L'UMANO LINGUAGGIO DEL DISTACCO: TEMPO D'ESTATE, TEMPO TRISTE DI ABBANDONO DEGLI ANIMALI DOMESTICI


di Valentina Usala

Il vento fresco degli umani regala una piacevole pennichella, conciliata dalla corsa dell’auto e dalle voci dei sapiens che confabulano tra loro concitatamente. Socchiudo ancora gli occhi, sistemando l’orecchio rimasto tra la zampa e la testa. Forse siamo arrivati, però: la cuccia con le ruote si è fermata. Aprono lo sportello ed io mi faccio trovare pronto come sempre: testa alta, scodinzolo, così capiscono che sono felice, li guardo negli occhi e il mio amico afferra il collare per aiutarmi a scendere. Ehi, ma che modi sono? Perché tutta questa violenza? Nessun guinzaglio. Accelerano. Dove andate? Parcheggiate? Aspetto qui? Si sono allontanati troppo, forse è meglio che li segua: ma dove sono finiti? Non li vedo più. Li chiamo, così mi sentiranno. Piango. Torneranno indietro? Inizio a camminare da qualche parte arriverò. È ormai buio e si vede nessuno. Quante auto! Ecco sì, mi stanno aspettando. Che stupido che sono, saranno anche preoccupati nel non vedermi arrivare. Fiuto per sentire l’odore di casa. Quante luci! E cosa sarà mai quell’aggeggio immenso. Mi avvicino ad esso e per poco non precipito in acqua. Sento fischiare, mi dirigo subito verso quel signore, perché mi sa che sta cercando me. Devo stare attento, qui le cucce iniziano a muoversi e ad entrare su questo coso che fuma dall’alto. Entro anch’io, troverò quel che cerco con calma. C’è un caldo infernale. Sono stanco, ho fame, sete e ancora solo. Riposo un pochino nascosto, dopo proseguirò la ricerca. Le luci del mattino mi svegliano. Non ci sono più molte auto. Scendo anche io. Una ventata d’aria fresca: tanti colori, odori che non conosco, ancora acqua attorno. Sono stremato, ma cammino ancora. Sono solo e senza meta. Che ne sarà di me? Monti a macchie. Sì, mi ci addentro a coda bassa, amareggiato. Ho capito. Non conosco il vostro linguaggio cari umani, ma so che quel che avete fatto si chiama abbandono.

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