di Elisa Sodde
Oliviero Diliberto, politico, giurista e docente italiano.
Deputato dal 1994 al 2008, è stato Ministro della Giustizia (1998-2000) nei due Governi D’Alema. Per tredici anni, dal 2000 al febbraio 2013, Segretario Nazionale del Partito dei Comunisti Italiani.
Attualmente professore ordinario di Diritto romano presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università La Sapienza di Roma. Ha ricoperto lo stesso incarico presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Cagliari, sua città natale, prima di candidarsi alle elezioni politiche nazionali del 1994. Come studioso del diritto romano ha pubblicato Studi sulle origini della “cura furiosi” e sull’Episcopalis Audientia.
Professor Diliberto, come Lei ha più volte raccontato, pur essendo nato a Cagliari, per ragioni affettive considera il Sulcis–Iglesiente la “sua” terra: suo padre era di Iglesias, sua moglie è di S. Antioco e il suo primo collegio elettorale, nel 1994, fu proprio l’iglesiente. Vorrei, dunque, affrontare con Lei una riflessione su una questione che mi sta molto a cuore. Dai dati ufficiali di Unioncamere risulta che la provincia di Carbonia–Iglesias, con i suoi 130 mila abitanti, di cui un terzo disoccupati o in cassa integrazione, un altro terzo pensionati, sia la più povera d’Italia; nonostante il Sulcis Iglesiente, possa invece, positivamente vantare, (così come l’intera Isola) un vastissimo patrimonio storico, culturale e tradizionale ultramillenario. Lei pensa che tale prezioso giacimento culturale, questa “dotazione genetica” della nostra terra, possa esser facilmente trasformata in patrimonio economico in grado di portare una ventata di benessere ed il tanto auspicato lavoro in questo territorio? Qualche anno fa, un ministro della Repubblica dichiarò che “la cultura non si mangia”. Una sciocchezza colossale, anche un po’ volgare, ma soprattutto un errore enorme di prospettiva. Finita la monocultura mineraria, cosa resta al Sulcis Iglesiente? Restano la sua storia millenaria, testimoniata da uno straordinario patrimonio archeologico, quello fenicio-punico, romano, ma anche quello industriale, nonché incredibili bellezze naturali (penso alle coste, ma non solo, evidentemente). Si tratta di testimonianze del passato uniche al mondo: potrebbero rappresentare un fortissimo stimolo al turismo cosiddetto “integrato”: vacanze al mare, archeologia, gastronomia ed enologia (vini superbi nel Sulcis!), vendita di pacchetti con accordi che potrebbero esser gestiti direttamente un consorzio tra comuni della zona, con alcune grandi istituzioni turistiche internazionali. Una ricchezza che, per quanto riguarda il mare, dura da noi da maggio-giugno ad ottobre-novembre, ma è sfruttata pochissimo. Ma penso anche a pacchetti per i mesi invernali, a basso costo, che prevedano itinerari storico-archeologici, cicli di lezioni (dieci giorni, ad esempio) di materie, ancora una volta, archeologiche, con accordi con università italiane e straniere (assai curiose del nostro patrimonio culturale). Non ci vorrebbe molto, solo buona volontà e capacità organizzativa: i nostri paesi si popolerebbero di visitatori e se ne avvantaggerebbero tutti, non solo albergatori e ristoratori: penso alle case da affittare, agli artigiani, a tutti i commercianti, ai tanti giovani che potrebbero essere preparati come valenti guide ed intelligenti custodi dei siti storico-archeologici.
A suo avviso, quindi, la rassegnazione e l’accettazione quasi passiva di questa difficile realtà che vivono i nostri concittadini sulcitani può essere combattuta attraverso la riscoperta dell’identità culturale e l’investimento in cultura? Da anni, il più delle volte inascoltato, vado ripetendo che noi sardi dovremmo smetterla di lamentarci, come se la responsabilità dei nostri disagi e delle nostre tragedie sia sempre degli altri. Se una popolazione di un milione e mezzo di abitanti, con un territorio straordinariamente importante e di struggente bellezza come il nostro, ha la metà delle persone disoccupate e più della metà dei giovani (che hanno ricominciato drammaticamente ad emigrare, ma questa volta si tratta di diplomati e laureati!), beh la colpa non sarà anche un po’ nostra? Rassegnazione e mugugno devono lasciare il posto ad una decisa voglia di riscatto: non basta dirsi – giustamente – orgogliosi di essere sardi, se questo orgoglio non si trasforma in azione, voglia di fare, costruire, produrre idee e poi realizzarle. L’identità può essere decisiva, se non sarà fine a se stessa, ma se, viceversa, rappresenterà la sua concreta realizzazione: la cultura può esserne la molla decisiva.
Al giorno d’oggi, si può ancora dire che l’arte, la cultura, ma anche un singolo libro, possano avere un potere rivoluzionario? Certamente. La cultura, in tutte le sue manifestazioni, è sempre un formidabile strumento di emancipazione, di acquisizione della consapevolezza dei propri diritti, del senso di sé. Ed in questa Italia involgarita, nella quale le parole cultura e sapere (scuola, università, ricerca, beni culturali) hanno perso, ahimè, il loro significato di valori fondativi della Repubblica, rivendicare la cultura come bene essenziale dei cittadini ha sicuramente un potere rivoluzionario: ovviamente, se essa è di tutti, perché se diventerà appannaggio di pochi, come qualcuno auspica, rappresenterà uno strumento non di emancipazione, ma di oppressione di quei pochi su tutti gli altri.
Investire in cultura paga politicamente o moralmente? Paga enormemente: forse non in termini di immediato calcolo elettorale (ed infatti raramente la politica se ne è occupata negli ultimi anni), ma nel medio periodo paga eccome: una società che ha cittadini istruiti e dotati di senso critico (cioè che sanno distinguere una menzogna dalla verità) è una società migliore, più giusta, più ricca, ma anche più sicura. Le peggiori pulsioni che si diffondono nella nostra società (penso, ad esempio, al razzismo o alla xenofobia) sono infatti, il più delle volte, figlie dell’ignoranza.
In questi ultimi anni l’abbiamo vista protagonista in diversi eventi culturali promossi dell’amministrazione Comunale di Sant’Antioco, qual è il suo ruolo in questa promozione e rinascita culturale? Per giunta, nel mese di aprile del 2012, nel corso delle attività culturali promosse dal Comune di Sant’Antioco, è stato nominato Socio Onorario dell’infaticabile Associazione Culturale Arciere presieduta dal dott. Roberto Lai. Quale sarà il suo contributo e quale il suo ruolo in quest’associazione che, nell’ambito della sua mission, ha scelto come priorità assoluta la valorizzazione del culto di Sant’Antioco quale patrono della Sardegna e la gratuita distribuzione di migliaia di libri che parlano della Storia e dell’Archeologia Sulcitana? Collaboro. I promotori sono ovviamente altri. Ma collaboro con gioia. Di questi tempi è quasi commovente vedere cittadini valorosi, coadiuvati da un’amministrazione comunale intelligente, che promuovono l’identità culturale e storica della propria città, oltretutto, come già ricordato, città alla quale sono legato moltissimo per via di mia moglie. Cerco, nella misura di cui sono capace, e negli ambiti delle mie competenze, di dar loro una mano, di scrivere per l’interessantissima rivista promossa dall’associazione Arciere (gli Annali Sulcitani), di partecipare agli incontri pubblici di studi: ed è altrettanto commovente vedere che a tali incontri partecipa sempre un grandissimo numero di cittadini, a dimostrazione che la fame di cultura esiste, eccome! Va stimolata, offrendo alla popolazione le occasioni per coltivarla. Cercherò inoltre, a parte ciò che potrò fare io direttamente, di coinvolgere nelle attività dell’associazione quanti più colleghi sarà possibile delle università e dei centri di ricerca nazionali ed internazionali: sarà un’occasione per i concittadini sulcitani di incontrare personaggi di fama mondiale nei rispettivi campi di studio, ma anche un’occasione per queste personalità di conoscere un territorio ricchissimo di potenzialità culturali (e dunque economiche, come detto) e, in particolare – lasciamelo dire – gente meravigliosa!
sicuramente non sarà quel signore a realizzare la rinascita del popolo sardo. come ha fatto fin ora è riuscito a far rinascere il suo conto in banca. Ma se non fosse stato con quella tessera sarebbe dov’è ora? Ho molti dubbi.
Premesso che rispetto le opinioni di tutti, a mio avviso, il commento appare non pertinente con i contenuti espressi nell’intervista. Ogni tanto è utile non fermarsi al titolo dell’articolo.
In questo mare pieno di pesci da rottamare,Diliberto e’ l’ultimo dei veri Comunisti.
Un inchino per questa voglia di dare alla cultura,da sempre martoriata dalle politiche ignoranti facenti capo a quel cretino che diceva che con la cultura non si mangia il giusto e dovuto tributo.
Spesso si parla e si scrive per il solo gusto di dare sfogo alla rabbia, e all’antipolitica che in questo momento tanto va di moda. Io non posso che apprezzare i contenuti di questa intervista. Chi è di sinistra conosce Oliviero Diliberto, che dire di uno dei più quotati docenti di diritto romano, che dire di un tecnico scelto da paesi come la Cina e il Vietnam per riscrivere il loro Codice, che dire di un titolare di Cattedra che durante l’attività parlamentare continua ad insegnare rinunciando allo stipendio, che dire della voglia di riscatto culturale che leggo in questa intervista…. GRAZIE Elisa Sodde, Grazie Massimiliano Perlato, Grazie Diliberto.
CI PIACE ASSAI QUESTA VOGLIA DI CULTURA. GRAZIE A TUTTI COLORO CHE SI ADOPERANO AFFINCHE’ CON LA CULTURA SI POSSA ANCHE MANGIARE.
Come Presidente dell’Associazione Arciere, un sentito grazie ad Elisa Sodde e Massimiliano Perlato, infinite GRAZIE all’amico Oliviero Diliberto.
Cario Pabedda, non conosco personalmente Oliviero Diliberto ma ho letto di lui a sufficienza per stimarlo come persona seria, colta e soprattutto intellettualmente onesta (oggi cosa assai rara) e anche operosa dove ha potuto o gli hanno concesso di agire. Con questo non ho la presunzione di fare la difesa d’ufficio, non ne ha bisogno, i suoi meriti sono di ben lunga superiori ai demeriti (tutti possono sbagliare) e dimostrati dai fatti, non dalle chiacchiere checché se ne dica. Nell’intervista risponde con intuizioni e consigli che altri parolai non si sognano di dare per paura di essere coinvolti nel FARE! Sì, perché questa è la parola “magica” che purtroppo i criticoni non conoscono o se ne capiscono il significato, si nascondono dietro la maldicenza per non lavorare. Per certi protestatari facile è denigrare, ancor più semplice stare a guardare. E’ la logica di quelli che aspettano o pretendono che la rivoluzione la facciano altri al posto loro, per poi saltar fuori a processo avvenuto e gridare ai quattro venti: “ C’ero anch’io!”. Da giovane, poco più che adolescente, pure io criticavo, protestavo e urlavo nelle piazze, e quanto mi piaceva, mi sentivo importante. Con il tempo mi accorsi di essere in gran confusione: era l’eco delle mie parole vane che rimbombavano rimbalzando da una parete all’altra della mia testa vuota. Capii che dovevo riempirla di contenuto cerebrale e c’era un solo modo: studiare, ragionare e soprattutto FARE! Nel frattempo sbagliai tanto ma trovai sempre chi con più esperienza della mia mi aiutò a capire. Oggi non sento più il rimbombo delle mie parole, m’irrita, invece, e molto, il fastidio di udire l’orchestra delle tante teste vuote, appartenenti a quei cialtroni che ogni tanto emettono suoni insensati per dimostrare a se stessi di esistere. Peggiore ancora quando questi suoni, alcuni li scrivono rovinando la carta (in questo caso il web) lasciando così traccia nella storia della loro insipienza.
Complimenti per la bella intervista