quel periodo risale la “mia Sardegna”! Le battaglie per i diritti studenteschi nella veste di rappresentante di classe al fianco dei rappresentanti di istituto primo tra tutti il diplomando Mauro Pili che avrebbe continuato la sua passione divenendo sindaco della città, presidente della regione, deputato della Repubblica ma sempre integro nella sua essenza di persona disponibile all’ascolto e fedele al valore dell’amicizia.
A quel periodo risale il legame indelebile con i compagni di classe che ancora oggi si ripropone ad ogni incontro, richiamandoci al “dove eravamo rimasti?” Storie personali ed umane che si intrecciano alle scelte di vita ed offrono insegnamenti alle nuove generazioni senza dimenticare il passato, che rimane vivo nel presente, crescendo con le nuove forme di comunicazione che offrono la quotidianità e la condivisione delle emozioni e delle esperienze. È così che ho ritrovato la mia compagna di banco, Elisabetta Ecca divenuta una valente artista, Massimiliano Manis un noto professionista, Patrizia Deidda una splendida donna di valore, solo per citarne alcuni, e scoprire che ognuno ha trovato la sua strada fatta di lavoro, passioni, e caparbietà. È ciò che mi ha insegnato la Sardegna, ed è questa la “mia Sardegna”, quella che porto nel cuore, quella di cui mi sento, con orgoglio, figlia adottiva.
Aver vissuto gli anni della contestazione mineraria che nel 1984 toccò anche la Gran Bretagna, mi ha portato a prendere a cuore quegli uomini costretti ad adattare la vista per poter lavorare senza la luce del sole. Ho sempre trovato in loro la forza che nasce dal dolore, dalle profondità, quella forza che porta al riscatto, alla caparbietà umile ma determinante nel voler cambiare le sorti e riuscire a trovare un sorriso uscendo dalle tenebre per riabbracciare i piccoli corpi dei propri figli. La mia Sardegna è quella che mi ha regalato la carezza di Papa Giovanni Paolo II quando quel 18 ottobre 1985 visitò l’Antica Miniera di Monteponi divenuta in seguito parco minerario ed oggi in condizioni di inverosimile degrado.
Ed in quel pozzo ci sono scesa, toccando la terra fredda attraverso le sbarre dell’argano che lento conduceva alle viscere della terra dove un fiume d’acqua, rumorosamente impetuoso si veniva incanalato per consentire lo scavo di nuove gallerie. Un impeto che da lì a qualche mese avrebbe avuto la meglio sugli uomini riprendendosi gli spazi ed allagando tutta l’opera che negli anni era stata realizzata al buoi del sole.
Il senso di sconforto che ho provato ritornando in Sardegna dopo molti anni, mi ha imposto di prendere a cuore le sue ragioni e di offrire, per quanto possibile la mia voce attraverso la mia esperienza professionale che mi ha portato a lavorare sia nel campo dell’ingegneria, della ricerca e del giornalismo.
Ripenso all’ostilità ed alla bellezza del suo territorio, alla sua crudezza, a volte, ma al tempo stesso al sorriso dei sardi, alla loro caparbietà, al loro orgoglio e provo tristezza quando percepisco che si lasciano agitare come canne al vento. “Tutti sono come delle canne al vento, ovvero seguono il loro destino”, sembra dire Deledda attraverso un’immagine che ha voluto affidare a favore di ciò che cede, si adatta e non si spezza ma che io non condivido per il popolo sardo.
La mia Sardegna è quella “Impronta di Sandalo” che ti resta dentro, immune ai terremoti, che rimane salda e conserva la lingua, la tradizione e la forza della sua gente, quella che ha costruito i nuraghi ed affrontato i venti, quella che si è fatta scudo e che ancora oggi cerca il suo riscatto. È la terra che insegna l’unità sebbene sia costretta a vivere le sue contraddizioni che vede anteporsi che uomini che hanno fatto la storia della Repubblica, con una Repubblica che l’ha relegata al suo ruolo di isola. Il contributo importante che può offrire la testimonianza, ed in questo l’opera meritoria di Tottus in Pari è fondamentale, consente il confronto delle motivazioni e diviene da stimolo forte per ripartire da quei valori assoluti che via via si sono perduti. Da figlia adottiva di Sardegna, ciò che spero vivamente è che l’orgoglio prevalga sulla rassegnazione ed i sardi, di origine e non, si ritrovino uniti per continuare l’opera di chi ha inteso dare all’isola la sua impronta nei tempi senza tempo.
Brava Giulia
Complimenti. Brava
nel cuore da oltre 30 anni…..
Complimenti e buon proseguimento,sempre così.
Giulia Fresca=persona meravigliosa
Grazie a tutti davvero di cuore! un abbraccio speciale a Elisabetta, Patrizia, Mauro e Massimiliano che ho richiamato nel pezzo ed a cui resterò sempre profondamente legata, insieme a quanti conservo nel cuore e ai nuovi amici che in questi anni si sono aggiunti con il loro affetto e lealtà.
Giulia ,bellissimo L’articolo che hai scritto su “tottus in Pari”,congratulazioni lo meriti