di Valentina Usala
La conosco di persona grazie alle presentazioni di Massimiliano Perlato, ma il suo nome già risuonava per niente nuovo, per la moltitudine di attività che ha condotto e conduce. Ho avuto l’onore di averla mia relatrice per ben due volte e le sue parole sono state sempre un trionfo, anche per il cuore. Vere, sincere, che emergono all’unisono dagli abissi dell’emigrazione. Sa trasmettere amore per questa terra, a nome di tutti i sardi. Perché quanto lei dice è il pensiero di chi vive la Sardegna da oltremare. Le chiedo, ruolo insolito il mio in questo caso, di presentarsi, parlarmi un po’ di lei, delle sue attività.
Per chi è abituato a far parlare gli altri, sappi che è molto difficile parlare di se stessi. Fatta questa doverosa premessa, possiamo partire. Sono nata quasi 28 anni fa a Cagliari, con antenati spagnoli, per poi trascorrere tra Desulo e Uta, dove stavano i miei nonni materni, buona parte dell’infanzia. La mia passione per la lettura e la scrittura inizia molto presto: mio nonno paterno, che purtroppo non ho conosciuto – era un maestro e un grandissimo amante della cultura. E’ sui suoi libri che ho iniziato a scoprire il mondo e la storia. Anche i miei genitori sono dei grandi lettori e un giorno scopro una lettura di mia mamma, Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci. Da lì mi si accese una lampadina e iniziai a maturare il desiderio di diventare una giornalista. Frequento il Liceo scientifico di Sorgono e, nel frattempo, riesco a passare alcune estati in Inghilterra e, in una di queste, frequento un corso di teatro che apre un dilemma: giornalista o attrice? Di rientro a casa, dovendo scegliere il corso universitario, opto per Scienze della Comunicazione e giornalismo, a Sassari, ma non abbandono l’idea del teatro. Con due colleghi diamo vita a un piccolo gruppo e facciamo qualche spettacolo di cabaret e, inoltre, entro a far parte dell’associazione teatrale “Materia Grigia”. Sempre nel corso del primo anno dell’università, inizio a bussare qualche porta e pubblico i miei primi articoli su Reporters, magazine della Scuola di Giornalismo dell’Università di Sassari. Da quel momento, inizia il lungo e pieno percorso che mi ha potato ad oggi. Conosco quello che considero a tutti gli effetti il mio maestro di giornalismo, Enrico Porqueddu, direttore del storico quindicinale “Il Sassarese” e, contemporaneamente, inizio a condurre un talk di attualità e un programma di memoria storica in pillole su Telegì. Mi laureo in Scienze della Comunicazione con una tesi sulla militarizzazione estetica e sulle strategie di comunicazione attuate per il reclutamento dei kamikaze (quelli giapponesi della seconda guerra mondiale) e degli shahid islamici (che noi, erroneamente, chiamiamo kamikaze) e mi trasferisco da Scienze Politiche in Lettere per la specialistica. Nei due anni di corso, continuo a scrivere, abbinando altre attività, dall’ufficio stampa all’organizzazione di conferenze, passando per quella di presentatrice e insegnante nelle scuole elementari e medie. Soprattutto, dal 2009, grazie a un progetto di promozione della Sardegna all’estero, scopro il variegato mondo dell’emigrazione sarda che, così, diventa la mia tesi di laurea (e che ora sto trasformando in libro). Intanto, l’esperienza televisiva prende una piega diversa e Giuseppe Bazzoni, già direttore di Telegì, avvia insieme a Serena SIas una nuova realtà, Telesassari.tv dove, oltre a speciali culturali, conduco una trasmissione interamente dedicato all’universo femminile: Feminas, ovvero storie di donne straordinarie legate alla Sardegna. Il tema delle pari opportunità, le storie di donne, i problemi derivanti da violenze domestiche, stalking e simili, mi sono sempre stati cari e, in più casi, li avevo affrontati su Microfoni Aperti in tv o sulla carta stampata. Con Feminas, insieme a Serena Sias, abbiamo però scovato storie di vita che rappresentano veri e propri esempi di come si possano superare problemi e affrontare le situazioni. Subito dopo la laurea, frequento un corso in Marketing Territoriale con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e mi trasferisco a Milano, con l’obiettivo di starci giusto qualche mese, per fare un’esperienza di stage al Touring Club Ialiano, nel settore Politiche territoriali. Mi viene però in mente che, venendo da un periodo di magra in Sardegna, potrei iniziare a cercare lavoro al Nord e lo trovo, guarda caso in uno showroom dove si promuove la Sardegna. E così, sono ancora qui! Nel frattempo è uscita la Guida ai castelli del giudicato di Torres scritta a quattro mani con lo storico dell’arte Francesco Ledda,Telecom Italia mi ha inserito tra le role model delle iniziative di Direzione Donna e, nel mese di giugno sono entrata a far parte del progetto Focusardegna, un portale di approfondimento dedicato a tematiche sarde.
Parlami della tua emigrazione. Non posso parlare di vera e propria emigrazione. Io sono partita per fare uno stage di tre mesi al Touring Club Italiano, subito dopo il Master in Marketing Territoriale e, non vedendo in quel periodo altre possibilità in Sardegna decisi di accettare la proposta fattami a Milano, quella di lavorare al Sardegna Store. Insomma, è vero il detto: se Maometto non va dalla montagna, la montagna va da Maometto! Devo dirti che prima di partire avevo un po’ di risentimento nei confronti della Sardegna: era un periodo in cui diversi progetti che avevo in mente non decollavano, non stavo lavorando bene e continuavo a chiedermi:” ma che ci faccio qui?”. Mi sono ritrovata molto nelle storie di emigrazione che avevo raccolto negli anni e sapevo che sarebbero bastati pochi mesi e al risentimento sarebbe subentrata quella nostalgia martellante che ti porta a commuoverti quando al mercato trovi qualche prodotto sardo! Insomma, come tutte le cose, anche l’emigrazione, per poterla raccontare, la devi provare!
Il tuo impegno con il mondo dell’emigrazione sarda. Impegno è una parola troppo impegnativa. La sto raccontando in un libro che uscirà a breve e non perdo occasione di citarla perché penso che rappresenti una parte del nostro passato che abbiamo – non si sa per quale ragione – voluto dimenticare. Poi, mi capita di portare la Sardegna nel cuore di chi l’ha lasciata, organizzando conferenze culturali grazie al progetto Le strade del tempo, nei circoli sardi in Italia e Europa che hanno un gran desiderio di conoscere, scoprire e alimentare le proprie radici.
La Sardegna oltre il mare: come la vivi? La vivo come un momento di crescita. Osservare quanto vi è intorno per migliorare il luogo che ti ha dato i natali. Penso al discorso delle radici culturali, raccontato egregiamente dallo scrittore Salvatore Cambosu che, a differenza di molti sardi, non ha avuto bisogno di lasciare la Sardegna per comprendere l’importanza della storia e della cultura della propria terra. Ma, di fatto, penso che se non ci fosse stata l’emigrazione, molti sardi non si sarebbero resi conto della forza della propria identità culturale. Questo perché, in generale, l’uomo è portato a minimizzare quanto lo circonda. Il detto “l’asino diventa prezioso quando non c’è più” si riferisce proprio a questo! È normale, non è un’accusa o una vergogna ma un dato di fatto. Nel mio caso, sarà che parlo di Sardegna tutto il giorno, quindi è come se l’avessi accanto a me (anche se, a volte, quando mi capita di descrivere qualche luogo a me particolarmente caro, mi viene il magone). Rimane la nostalgia per la famiglia e per quei modi di fare così spontanei e pieni di sorrisi che in una città travolta dal lavoro e dalla frenesia a volte vengono a mancare.
Il tuo impegno con il mondo dell’emigrazione sarda. Impegno è una parola troppo onerosa. La sto raccontando in un libro che uscirà a breve e non perdo occasione di citarla perché penso che rappresenti una parte del nostro passato che abbiamo – non si sa per quale ragione – voluto dimenticare. Poi, mi capita di portare la Sardegna nel cuore di chi l’ha lasciata, organizzando conferenze culturali nei circoli sardi in Italia e Europa che hanno un gran desiderio di conoscere, scoprire e alimentare le proprie radici.
Chi è un sardo emigrato? Nella sede del Messaggero sardo vidi un quadro che mi rimase impresso: rappresentava un uomo con una valigia che portava insieme a sé, sotto i suoi piedi, un pezzo di terreno. Per me l’emigrato è colui che parte portandosi appresso le proprie radici. Ricordo che quando ti accompagnai nella presentazione del tuo “Passo a quattro mori”, i presenti andavano a recuperare ricordi d’infanzia che avevano caratterizzato la loro vista prima dell’emigrazione. Pensaci: come avrebbero potuto se, insieme a loro, non fosse partito anche quel pezzo di terra?
“Io sono sarda nel midollo.” E’ la frase più bella che ho sentito ad ora da un sardo, nel far capire le proprie origini. Così si definisce lei. E come poterlo negare?
Mariella è un turbine. Un turbine sardo, nel midollo.