UNA MALATTIA CHE TI CONSUMA LENTAMENTE: AMMALARSI DI TIROIDE E SCOPRIRLO PER CASO

nella foto l'autrice dell'articolo che prossimamente sarà intervistata per la presentazione del suo libro


di Claudia Sarritzu *

Mi sono ammalata di tiroide e l’ho saputo per caso. Avevo contattato un endocrinologo per motivi diversi da questo, ma dopo aver fatto l’ecografia ho scoperto di avere un nodulo -che per fortuna si è rivelato benigno, dopo essermi sottoposta all’ago aspirato- e un ipertiroidismo subclinico. Se ve lo racconto qui è perché il 50% della popolazione sarda ne soffre ma nessuno ne parla davvero. Stare male è sempre motivo di vergogna in una società dove il modello è quello della giovinezza e della felicità a tutti i costi. Anzi, diciamo che tanti non si sottopongono neppure ai controlli perché non lo vogliono sapere. Dopo tutto la tiroide non ti uccide subito ma ti consuma lentamente. Diciamo che uccide la tua vita quotidiana, i tuoi sogni e i tuoi affetti senza ammazzarti. Poi un giorno il tuo cuore, che diventa tachicardico da un momento all’altro, fa suonare i tre fischi finali, ti scoppia nel petto, e allora, ormai arresa in un pronto soccorso, sei costretta a iniziare a curarti, anche se avresti preferito continuare a fare finta di nulla, così per anni. Solo a dicembre 2011 la Regione Sardegna ha iniziato una campagna di prevenzione nelle scuole. Ci ammaliamo più degli altri nel mondo perché il nostro sale non è iodato e questa carenza metabolica assieme al fatto che da secoli ci riproduciamo solo fra di noi, fanno sì che una donna su due sia ipertiroidea o ipotiroidea. La campagna prevede la somministrazione di sale iodato nelle mense scolastiche come prescritto dall’organizzazione mondiale della sanità e visite che prevengano le gravi conseguenze che un mal funzionamento della ghiandola comporta. Il rapporto ammalati uomo- donna è di 15 a 1 per le donne. Ma nessuno sa il perché. Anche la tiroide è maschilista. È difficile diagnosticarsi da soli la malattia. La tiroide è l’organo dell’equilibrio e se questo viene meno la prima cosa che pensiamo è: sono depressa. Sono due anni che piango. Ve lo dico senza alcuna vergogna. Ve lo dico perché qualcuno dovrà pure scriverlo e urlarlo finalmente. Due anni in cui credo di essere in fin di vita, in pericolo, due anni in cui a governare la mia vita è l’ansia. Giornate in cui pensi di essere fortissimo e iperattivo, giornate in cui non riesci a trascinarti per strada e il mondo circostante diventa in bianco e nero, ostile e odiato. Così l’unica cosa che ti resta per continuare a fare una vita normale è fingere, con tutti e tutto, che vada bene. Ti stampi un bel sorriso disegnato in faccia e ti trascini lungo la strada della tua esistenza. Fingere di essere in forma, fingere di essere felici. Lo fai, perché ammettere di essere malato, è più duro di iniziare a curarti e anche perché negli ospedali è assente totalmente il supporto psicologico affiancato a quello endocrinologico nonostante il nostro umore sia regolato quasi del tutto dagli ormoni tiroidei. A febbraio dell’anno scorso mi sono sottoposta alla iodio terapia, ho ingoiato un pasticcone di iodio 131 e per alcuni giorni sono rimasta in isolamento essendo radioattiva. L’ho fatto per distruggere e annientare la funzione della mia tiroide. Avevo un gruppetto di cellule che lavoravano più delle altre. L’ho fatto, non per complicarmi la vita, ma perché negli anni questo valore mi avrebbe scassato il cuore, le ossa e distrutto la vita in società, vista la depressione e l’irritabilità che provoca. A questa Regione mancano tante cose per renderla il paradiso che De Andrè tanto echeggiava. Per esempio una lotta serrata a tutte le malattie genetiche che l’isolamento ci condanna a vivere. Una più efficace sensibilizzazione fra i giovani e un accompagnamento psicologico sarebbero un reale e concreto aiuto. La medicina è essenzialmente trattata a compartimenti stagni, eppure il nostro corpo è un intreccio di vasi comunicanti e ogni patologia ne porta e comporta altre che vanno affrontate combattendo la causa originaria. Dovremmo preoccuparci di questo e investire sulla ricerca medica e sulla prevenzione di tutte le malattie che affliggono la Sardegna, senza aver paura di parlarne anche personalmente e di denunciare quali sono le reali carenze del nostro sistema sanitario. Altro che parcheggi del Brotzu. Le emergenza sono altre.

* cagliari.globalist.it

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