di Gian Piero Pinna
Mauro Perra, lo si può definire un archeologo di lungo corso, con la sua più che trentennale carriera. I suoi impegni e gli incarichi sono molteplici, tra l’altro è anche Direttore del Museo di Gennamaria di Villanovaforru e curatore del Museo di Orroli. Recentemente a predisposto la parte scientifica di un progetto che tende a valorizzare la cucina nuragica, tra le diverse strutture ricettive che fanno parte del Consorzio turistico dei laghi che operano nel Sarcidano. Lo abbiamo intervistato nel Villaggio Turistico Antichi Ovili di Orroli, diretto da Salvatore Sulis, nel corso di un pranzo degustazione della cucina nuragica, magistralmente realizzato dallo Chef Cosimo Mocci, che prevedeva: Incaungiu de landura, costas, casu de brebei, casu de craba,casu axedu, callau axedu; accompagnati da diversi tipi di pane: civraxiu, civraxeddu e pianadas de si forru “Chentos”. Quindi, la prima madata, con: sitzigorrus, mongittas e sitigorrus de Santu Juanni a schiscionera; su trigu cottu; succu de faa cun pani untu; ambulau; minestra burda cun babborreddas de simbula niedda e casu axedu; piseddu cun croxiolu de procu. Per la seconda mandata, sono stati portati in tavola: petz’e atzixorgiu cottu “a carraxiu”; bobbois de sirboni; crebu imbinau; proceddu “in sanguni” a su schidoni. Il tutto accompagnato da: corumeddu de lattia; Callu de crabittu; casu marzu. Da bere un delizioso vino rosso di produzione locale, fichi e meloni come frutta e come dessert: arrescottu cun saba e meli.
Professor Perra, come si alimentavano questi nuragici?
Finalmente abbiamo le prove dell’esistenza di una gastronomia nuragica. Non abbiamo le ricette, perché la civiltà nuragica non ci ha lasciato nulla di scritto, però, grazie a degli scavi sempre più attenti, che sono stati condotti dagli anni Ottanta in poi, abbiamo rinvenuto dei resti di pasto, come per esempio, scarti vegetali carbonizzati delle loro coltivazioni. Per questo, sappiamo che l’economia e l’alimentazione nuragica, si basavano principalmente sulla coltivazione dei cereali, grano tenero, grano duro e orzo, in modo particolare, e dei legumi come il favino, le lenticchie, i piselli, ma si basavano anche sull’allevamento degli animali: bovini, suini e ovi – caprini, che è la triade mediterranea tipica di questo tipo di pastorizia.
Per quanto riguarda l’alimentazione di quel tempo, cosa ci può dire dei ritrovamenti fatti nel villaggio nuragico di Sa Osa?
Quelle scoperte, hanno rappresentato delle testimonianze eccezionali, perché sono state rinvenute dentro dei pozzi che contenevano ancora dell’acqua, quindi, in un ambiente privo di ossigeno, per cui non si sono formati quei microorganismi, che causano la consunzione dei resti archeologici. In modo particolare, si sono conservati perfettamente dei semi di vitis vinifera, del XIII Secolo a. C., che i primi studi, dicono si trattasse di uve bianche, ma addirittura, dentro un pozzo è stato trovato lo scheletro in connessione di un cervo intero.
Che livello di raffinatezza avevano raggiunto nel manipolare gli alimenti?
Quello che già sappiamo, è che sono stati rinvenuti semi di uva coltivata, insieme a semi di fichi e a semi di pistaccia lentiscus, cioè, bacche di lentisco. Ovviamente, si va per ipotesi, che vanno suffragate da analisi scientifiche ad altissimo livello e costosissime. Però, si può tranquillamente enunciare che i fichi, come si usava ancora sino a trenta, quarantenni fa, venissero aggiunti al mosto, per aumentare il grado zuccherino e, quindi, il grado alcolico. Per quanto riguarda le bacche di lentisco, si pensa che avessero una funzione anti batterica, cioè, servivano per impedire la trasformazione del vino in aceto, combattendo l’aceto bacter.
Quindi avevano raggiunto un livello di conoscenze notevole?
Questo sistema, si conosce nei monti del Caucaso, già dal VI Millennio a. C. Noi dobbiamo fare delle analisi più raffinate, con degli scavi mirati al pre – nuragico, cioè al Neolitico finale, che ha una cinta ricchissima che non ha pari in tutto il Mediterraneo occidentale, periodo nella quale, probabilmente, è iniziata la coltivazione della vite e dell’olivo. I nuragici, non hanno fatto altro che mantenere salda una tradizione che risale a millenni prima di loro.
Cos’altro mangiavano i nuragici?
Negli scavi più recenti, stanno venendo alla luce semini carbonizzati di melone, o di cetriolo, che testimoniano un’antichissima orticoltura, forse la più antica d’Europa. I nuragici, avevano contatti con tanti popoli, con Creta, con Cipro, con la penisola greca, successivamente, con tutta l’area atlantica e mediterranea della penisola iberica, con scambi reciproci di oggetti e merci, insomma, al contrario di quello che credono in molti, erano tutt’altro che cavernicoli.