Dopo Princeton, ecco l’università di Londra, la Goldsmithsnel dipartimento di Sociologia number one del Regno Unito. Qui Sara Farris, sociologa nata a Ozieri, insegnerà la scienza di Max Weber. Dal primo settembre dello scorso anno, 2012, era a Princeton, all’Institute for Advanced Study, dimora accademica di Albert Einstein dal 1933 al 1955. Esaltanti le sue esperienze precedenti: prima la laurea in Sociologia alla Sapienza di Roma, successive ricerche all’università di Costanza e alla Humboldt di Berlino, Lse e King’s, adesso Sara Farris è rientrata dagli Stati Uniti. A Londra – dove è rientrata due mesi fa – terrà lezioni su “Donne e nazionalismi” alla Goldsmiths, University of London, nel Dipartimento number one per la Sociologiadel Regno Unito. Sorto nel 1891, poco più di 7600 studenti, l’ateneo si è distinto per le sua reputazione e il contributo al mondo delle arti e delle scienze. Racchiude la più grande collezione di materiale audio-visivo del Regno Unito. Quella di Goldsmiths è anche l’università dei più famosi registi e degli attori di cinema e teatro, di musicisti. Il campo di ricerca della sociologa sarda è sempre focalizzato sull’universo femminile. Dice Sara Farris: “Le mie lezioni saranno centrate sulla relazione storica tra le rivendicazioni delle donne e i movimenti nazionalisti. Approfondirò la distinzione sempre più necessaria tra nazionalismo e populismo e come la stessa impatta sulle donne. È un tema attualissimo, i miei alunni sono di diverse nazionalità e religioni, è quindi necessario spaziare a 360 gradi. Goldsmiths ben si presta a questo tipo di analisi cosmopolita”. Già a Princeton aveva ultimato una ricerca sull’immigrazione in Europa di donne e uomini dai Paesi poveri del mondo. A lei ozierese, nata nel rione di Corralzu – è capitato di sedersi nel divano nella “Common room” dove il grande Nobel tedesco Einstein si fermava a leggere. Ma più che la forma può la sostanza. È uscito un suo libro – per l’editore Brill di Laida – che ha già avuto due recensioni autorevoli: Max Weber’s Theory of Personality . Dice: “Continuerò comunque a interessarmi delle donne immigrate che lavorano come domestiche e nel settore della cura agli anziani. Mi occuperò del Femonazionalismo (in inglese Femonationalism), termine da me coniato e che fa discutere a livello internazionale”. Cervello “fuggito” dalla Sardegna? “È stimolante fare esperienze fuori casa, conoscere altri mondi per poter fare comparazioni. Le università americane sono molto più aperte alle idee e al loro potenziale di originalità. Ma non tutto è oro nemmeno negli States. È marcata la gerarchia tra università di serie A e serie Z sono classiste. Le università europee danno una formazione più generalista allo scienziato politico, al sociologo, offrono più strumenti. I confronti si possono proporre dopo aver vissuto in mondi diversi e contrapposti”.
Nei momenti di relax a Princeton (lì ha ultimato una ricerca sull’immigrazione in Europa di donne e uomini dai Paesi poveri del mondo) capitava anche a Sara Farris, 35 anni, di sedersi nel divano nella “Common room” dove il grande Nobel tedesco si fermava a leggere i giornali. In questo Pantheon universitario del New Jersey, la sociologa partita dal Logudoro aveva vinto una borsa di ricerca per l’anno 2012-2013 dopo aver insegnato al King’s College di Londra in attesa di ritrasferirsi a Cambridge: “Nel Regno Unito mi interesserò delle donne immigrate che lavorano come domestiche e nel settore della cura agli anziani. Qui a Princeton devo portare a termine un altro libro, provvisoriamente col titolo The Political Economy of Femonationalism. È un contributo alla discussione sull’integrazione degli immigrati e delle immigrate. In particolare, mi occuperò del Femonazionalismo (in inglese Femonationalism), termine da me coniato e che fa discutere a livello internazionale. Su questo tema sta per uscire un mio articolo su una rivista americana, History of Present”. Sara Farris – lo sottolinea – è “orgogliosa” di nascere a Ozieri in una “famiglia working class”, di far parte della classe operaia cantata da John Lennon nel 1970. Il padre Antonio saldatore, la madre Maria Meledina casalinga, una sorella – Elisabetta – soprano a Sassari e in altri teatri importanti. Sara frequenta le elementari di Su Càntaru, ricorda la maestra Rina Bellu (“paziente, calma, chiara nelle spiegazioni”). Liceo classico al Duca degli Abruzzi sempre a Ozieri. “È stata un’ottima scuola. Io, appassionata di filosofia e poesia, mi esaltavo leggendo e traducendo Saffo e Catullo, i lirici greci e i poeti nuovi latini sono semplicemente dei fuoriclasse dello spirito, creano catarsi e partecipazione. È stata un’esperienza intellettuale e amicale unica. E, con quelle basi umanistiche, all’università mi son trovata subito bene”.
L’università a Roma, alla Sapienza, dove Sociologia è tra le facoltà top in Italia. “Ho detto che la filosofia mi intrigava non poco. Ma l’incontro con il pensiero di Hegel e Marx mi ha coinvolta nei cambiamenti epocali introdotti dal capitalismo. E mi rendevo conto che la sociologia era quella disciplina più completa, che mi consentiva di studiare le dinamiche complesse delle società industriali.” Roma è anche un crocevia di popoli. Alla Sapienza – sulla cresta dell’onda dopo l’era di Franco Ferrarotti – la sociologa ozierese frequenta soprattutto Alessandro Ferrara, Paolo Ceri e Stella Agnoli. Legge, tra gli altri, Albert O. Hirschman (“The Strategy of Economic Development” e anche “The Rhetoric of Reaction”) oggi docente presso l’Istituto di Princeton. Ma vive, sente dentro il mutamento in atto. La tesi di laurea è giocata sull’attualità ribollente di problemi sociali. Titolo: “Integrarsi a Roma, percorsi di inserimento di immigrate bengalesi, srilankesi, e peruviane nella metropoli”. Ovviamente massimo dei voti e lode. È premiata dalla Fondazione Gianni Statera come miglior tesi di laurea nel 2003. Vince il concorso di dottorato in Metodologia delle scienze sociali. Arriva prima allo scritto e seconda all’orale. I giorni del dottorato romano sono ricchi di stimoli. Sara si occupa di immigrati ma indaga anche “sul concetto di individuo e personalità negli scritti di sociologia delle religioni di Weber, concetto fortemente eurocentrico che sta alla base di uno dei paradigmi più importanti delle scienze sociali del ventesimo secolo”. Guardando le cronache calde di questi giorni nei Paesi islamici sostiene che “proprio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo porta acqua al mulino di quelle teorie che ancora oggi tracciano una gerarchia tra l’Occidente e il resto del mondo affermando una sostanziale superiorità economico-sociale e culturale del primo. Questi sono i temi che tratto nel libro su Weber”.
Dall’Italia all’Europa, passando per Venezia dove conosce il marito australiano studioso di Antonio Gramsci. Sara, lasciata Roma, inizia così un percorso accademico cosmopolita di tutto rispetto. In Germania lavora all’università di Costanza e presso la Humboldt di Berlino (anche qui erano stati Einstein e Carlo Marx). Nei Paesi Bassi trova cattedra negli atenei di Amsterdam e Maastricht. Arriva l’insegnamento di Sociologia politica al King’s College di Londra (dove è ancora affiliata). Dalla Manica all’Atlantico. Con un chiodo fisso: “Il Femonazionalismo”. Che cos’è? “La strumentalizzazione di temi femministi da parte di forze nazionaliste. Descrive la formazione discorsiva che da una parte, pretende di difendere le immigrate islamiche (o le immigrate donne in genere), come vittime passive di culture arretrate e patriarcali, e che dall’altra demonizza gli immigrati di religione islamica (o gli immigrati uomini in generale), come oppressori e misogini. Il Femonazionalismo è una faccia del nuovo razzismo e ha basi materiali molto precise. La divisione sessuata del lavoro tra uomini e donne immigrati in Europa, infatti, si gioca da una parte sull’impiego sempre più necessario di manodopera femminile immigrata a bassissimo costo (impiegata nel settore del lavoro domestico e della cura), perché tappi i buchi di un Welfare ormai inesistente. Dall’altro lato, l’Europa ha bisogno di lavoro immigrato maschile ‘usa e getta’ che vada ad ingrossare le fila globali di un esercito industriale di riserva in espansione. Comprendere il femonazionalismo per il suo razzismo malcelato, implica non solo una critica sul piano politico e simbolico ma anche sul piano della sua articolazione economico-politica”. E la Sardegna? Vive “una situazione economica drammatica. Molti giovani non possono neanche immaginare di crearsi una famiglia. Nei rapporti sociali detta ancora legge l’appartenenza, quasi mai la competenza anche se esistono eccezioni. Io per esempio partecipando a un concorso universitario, mi sono trovata bene”. Ma il nodo irrisolto sta nella “mancata valorizzazione delle risorse locali. Non penso solo all’ambiente, all’agroindustria, all’allevamento, al turismo. Guardo con rabbia alla distruzione del tessuto produttivo. Penso con tristezza allo spopolamento prossimo venturo”. Un fatto positivo? “La voglia di lotta degli operai del Sulcis e di Portotorres, di Ottana, Macomer e Portovesme. Il mio paese, Ozieri, col territorio che si ritrova, potrebbe essere un distretto agroalimentare. La Sardegna dovrebbe reagire. Ha una classe di giovani formata. Utilizziamola”. Non solo Sara. Anche suo marito ha interessi intellettuali radicati in Sardegna. Si chiama Peter D. Thomas, 39 anni, nato a Rockhampton in Australia, ha studiato “Literary criticism” alla University of Queensland a Brisbane e ad Amsterdam per il dottorato. Col libro “The Gramscian Moment” ha vinto quest’anno il “Premio Internazionale Sormani” della fondazione Gramsci di Torino. Conosce i luoghi gramsciani, da Ales a Ghilarza a Torino. Alla domanda sull’attualità del pensiero di Gramsci Thomas risponde: “Nell’ultimo anno abbiamo assistito a rivoluzioni e movimenti di resistenza in tutto il mondo, dalla primavera araba agli Indignados, a Wisconsin e Occupy, alle proteste in Grecia. Le persone comuni hanno dimostrato la loro capacità, anche nelle circostanze più inattese, di dare avvio a progetti di resistenza e di trasformazione radicale. Ciò di cui questi movimenti hanno bisogno sono teorie in grado di far crescere la loro capacità di agire. In tal senso, il pensiero di Antonio Gramsci, come uno dei tentativi più raffinati del pensiero moderno di pensare il rapporto fra organizzazione e liberazione, sarà sempre di attualità là dove le masse riavviano la ricerca della rivoluzione come il terreno di una democrazia vera, in grado di allargare le possibilità di autodeterminazione e convivenza democratica”. Verrà presto in Sardegna? “Verremo, io e Sara. C’eravamo la scorsa estate. In Sardegna respiriamo bene: c’è cultura e beni ambientali. Basi per una ricchezza vera”.
* Sardi News