UNO SQUARCIO DI SARDEGNA ANCHE AL "MOMA" DI NEW YORK: PAOLA ANTONELLI RACCONTA IL SUO PERCORSO IN UNO DEI PIU' PRESTIGIOSI MUSEI D'ARTE MODERNA AL MONDO

Paola Antonelli


di Fabio Marcello

“La scelta più azzeccata della mia vita? Passare dalla facoltà di Economia a quella di Architettura al Politecnico di Milano”. Lo dice con il sorriso sulle labbra Paola Antonelli, 49 anni, senior curator del dipartimento di Architettura e Design del Museum of Modern Art (meglio noto come Moma) di New York. Nata a Sassari da genitori lombardi, la Antonelli è stata docente alla University of California di Los Angeles. Ha curato mostre negli Stati Uniti ma anche in Giappone, Francia e Italia. Oggi collabora con riviste specializzate ed è autrice di numerose pubblicazioni tra le quali “Objects of design” del 2003, e “Humble masterpieces” del 2005. Dalla Sardegna a uno dei templi mondiali dell’arte, un bel salto: “Inevitabile. Nel senso che in Italia non c’è spazio per quelli della mia generazione. I più anziani rimangono attaccati alle poltrone fino all’ultimo, e in ogni caso non avrei mai potuto ambire a traguardi professionali importanti”, spiega la professoressa Antonelli, di recente inserita dalla rivista Art Review nella lista delle cento persone più potenti del mondo dell’arte. L’assunzione al Moma risale al 1994, come associate curator: “Tutte le proposte che ho ricevuto, non solo dall’Italia, non mi garantivano la visibilità e il potere che ho qui a New York. Al Moma se alzo il telefono raggiungo chiunque, sempre. E’ il posto di lavoro ideale”, spiega la Antonelli, promossa curator nel 2000 e infine nominata senior curator nel 2007, grazie al contributo svolto per l’inserimento del design tra gli ambiti di ricerca del museo. Della Sardegna e di Sassari conserva un ricordo affettuoso ma vago: “A Sassari ci sono nata”, racconta, “poi ho vissuto per qualche tempo a Ferrara prima del definitivo trasferimento a Milano”. Nel capoluogo lombardo la Antonelli si è fatta le ossa: “A diciott’anni collaboravo con le pagine di costume del Giornale di Montanelli e con lo staff delle pubbliche relazioni di Armani. Poi, l’avventura alla Bocconi in Economia. Mi accorsi presto che non faceva per me, e optai per Architettura, al Politecnico. Fu la mia salvezza”, ribadisce la professoressa che sulla tanto discussa ‘fuga dei cervelli’  dall’Italia ha una idea ben chiara: “L’Italia è ancora al top, almeno per quanto riguarda il settore design. Finiamola con la storia che i talenti italiani fuggono tutti e soprattutto ricordiamoci che i marchi italiani attirano, oggi come in passato, designer da tutto il mondo”. E la professoressa ricorda volentieri i suoi esordi newyorkesi: “Non è facile emergere, talmente tante sono le sfide che devi affrontare. Ci sono così tanti festival e fiere in giro per il mondo che alla fine diventa difficile farsi notare. Ma proprio questo è uno dei lati che amo di più del mio lavoro: le numerose chances che offre a chi è veramente capace e voglioso di mettersi in luce”. A proposito della elasticità mentale dei designer, uno dei fiori all’occhiello della brillante carriera della Antonelli è la mostra intitolata ‘Designer anche the Elastic Mind’ allestita al Moma nel 2008: “Ciò che distingue gli scienziati dai designer non è la preferenza di questi ultimi per la forma o la bellezza degli oggetti, ma l’intenzione di fare in modo che le scoperte tecnico-scientifiche entrino a far parte della vita quotidiana”, spiega la professoressa che, interrogata sulla possibilità di un ritorno in Italia, si limita a un “e chi può dirlo?”. Ma se ciò accadrà, sarà in ogni caso tra parecchio tempo: “Sono arrivate proposte di lavoro dall’Italia, certo, Ma sempre al di sotto del mio titolo e delle mie capacità”, ironizza la Antonelli che, riferendosi anche alla sua esperienza personale, conclude: “L’espatrio, almeno temporaneo, è una soluzione che mi sento di consigliare ai giovani”.

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