di Annalisa Atzori
L’appuntamento con le “cenette culturali” a Verona sta riscuotendo un successo sempre crescente e il pre-cena culturale è un rito atteso con interesse dai sardi e dai veronesi all’associazione Sebastiano Satta. Sabato 9 novembre, complice la “bruma” che avvolge il Forte Chievo di sera, la magia ha fatto gli onori di casa. Maurizio ha accompagnato gli ospiti in un viaggio sospeso tra le proprietà benefiche e venefiche, leggerete delle piante che comunemente si possono trovare in nostri giardini o in campagna e i miti e le leggende che hanno proprio in queste piante le vere protagoniste. Solinas, infatti, si definisce naturalista per passione e fitopreparatore per titolo, ma potremmo aggiungere, perché no … anche mago. Magia bianca o magia nera? Beh, dipende dall’occasione.
Il giacinto ha origini mitologiche. Era giovane bellissimo, amato dal dio Apollo e con lui usava allenarsi al lancio del disco. Zefiro dio del vento di primavera e grande amico di Apollo, non poteva sopportare le preferenze che quest’ultimo rivolgeva al bel Giacinto e giocò un brutto scherzo al giovinetto di bell’aspetto: deviò con un soffio il lancio del disco di Apollo e il povero Giacinto cadde, colpito a morte. Apollo, affranto, fece nascere dal sangue del suo amato un bellissimo fiore che porte il suo nome, il giacinto.
Altrettanto affascinante è il mito che si lega alla nascita del giglio tigrato. Un dì in Korea un santone incontrò sul suo cammino una tigre che aveva una freccia conficcata in una zampa. Il santone liberò l’animale da questa tortura e la tigre, riconoscente, decise di rimanere fedele al suo fianco per tutta la vita. In punto di morte, non volendosi separare dal suo benefattore, gli chiese di trasformarla in qualcosa che potesse restare ancora con lui: così nacque il bellissimo giglio tigrato.
Una curiosità. Il giglio è stato utilizzato anche come simbolo in araldica, ma quello più famoso (il giglio di Firenze) in realtà è un altro fiore: si tratta dell’iris pallida, detta anche giaggiolo fiorentino.
Con il giglio (svela il “mago” Solinas) si possono far ammalare i nostri nemici … basta, infatti, strappare un giglio sotto il segno del leone, immergerlo nel succo di bacche d’alloro, lasciarlo marcire in un letamaio e prendere i vermi che ne nascono. Farli essiccare e ridurre il tutto in polvere. E poi cospargere di questa magica polverina le persone che non ci sono gradite … Da tenere a mente in caso di necessità! Volete, invece, eliminarli per sempre? Basta un po’ d’Aconito nepello … ma non vi dico come, con i tempi che corrono, potreste usarlo sul serio.
Per la rosa ci sarebbero mille storie da raccontare. Si dice sia stata un dono fatto dagli dei a Venere, per onorare la sua bellezza. Si dice che Cupido versando distrattamente del vino rosso sui suoi petali bianchi ne abbia mutato il colore. Addirittura che la prima donna, Eva, baciò la rosa bianca ed essa arrossì per pudore. Nel mondo arabo si ritiene quella bianca nata quando Maometto salì al cielo.
La rosa è stata ed è simbolo di segretezza, di silenzio e di amore. La rosa stilizzata a cinque petali ornava i confessionali insieme all’iscrizione “sub rosa” a sigillo di silenzio e discrezione.
La rosa bianca è stata simbolo araldico della casata degli York, quella rossa dei Lancaster.
Il giardino delle rose più bello è stato creato per volere dell’imperatrice Giuseppina, moglie di Napoleone Bonaparte. Era così appassionata di rose che gli eserciti dell’imperatore avevano ordine di portare a Parigi ogni nuovo tipo di rosa trovassero durante le loro campagne … la distanza da casa non aveva importanza! Il consigliere per il giardino di Malmaison (così si chiamava il castello preferito di Giuseppina, regno delle sue meravigliose rose) era un tale John Kennedy (forse avo dell’omonimo presidente degli Stati Uniti) del vivaio Vineyard di Hammersmith (vicino a Londra): durante gli anni di guerra tra Francia e Inghilterra questo signore aveva uno speciale lasciapassare per andare da Parigi a Londra, dove acquistava per l’imperatrice tutte le nuove varietà di rose che arrivavano al famoso mercato londinese.
Una leggenda rumena dice che il Sole, innamoratosi di una bellissima giovane che faceva il bagno, si fermò ad ammirarla. La Luna, gelosa, chiese agli dei di obbligare il Sole a ripartire. Il giorno dopo, la ragazza non c’era più. Al suo posto, un bellissimo cespuglio di rose bianche. Al passare del Sole, le rose più in alto divennero rosse, quelle al centro diventarono rosa, quelle in basso, non raggiunte dai suoi raggi, restarono bianche.
Legate alla mitologia scandinava sono invece l’origine del vischio e dell’agrifoglio, da noi segno di buon auspicio e del Natale.
Odino e sua moglie Frigg avevano un figlio, Baldur, il più bello degli dei, splendente come il sole. Loki, dio del caos e dell’astuzia, diabolico e ingannatore, non lo aveva in simpatia. Baldur ebbe un presagio di morte e sua madre, preoccupata, fece giurare a tutte le piante, animali, pietre ed elementi che mai avrebbero fatto del male al suo adorato figlio. Si scordò, però, di far giurare il vischio, troppo giovane secondo lei. Loki approfittando di questo, chiese al fratello cieco di Baldur, Hodur, di scagliare sul fratello una freccia di vischio. Lui lo fece e Baldur, colpito a morte, cadde su un cespuglio di agrifoglio. Il suo sangue si trasformò in bacche rosse e fu benedetto da Odino, per essere stato l’ultimo giaciglio di suo figlio. Frigg, la madre disperata, pianse tanto che le sue lacrime si trasformarono nelle belle perle bianche del vischio.
Il vischio si utilizza a protezione della casa. Baciarsi sotto il vischio porta fortuna. I druidi per coglierlo facevano un rito: lo tagliavano con un coltello d’oro, lo avvolgevano in un velo di lino bianco e sacrificavano due torelli bianchi.
Altra pianta molto interessante e misteriosa è il biancospino. Nella tradizione Cristiana, si ricorda che la Madonna, in fuga con Giuseppe e il Bambino da Erode che aveva ordinato la strage degli innocenti, abbia dovuto fermarsi per cambiare il piccolo. Dopo aver lavato il pannolino che lo copriva, lo mise ad asciugare su di un cespuglio, che, per mimetizzarlo agli inseguitori, subito si coprì di fiorellini bianchi profumatissimi: era appunto il biancospino. Nel ciclo bretone, si narra che tra le fronde del biancospino dorma Mago Merlino: lo aveva trasformato in pianta la fata Viviana. Merlino, in collera per la decisione di Artù di inviare i cavalieri della Tavola Rotonda in giro per il mondo alla ricerca di more (per soddisfare una richiesta della regina Ginevra!), cosa che avrebbe lasciato il Regno indifeso dagli attacchi esterni, decise di recarsi nella foresta, abitata dalle fate. Queste ultime pensarono di giocare un brutto tiro a Merlino e, grazie alla più bella di loro Viviana, riuscirono nell’intento. Viviana carpì tutti i segreti del Mago grazie alle sue doti di seduttrice. Alla fine, lo trasformò in cespuglio di biancospino.
Nel Medioevo, si diceva che la corona di spine che avvolse il capo del Cristo fosse fatta di biancospino. I Celti esponevano i bambini gracili, nudi, alla pianta di biancospino, per farli rinvigorire … e se superavano quella prova di sicuro, erano di robusta costituzione!!
Il biancospino si usa anche a protezione dei fulmini e qualcuno ne mette ancora un ramo sulla casetta delle galline: tiene lontane le streghe a caccia di uova.
I pescatori si guardano bene dal passare sotto il biancospino con il frutto del loro lavoro … evitano così che la pianta ne alteri il sapore.
La bella celidonia, invece, era conosciuta per le sue proprietà anti-tumorali. Non ci sono dati certi in merito, ma le rondini pare continuino ad apprezzare le doti di questa pianta: infatti, si dice che ai rondinini, con gli occhi ancora chiusi, sia portata della celidonia, che aiuterebbe ad aprirli.
Il nostro “mago” conosce anche la ricetta dell’unguento stregonesco utile per rendersi invisibili (occhio alle spalle) e volare al sabba sotto il noce di Benevento. Che possa essere utile anche per volare verso la Sardegna, considerando l’incapacità dei nostri politici di darci una continuità territoriale decente?