La storia non spunta come un fungo. È un percorso a ostacoli che creiamo noi. La storia è un campo di grano che seminiamo noi. La storia è una nostra responsabilità. Ma di questa storia non ci resteranno le spighe fra le dita, ci restano i forconi tenuti dalle peggiori braccia.
E io che quella energia l’avevo assorbita, raccolta, conservata, difesa, in quel libro che ormai da mesi presento in giro per la Sardegna. La vedo disperdersi. La vedo cedere il passo a questi estremisti senza arte né parte. La rabbia che abbiamo coltivato dentro di noi, ci ha resi orgogliosi di essere coraggiosi, determinati, giusti. La rabbia dei protagonisti dell’isola dei cassintegrati, il coraggio degli operai del Sulcis, la determinazione del movimento pastori sardi, andava incanalata in qualcosa di bello e rivoluzionario. In azioni, non in promesse, non nel populismo stupido e folle di chi addirittura dice di esserne fiero. Ma per fare queste cose ci vogliono i giovani. E quando a quelle presentazioni vedo gente commossa e stupita, del fatto che una ragazza figlia degli anni “80, invece che pensare di fuggire da questa terra, pretende di restare e dare un futuro alla nostra isola, penso che sto diventando minoranza in un Paese governato dal “si salvi chi può“, dall’egoismo, dalla rassegnazione.
E i giornalisti dovrebbero a gran voce urlarle queste cose. È finito il tempo della sterile cronachella di paese. “Del non ci schieriamo perché ci hanno insegnato così nelle scuole di giornalismo“. Dei direttori di giornali che non prendono una posizione per non scontentare nessuno. Dobbiamo avere il coraggio di respingere la violenza, l’ignoranza, il degrado. Di scriverlo nei giornali. L’Italia non ha alcun bisogno di fare altri passi indietro. Non ha bisogno di rispolverare il fascismo insito negli italiani da sempre, da prima che nascesse Mussolini. L’Italia indifferente che va sconfitta in Parlamento con le persone migliori e con azioni concrete, avrebbe bisogno di italiani in grado di non girarsi più dall’altra parte, di non confondere la critica costruttiva a una forza politica con la violenza verbale e fisica, con “il tutti sono uguali“, che incolpa gli onesti e assolve i delinquenti. Le parole sono importanti, entrano nella testa e generano i mostri della Storia.
In questi giorni tre immagini mi hanno fatto capire che dobbiamo avere paura di noi stessi. La prima:i poliziotti che si tolgono il casco davanti ai forconi con cui solidarizzano. Peccato che invece quando i nostri pastori andarono a Roma nel 2010, per manifestare e rivendicare i loro diritti, solo per il fatto di essere sbarcati a Civitavecchia furono rinchiusi in una gabbia come pecore e manganellati. E io sono sarda, non dimentico, non perdono un Paese che non sa chiederci perdono. Seconda immagine, la carica sugli studenti che manifestavano a Torino. Un trattamento diverso che stona con quello avvenuto con i forconi. Di certo non mi interessa semplificare, ci saranno state delle differenze in quelle due manifestazioni, non metto in dubbio che abbiano fatto il loro dovere. Ma a me, da cittadina libera, spero ancora in un Paese libero, non è piaciuta questa diversa risposta. Perché io preferisco la parola studente alla parola forcone, mi piacerebbe che la pensassero come me anche tutte le forze dell’ordine e il nostro Ministro degli interni, sono certa che quello resterà un caso isolato. Terza, quella foto rubata al mio amico fotografo che spopola sui siti italiani, non solo ormai è normale rubare la roba altrui, ma si tratta di un forcone sì è vero, ma tenuto da un figurante al “Matrimonio selargino”. Una manifestazione culturale importantissima nello scenario della nostra tradizione. Quello è un forcone di pace, che racconta la storia di un popolo, non è un forcone che vuole distruggerla, la storia di un popolo.
Sapete cosa vanno cancellate dal nostro futuro? Le parole fascismo e comunismo. Siamo un Paese bloccato da 70 anni. Entrambi hanno creato l’inferno sulla terra. Totalitarismi, dittature, morte, guerre, sofferenze, stermini, povertà. Ma mentre la parola comunismo era nata per dare speranza e ci ha traditi tutti come umanità intera, nel fascismo non c’è mai stata neppure la speranza. Non c’è mai stata la lontana idea di fare del bene. C’è stata solo l’idea di sopprimere le minoranze, di cancellare la parola solidarietà. Noi italiani il fascismo l’abbiamo inventato ed esportato, non ricaschiamoci per la seconda volta. Pretendiamo che questa volta vada in modo diverso. Dobbiamo superare queste due parole maledette e creare finalmente una società migliore. Per farlo dobbiamo seguire un unico comandamento: dobbiamo essere coraggiosi! Dei codardi, ne abbiamo pieni i libri di storia.
* cagliari.globalist.it