Feci il servizio militare nelle truppe alpine in Alto Adige quando saltavano i tralicci e si sparava sui militari italiani. Non era facile digerire la paura specie quando eri obbligato a subirla senza via d’uscita. Ancor più duro quando sei un pacifista e non c’era il servizio civile. Essere noto comunista involontariamente mi agevolò: m’isolarono a far l’infermiere, cosi non potevo “sobillare” -sic- gli altri commilitoni con idee “disfattiste e rivoluzionarie”. Questo comunque non mi esentò dai servizi armati e dall’addestramento. Non scampai alle guardie notturne ai fantasmi pure a Natale con quindici gradi sotto zero, vegliavo per la tranquillità dei sonni del generale che poi fu degradato per ladrocinio. Partecipai al campo estivo, quindici giorni di lunghe marce sulle Dolomiti con trenta chili sulle spalle più il fardello delle armi che non erano piume. Grazie ad un capitano amante della montagna, nonostante la fatica, fu una gita meravigliosa con panorami stupendi che ricordo ancora con piacere. Stranamente non mi sentii condannato a un inutile servizio, seppur patriottico, anzi contento di tagliare il cordone ombelicale con la famiglia e ancor più con il solito tran tran con i compagni di scuola e amici d’infanzia. Quattordici mesi e nove giorni di stipendio in meno, in cambio però una scuola di vita: i commilitoni m’insegnarono, un po’ con le buone, un po’ con il solito “nonnismo” che il mondo non era solo mio e che la società aveva equilibri diversi da quello di casa mia. Qualcuno mi dirà ci sono altri metodi di emancipazione, condivido, ma i fatti mi dicono che una buona “naja” obbligatoria, anche come servizio civile, per uomini e donne, sarebbe non solo utile alla società ma anche per sconfiggere il dilagante “mammismo”.
Nostalgici sentimenti, bazzecole, risibili favole, tatticismi politici, penserebbero i fanti della Brigata Sassari, impegnati sul Monte Zebio o meglio, non si ponevano proprio simili pensieri. Ne avevano soprattutto uno tragico e sconvolgente che in un batter d’occhio offuscava la mente cancellandone ogni altro: salvare la pelle. Il mio campo estivo una barzelletta, i Sassarini guardavano sì, come me, il paesaggio, non per il piacere di vederlo ma per evitare la morte. A Natale quindici gradi sotto zero per loro era caldo e i fantasmi in carne e ossa. Vegliavano non per il sonno tranquillo di un generale corrotto, ma perché il nemico non scendesse nelle valli fino alla pianura per prendere alle spalle fanti come loro posti in difesa del fronte est. Tralicci? Lì saltavano le montagne! Loro la paura l’avevano digerita da un pezzo tanto ne erano circondati. Il cordone ombelicale non l’avrebbero voluto mai tagliare. Dei giorni della “naja” avevano perso il conto da molto tempo. E lo stipendio ci fosse stato potevano solo giocarselo a carte e chi vinceva, rigiocarselo perché non sapeva dove e come spenderlo. A loro modo erano pacifisti, non vedevano l’ora che tutto finisse per tornare a pascolare il gregge sui monti della Sardegna. Avrebbero volentieri fatto a meno della guerra come metodo d’emancipazione, conoscendo molto bene gli equilibri del mondo, mentre il “mammismo” lo sospiravano. Invece erano lì sullo Zebio, forse non sapendo perfettamente neanche il perché. Parlavano il Sardo, probabilmente l’Italiano a fatica. La loro Patria era la Sardegna, dell’Italia avevano ancora un concetto confuso, alle tre elementari neanche d’obbligo non insegnavano che qualche cenno di geografia, forse nemmeno si erano mai seduti sui banchi di scuola. Impararono che in Continente c’erano i calabresi, i napoletani e quant’altri perché ne condividevano gli orrori della guerra. Ma erano lì! Con il freddo o il caldo, con il sole o la pioggia, lì! Non mangiavano certo maialetto, lo potevano solo sognare, né bevevano cannonau ma neve sciolta ad acqua che trovavano lì! Stavano lì. Di fronte altri uomini come loro con gli stessi sentimenti e gli stessi problemi. Si dovevano sparare o sbudellare con la baionetta. Forse il vincitore era chi moriva subito e a quel punto erano tutti uguali. Lì, sempre lì! Come tutte le guerre anche la “Grande” è finita a tavolino, perché uno dei contendenti aveva finito le risorse, poi ognuno è tornato a casa propria, ma qualcuno è ancora lì! A testimoniarlo una croce sulla quale sta anche scritto: Belvì, Semestene, Ollolai, Bonorva, Terranova Pausania, Osilo e tant’altri toponimi sardi. Terre sarde, quindi, giusto e grande merito a chi ha donato alla Sardegna quel lembo di terra che custodisce quelli che sono ancora lì! E tu che ti vanti, sardo, dov’eri il giorno del ringraziamento a quelli del tuo sangue che sono sempre lì? Mi rivolgo a te che sapevi della commemorazione e non eri lì! Con quelli che sono ancora lì e a chi non è venuto per puerili ripicche o ha pensato non l’ho organizzata io, perciò non vado lì, proprio lì. O peggio ancora voleva trasformare una solennità in una braciolata lì, proprio lì, sulla terra sacra intrisa del sangue dei suoi conterranei. A dispetto, vergognosamente, ha boicottato la commemorazione. A costoro voglio ricordare che non basta essere nati in Sardegna per essere sardi, la “sardità” non è acqua fresca è soprattutto rispetto per quelli che sono lì, solo e sempre lì! Sul Monte Zebio.
A titolo personale, non voglio commentare i personaggi che avrebbero dovuto avallare la grandezza di tale iniziative, se non altro per il ruolo istituzionale che ricoprono e per la vicinanza geografica con la manifestazione, preferisco fare doverosamente un plauso ad Elisa Sodde e all’Associazione “Un Ponte fra Sardegna e Veneto” di Noale per aver orchestrato al meglio un’evento di ampia portata dall’intenso significato storico ed emotivo legato alla Sardegna. Quella che i veri sardi amano…
Da non dimenticare mai, mai, specie per i ragazzi che sono lontani da quel tempo, anche con la memoria.
Grazie a tutti voi per i sinceri complimenti, ma soprattutto per la comprensione di quanto, spesso, sia difficile organizzare eventi di questo tipo, in particolare per una piccolissima associazione come la nostra che si regge solo ed esclusivamente sui contributi fattivi ed economici dei propri soci più fedeli e motivati. Questa volta abbiamo avuto la fortuna di esser aiutati da “vecchi e nuovi” amici, come ho già detto nel mio articolo, che ci hanno supportato in modo semplice ed autentico, appunto, come dei veri Amici che hanno condiviso con noi -senza tornaconti personali, senza troppa pubblicità- questo importante e delicato momento della memoria dedicato ai Nostri Avi-Eroi di Tutti gli Italiani.
gli eroi non dovrebbero esistere
Sono le guerre che non dovrebbero esistere ma sin che si adora il dio denaro ci saranno sempre.