di Maria Adelasia Divona
Difficile raccontare una giornata come quella di sabato 20 luglio a Monte Zebio, faticosa da un punto di vista mentale, organizzativo ed emotivo: nata come una escursione in montagna per far conoscere ai Veneti un pezzo importante di storia patria fatta dai Sardi, si è trasformata in una commemorazione in piena regola con risvolti organizzativi che Elisa Sodde, presidente dell’Associazione “Un ponte tra Sardegna e Veneto” ha dovuto fronteggiare con attimi di scoramento, lei che ci teneva così tanto che le cose andassero per il meglio nel rispetto degli ospiti importanti che hanno onorato l’evento con la loro presenza.
La mia preoccupazione era invece che il tempo, lassù, a quasi 1700 metri, non tenesse. E invece: persone attente, partecipi con i loro racconti e commosse, e condizioni meteo favorevoli a incorniciare una giornata del ricordo, che per me è cominciata con l’ascesa al monte con sottofondo di letture da Il Cavaliere dei Rossomori. Vita di Emilio Lussu, di Giuseppe Fiori. Lettore d’eccezione Mauro Pili, con quella vena d’impeto che lo contraddistingue, sempre all’attacco anche su quella salita pietrosa, in cui si è arrampicato a passo lungo e svelto mentre declamava i brani di Fiori sottolineati a penna sul suo libro. Per poi fermarsi all’improvviso ad osservare, a tratti riflessivo, a tratti entusiasta, quel paesaggio risuonante di campanacci di vacche al pascolo, tanto lontano dai nostri, con foreste verdi di abeti enormi che da noi, come ha sottolineato qualcuno, non resisterebbero un’estate. Si concentra, l’Onorevole, e si riempie gli occhi. Poi riparte, con lo stesso impeto, tra le salite e le discese che conducono nella valle in cui 212 croci sono il memento dei Sassarini, non tutti, caduti su quella montagna tra il 1916 e il 1917.
E in un attimo sparisce: si infila in quel che resta del camminamento italiano di retrovia, attraversa il tratto di trincea originario e là si ferma. Guarda e tocca quei muretti interrati. Chissà quanti soldati vi si sono appoggiati per prendere un attimo di respiro tra un colpo e l’altro del nemico austriaco. Poi riemerge, ed inizia a percorrere il perimetro di filo spinato che circonda il terreno tumulato: i sardi presenti lo intravedono, lo chiamano, lo cercano, ma lui si nega, non si fa individuare, si confonde tra i grandi alberi che fanno ombra a questo pezzo di terra sarda su cui sventolano i Quattro Mori, il Tricolore e il Leone di San Marco, in una sorta di training autogeno pre-gara, in meditazione, forse pensando a quando ha inaugurato questo luogo sacro.
Esce allo scoperto solo quando, tra un albero e un altro, incrocia lo sguardo del Gen. Enrico Pino, 34° comandante della Brigata Sassari che insieme a lui, allora presidente della Regione Sardegna, ha realizzato questo luogo del ricordo nel 2003. Il Generale fa un cenno e lui è costretto a palesarsi: è un attimo, e viene circondato dai sardo-veneti che di buon mattino sono venuti qua in perlustrazione, chi a leggere per la prima volta i nomi su quelle croci, magari alla ricerca di un avo caduto, chi a rinnovare il ricordo a distanza di dieci anni dalla prima commemorazione. E’ come una festa: persone che si reincontrano dopo tanto tempo e che gli chiedono: Presidente si ricorda? Anche il Generale Pino se lo prende da parte, e prova ad accorciare le distanze: si erano rivisti a Udine per la posa del monumento in onore alla Brigata lo scorso ottobre, ma questa volta l’occasione è diversa, più intima, di maggiore condivisione, perché insieme sono stati artefici del cimitero di Monte Zebio, e non meri testimoni. Ma non manca di ricordare, il Generale, che il nord est è depositario di tanti luoghi della memoria, come il cippo della Brigata Sassari ad Azzida, vicino a Cividale, che è poco valorizzato perché all’interno di una proprietà privata e della cui cura i circoli friulani dovrebbero farsi carico.
Arriva anche Elisa Sodde, trafelata e preoccupata che tutto sia pronto per la commemorazione: un’accoglienza calorosa per lei da parte dell’Onorevole, che la incontra per la prima volta e la saluta con un abbraccio che fa sciogliere la tensione, e la invita per la prima di una lunga serie di foto ricordo di esuli avvolti dai quattro mori che vogliono dire a quelli sepolti sotto di loro: siamo qui, non vi abbiamo dimenticato. Elisa apre il suo zaino e tira fuori un pacco. Proviene da Sassari: come gli emigrati non si sono dimenticati dei Sassarini, così la Brigata non si è dimenticata dei figli della diaspora che contribuiscono a tenere viva la memoria. E’ un pensiero del Gen. Manlio Scopigno, attuale comandante della “Sassari” che ha inviato in una lettera i suoi saluti, il suo ringraziamento e la sua vicinanza, accompagnandola con i foulard del Comando Brigata che abbiamo indossato durante la cerimonia.
E così iniziamo: Elisa, visibilmente emozionata, legge il suo discorso. Le preme ricordare non solo i Sassarini caduti a Monte Zebio, ma tutti i caduti persi nelle missioni di guerra e di pace, attribuendo a ciascuno il medesimo valore. Ravviva il mito della nostra Brigata, e lo fa citando brani dal libro “Fanterie Sarde all’ombra del Tricolore” scritto dal Ten. Alfredo Graziani, del 151° Reggimento, che riportano l’entusiasmo dei Veneti al passaggio della “Sassari” tra quelle valli e quelle montagne. La commozione è palpabile, e si scioglie solo alla fine con l’incitazione al grido di “Forza Paris”!
E’ il turno del Gen. Pino, che parla con l’orgoglio di chi ha comandato la gloriosa Brigata, lo stesso che hanno mostrato i suoi predecessori e i suoi successori, fino all’attuale Comandante, che non manca mai di dare dimostrazione della sua sardità acquisita e del suo essere un Sassarino. Il Gen. Pino racconta la genesi di questo luogo del ricordo, fortemente voluto dall’allora Presidente Pili e sostenuta dalla partnership con la “Sassari”: richiama i racconti di Lussu in “Un anno sull’altipiano”, sottolineando come il testo dell’armungese abbia rappresentato una versione edulcorata rispetto alla crudeltà che ha contraddistinto quella guerra. Per questo incita a rinnovare la memoria per tenere vivo il ricordo di chi, da quella carneficina, non è più tornato: “Loro devono sapere! Dobbiamo loro questo ricordo, e il pensiero della nostra presenza li rassicura. Mi raccomando, non dimenticateci!”
È un passaggio di testimone, quello del Gen. Pino all’On. Pili, che richiama la volontà che spinse entrambi, sostenuti da tanti sindaci della Sardegna, alla realizzazione di quel luogo sacro. Così tanta fu l’emozione del momento, che solo alla fine l’allora Presidente si rese conto di aver dimenticato di fare delle considerazioni che ha voluto riproporre in questa commemorazione. Innanzitutto il ringraziamento per l’insegnamento di coraggio e altruismo arrivato fino a noi, e che ha dato vita, per la prima volta, a quel sentimento di unità del popolo sardo che è diventato tale dentro la Brigata Sassari. E poi una richiesta di scuse davanti a queste croci: scuse dovute perché quell’insegnamento, tramandato nel ricordo del sacrificio umano, è stato spesso disatteso, e i Sardi non hanno visto realizzarsi le promesse fatte dall’Italia a seguito di quel massacro che fu, soprattutto per noi, la Prima Guerra Mondiale. Per questo Pili richiama il simbolo dell’Associazione “Un ponte tra Sardegna e Veneto”, il ponte che unisce e che fa da passerella tra la generazione dei nostri Babbos Mannos della prima guerra con la nostra, con l’obiettivo di far valere le esigenze del nostro popolo. Non dimenticare significa che quel valore militare che hanno mostrato i giovani Sassarini immolando la loro vita deve essere rivissuto nel nostro impegno civile quotidiano, per ridare un significato alla nostra storia e al nostro percorso.
Le emozioni si susseguono: la deposizione della corona, Pasquale Puggioni del Circolo di Verona che recita la Preghiera dei Caduti, io che leggo Sa Pregadoria de su Tattarinu, tradotta dall’italiano dal 1° Maresciallo Luogotenente Sebastiano Soggiu del 3° Bersaglieri di Teulada. E non finisce così, perché l’altalena dei sentimenti e i nodi alla gola si alternano dopo il pranzo alla Malga Zebio. Il Col. Lorenzo Cadeddu, presidente del Centro Studi sulla Grande Guerra di Vittori Veneto, si commuove a raccontare le vicende di ufficiali e soldati della “Sassari”: dagli episodi riportati da Lussu nel suo racconto, come quello della famigerata “feritoia 14”, davanti alla quale era appostato un cecchino nemico che non sbagliava un colpo, alla descrizione delle battaglie e degli episodi accaduti sull’altipiano, fino al resoconto del processo al Capitano Pasquale Fior per i fatti di Monte Zebio. Ricorda gli uomini, il Colonnello: padri e figli sepolti insieme, caduti sardi, ma anche continentali passati nel dimenticatoio e di cui lui, nel suo censimento dei caduti della Brigata, sta recuperando la memoria. Infine, a Pasquale Puggioni, cartografo dell’esercito in congedo ed esperto del Monte Zebio, il compito di sollecitare la nostra riflessione sul fatto che in questa nostra giornata abbiamo calpestato un terreno bagnato di sangue, illustrando le motivazioni che hanno portato alle decorazioni al valor militare dei Sassarini il cui sangue è stato sparso qui.
C’è ancora il tempo per una riflessione conclusiva. L’On. Pili legge dal libro di Fiori un episodio riportato da Camillo Bellieni che incontrò il Capitano Lussu su queste montagne: l’Armungese proprio qui affermò la sua determinazione con un forte “Signor no!” opponendosi all’ordine di decimazione impostogli dal suo comandante. “Vi sono momenti solenni in cui l’eroe del pronto adempimento deve saper diventare l’eroe del rifiuto”: ci saranno dei momenti in cui anche i Sardi, per difendere il diritto ad esistere loro e della loro terra, dovranno imparare a dire di no.
Complimenti Adelasia: Bello, vero ed intenso il tuo articolo. Bravissima!