La poesia del tempiese Francesco Pasella è ragione e ragionamento di un esercizio alto del linguaggio, e realtà lirica interiore connotata da istanze di rinnovamento espressivo, che persegue e traduce in lampi d’illuminazione poetica da “atto puro”, rappresentato dalla meraviglia ed essenza della parola-metafora, definito dalla tradizione ermetica del Novecento letterario italiano.
Diverse le composizioni emblematiche, contenute nel nuovo “sofferto” volume di liriche Il sole del Baltico (Edizioni CFR, pagine 80, euro 10,00) ed introdotte da un saggio di Francesco Cossu, che scandiscono, con interpretazione creativamente originale, una tensione di lacerante dolore esistenziale dalle molteplici suggestioni e a testimonianza di scelte, condizione e contraddizioni dell’uomo moderno, con un diretto impegno e ricercato verso fortemente analogico e coerente. Il poeta Francesco Pasella dissoda e dissacra l’ordinaria quotidianità; attinge e si immerge nell’esistenza che le viene incontro e da cui rivela, con generosità e senza filtri, quanto i ritmi dell’anima gli ispirano in un delirio lirico di misteri, passioni, sentimenti ed umanità. Nella riscoperta della propria natura, la “babele” poetica di Francesco, nutre l’anima di sorprese “tra una moltitudine di fasulli viaggiatori, sospeso nel miraggio terreno di austere fiabe nordiche e scure sirene avvenire, schiarite appena dal vento”. Incontra il dolore e l’angoscia esistenziale che serve a svelare il cuore palpitante dell’uomo, e lo proietta oltre, per rendere comunicabile la ricerca di un sogno ideale-solidale, di un’avventura collettiva – mai ordinaria e banale – che permette la comprensione di sé negli altri. Il sole del Baltico – che arriva dopo sei anni dalla pubblicazione della sorprendente e rivelatrice silloge d’esordio Il porto degli sconfitti – è opera di maturità, complessità etica e filosofica per molteplici letture ed interpretazioni. L’introduzione di Francesco Cossu, rigorosa ed inequivocabile, evidenzia l’identità della raccolta poetica di Francesco Pasella e ne rileva lo “schietto pregare laico contro ogni squallida messinscena della presunta normalità quoti-diana che non risparmia nessuno” e “un credo libero di intolleranza verso l’ipocrisia, la banalità trasposta come esempio di una filoso-fia di semplicità che nasconde quella resa all’ovvietà che inchioda la moltitudine” e che il nostro profondo giovane poeta di Tempio Pausania “vuole smascherare”.