“Deo in Sardinnia de dinari pro istèrrer ateru cimentu no nde li mando” dice Salvatore. Poi gli viene lo scrupolo di passare per un insensibile egoista e si corregge: “Si cherent dinari po nde l’istratzare, su cimentu, fintz’a milli dollaros li donu”.
Salvatore costruisce e ricostruisce case, ha lasciato la Sardegna quarant’anni fa portandosi appresso il mestiere di muratore, ma qui i muri da costruire sono pochini, giusto di finizione, mai di sostegno, sicché Salvatore ha sviluppato negli anni una sana diffidenza verso tutto ciò che si solidifica e si fa pietra, ed una predilezione verso tutto ciò che si può tirar giù con martello e cacciavite.
Salvatore è andato a ricostruire New Orleans otto anni fa, guidando per tremila chilometri il suo Toyota cassonato carico di tre casse d’attrezzi da legno ed un compressore a gas, niente cazzuole né secchi per la malta, qui si ricostruisce in travi di legno e cartongesso, che qui chiamano gyprock.
Non era la sua prima alluvione, quella: Salvatore ci aveva fatto il gambale ormai, anche se qui di diverso c’è che è il vento a trascinare e distruggere, non l’acqua. Qui è tutta pianura, è il vento che fa sconquassi ma è l’acqua che fa danni, penetrando nel legno e macerandolo. Quando lo scantinato e il primo piano restano allagati per più di ventiquattro ore, la casa intera è tutta da buttare.
Ma qui buttare non è un dolore. Questo non è paese che ami eternizzarsi nella pietra o nel cemento. Questo è paese di garage sales dove in un sabato di sole ci si disfa di trent’anni di mobilio, oggetti, libri e ricordi di un’intera famiglia. E si ricomincia a costruire, nuove case, nuove vite e nuovi ricordi. E spesso nuove famiglie.
Questo è un paese che sa di dover costruire sulle sabbie mobili del tempo, che non si affeziona a muri e palazzi, ma piuttosto a colori, brezze ed energie passanti. Non è paese scolpito nella roccia come l’America centrale dei Maya o quella meridionale degli Inca, quest’America è paese transumante, di teepee da montare e rimontare al seguito delle mandrie dei bisonti, paese dove Madre Natura comanda ancora e nessuno è così pazzo da cercare di domarla, così come non si può domare un bisonte.
Qui la Natura non si “mette in sicurezza” contenendola o arginandola, qui la difesa è preventiva ma passiva: la si lascia sfogare cercando di tenersene lontani. Qui ai fiumi si lasciano chilometri di pianura alberata per espandersi. Qui si costruisce basso, i soffitti si toccano con le mani perché i due metri e settanta italiani sono uno spreco assurdo di spazio e materia. Qui durante i terremoti le case dondolano e scricchiolano, ma non ti schiacciano come un topo sotto decine di tonnellate di pietra. Qui se abbatti un albero devi acquistarne altri due, o cinque, o dieci, purché di diametro equivalente. Qui si vive con il kit dello sfollato sempre in macchina: tre scatole di fagioli, due candele steariche e una coperta.
Salvatore sa che tra un po’ se ne andrà in pensione, venderà la sua bella casa comprata quando i figli erano piccoli, con tutti i mobili dentro, e se ne andrà a vivere in Florida, terra di paludi e di uragani. Perché non in Sardegna?, gli chiedo.
“Ca no b’hat pius niunu: babbu e mama mortos, sos amigos si che sunt morzende, ite b’ando a fagher? A mi ponner torra a fraigare a brocchettos e impastu?”
In quarant’anni di vita nordamericana Salvatore ha assorbito questa chiara coscienza della provvisorietà, questo panta rei rarefatto che a noi europei fa ribrezzo, ma che qui s’affronta con un sorriso, quello stesso dell’alluvionato australiano che guardava la sua casa ridotta ad un cumulo di macerie fangose, e dal verde dei suoi settantasei anni dichiarava in telecamera: “Poco male, ricostruiremo, abbiamo tutta una vita davanti!”
Qui la Natura non si “mette in sicurezza” contenendola o arginandola, qui la difesa è preventiva ma passiva: la si lascia sfogare cercando di tenersene lontani. Qui ai fiumi si lasciano chilometri di pianura alberata per espandersi. Qui si costruisce basso, i soffitti si toccano con le mani perché i due metri e settanta italiani sono uno spreco assurdo di spazio e materia. Qui durante i terremoti le case dondolano e scricchiolano, ma non ti schiacciano come un topo sotto decine di tonnellate di pietra. Qui se abbatti un albero devi acquistarne altri due, o cinque, o dieci, purché di diametro equivalente. Qui si vive con il kit dello sfollato sempre in macchina: tre scatole di fagioli, due candele steariche e una coperta.
purtroppo la diffidenza è comprensibile. Della cementificazione si rendono conto sopratutto gli emigrati che tornano in Sardegna ogni tanto (anche tutti gli anni) e che tutti gli anni gli spariscono dalla vista grandi pezzi di panorama perchè tutti gli anni ci sono centinaia di nuove costruzioni, villaggi fantasma dove non ci sta nessuno….