di Annalisa Atzori
A Verona ormai il caldo dell’estate è un ricordo sbiadito dal tempo. La mattina ci si sveglia con la nebbia davanti alle finestre, la sera l’umidità ti entra nelle ossa. Con un clima così, torna la voglia di riunirsi a cena, per passare una piacevole serata in buona compagnia e davanti a piatti invitanti. Infatti, da estimatori della cucina sarda (e veneta), abbiamo ripreso una sana abitudine, lasciata solo per la pausa estiva: le cenette culturali del sabato sera. L’idea è stata del vice-presidente Salvatore Pau: lui, sua moglie Annalisa e Renato Olivo sono i formidabili cuochi dell’associazione Sebastiano Satta. Ogni occasione è buona per farci degustare pietanze sarde o veronesi, ribadendo che a tavola l’unione tra le due cucine funziona alla grande.
Le nostre cenette hanno una marcia in più, “l’antipasto” infatti, è costituito da una piccola parentesi culturale: prima di cena, ci si trova per presentare e discutere degli argomenti più disparati, nell’ottica di far conoscere ai soci e ai simpatizzanti i vari punti di contatto tra la storia sarda e quella veneta.
Sabato scorso è toccato al commercio della selce e dell’ossidiana nel bacino del Mediterraneo.
A presentare l’argomento, “l’archeologo per diletto, storico di cose sarde e veronesi per passione” Alberto Solinas.
La selce, roccia sedimentaria formatasi dall’attrazione di minuscole particelle di silice sparse in strati di gesso e pietra calcarea, è stata usata per la produzione di utensili di vario genere fin dai primi insediamenti umani. Quella dei Monti Lessini (VR) è una delle più pregiate (la selce “bionda” è particolarmente resistente e preziosa), è stata una dei primi materiali a essere utilizzata nel commercio, insieme alle conchiglie che provengono dai mari caldi: era trasportata attraverso la Pianura Padana per raggiungere Genova o l’Istria.
Nel Riparo Solinas (sito neandertaliano scoperto da Giovanni Solinas) ne è stato trovato un blocco, era una riserva raccolta per poi, con le conchiglie, essere scambiata. Dall’età del Bronzo viene quella del Ponte di Veja (VR), utilizzata sempre per la produzione di utensili da lavoro.
La selce delle campagne di Lugo (VR) ha girato nell’antichità come moneta di scambio e a volte nei blocchi sono inglobati anche i fossili della zona.
La selce proveniente da siti veronesi è stata oggetto di studio anche in Gran Bretagna.
Anche in Sardegna è possibile estrarre la selce, specialmente nel nord ovest.
Nella terra dei Nuraghi però, il materiale più utilizzato per produrre utensili come punte di lancia e di freccia, lame taglienti ecc., era l’ossidiana: il vetro vulcanico che si forma grazie al rapido raffreddamento di lava ad alto contenuto silicico. Forse pochi lo sanno, ma la zona del Monte Arci (in provincia di Oristano) era un enorme vulcano: l’ossidiana che si può ancor oggi trovare in quella zona è la migliore di tutto il Mediterraneo. Anch’essa fu oggetto di scambi commerciali fin dai tempi più antichi; era un materiale prezioso anche simbolo di ricchezza perché allora se ne facevano già oggetti ornamentali atti ad arricchire la propria sepoltura. Per questo, parecchi monili in ossidiana sono stati rinvenuti nelle Tombe dei Giganti, guarda caso la maggior concentrazione di queste tombe è proprio nelle vicinanze di Monte Arci. Come la selce veronese che ha girato tutto il Mediterraneo, così è stata per l’ossidiana sarda, infatti, alcuni frammenti sono stati trovati anche sui Monti Lessini.
Attualmente, le vecchie cave di ossidiana sono abbandonate, il prezioso materiale si trova facilmente in superficie. Un vero peccato quest’abbandono, se si pensa che il vetro vulcanico è usato ancora oggi, naturalmente con tecniche di lavorazione più moderne della scheggiatura praticata in passato, per produrre lame per bisturi. Alcuni chirurghi le preferiscono rispetto a quelle in acciaio perché consentono un taglio più netto e, non essendoci particolato metallico, non causano allergie.
L’abbandono e l’oblio accomunano purtroppo i siti preistorici sardi e della Lessinia: negli ultimi 35-40 anni, vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per assecondare il fabbisogno del mercato edilizio, una parte dei siti preistorici è andata irrimediabilmente perduta.