di Sergio Portas
Un giorno debbo proprio trovare il coraggio di invitare Paolo Fresu e sua moglie Sonia a visitare il reparto di neuropsichiatria infantile del “Besta” dove il giovedì mattino vado a “far giocare” i bimbi ricoverati ( vedi all’associazione ABIO) , portandosi dietro i loro strumenti naturalmente, la tromba e il violino. Niente che non facciano già a Bologna col progetto “Nidi di note” (www.nidinote.it), e che siano ambedue particolarmente sensibili ai diritti dei più piccini ( anche quello di avvicinarsi alla musica “seria” in tenera età) lo so perché ho conosciuto Andrea. Che da cinque anni è loro figlio. Per darvi un’idea: oggi qui all’università “Bocconi” di Milano conferiscono una laurea magistrale “honoris causa” a Paolo Fresu, in Psicologia dei processi sociali, decisionali e dei comportamenti economici. Lo addottorano quindi non già in grazia dei suoi oltre trecentocinquanta dischi registrati (di cui oltre ottanta a proprio nome) , dei premi che ha mietuto in mezzo mondo, della sua attività artistica e di docente della musica, dei numerosi progetti multimediali che ha coordinato con attori, scrittori, le sue musiche per film e balletti, per gli oltre duecento concerti che ogni anno va facendo in ogni parte del globo, no la motivazione è che”… ha dedicato la sua arte alla promozione della cultura nelle comunità e nei gruppi della sua terra, attivando le relazioni sociali che si pongono a fondamento della convivenza; ha così favorito il benessere di tali collettività, benessere che dipende da fattori psicosociali e non solo da fattori economici”, parole di Marcello Fontanesi rettore, ontologicamente magnifico. Naturalmente il contesto è assolutamente fantastico: aula magna affollata di pubblico e autorità, tanti i sardi di Milano e di Berchidda ( anche un paio di sindaci), i sedici direttori dei dipartimenti dell’Ateneo in toga e tocco nero, il magnifico di prima cinto d’ermellino, gli altri con stole verdi e gialle e rosse. Paolo anche lui con toga e tocco neri, un colletto bianco tutto plissettato, il solito orecchino dorato che gli spunta dall’orecchia sinistra. Sonia in prima fila vicino a Caterina Caselli e Ornella Vanoni. Andrea Fresu, al solito, è affidato al vigile sguardo amicale di parenti, amici, conoscenti, giornalisti, come fosse in una botte di ferro, infatti si aggira, lieve e agile com’è, tra le poltrone dell’emiciclo, sorridente e fiero dei suoi aeroplanini di carta con cui l’ho visto giocare le ultime volte che sono andato a una manifestazione in cui suo babbo era protagonista. Naturalmente qui vanno avanti a dire cose assolutamente ricche di senso e di saperi, persino Francesco paolo Colucci (docente di Psicologia Sociale) dice che il conferimento di questa laurea a un musicista jazz che si occupa anche di musica folklorica potrebbe apparire una bizzarria, ma solo a chi non conosca la disciplina e la sua storia. Infatti importanti radici della psicologia sono intrecciate con la musica e, ancor più, con la musica folklorica. E quindi cita autori quali Wundt e Stumpf, che non ho mai sentito nominare ma anche quello che chiama “conterraneo di Paolo Fresu” che, a proposito del problema del senso comune scriveva: “Non deve essere concepito come una bizzarria, una stranezza o un elemento pittoresco, ma come una cosa che è molto seria e da prendersi sul serio” (Gramsci, Quaderni dal carcere, Torino, Einaudi, 1975). E la cultura popolare e più generalmente il sentire comune ( “su connottu” diremmo noi) cambiano ed evolvono se si crea un rapporto paritario tra élites, tra esperti e la gente cosiddetta normale. E come dice bene Eraldo Paulesu, ordinario di Psicologia Fisiologica a cui è stato dato il compito della “laudatio”, una sorta di peana del laureando giustificativo per tanto onore che gli viene conferito: “La gente comune di un paesino ad economia agro-pastorale del nord Sardegna, può essere talmente oppressa dalla tranquillità assoluta che gli viene dal suo isolamento, quindi più subita che scelta, che questa può benissimo mutarsi in tedio ( lo dice per averlo visto, anche se nato a Como ha un cognome che lo abilita) che può uccidere, e portarsi a perdere tra lavoro in campagna e frequentazione di quelli che in logudorese si chiamano “sos zilleris” , dei “wine bar” gli chiameremo oggi”. Poi dice di Paolo nella banda di Berchidda a undici anni, la sua carriera, la sua ostinazione nel seguire l’intuizione di un destino, i suoi cinquanta concerti, tutti diversi, con 250 artisti coinvolti, per i paesi di Sardegna in occasione del suo cinquantesimo compleanno. Da Castelsardo a Barumini, dal Tempio di Antas a Fluminimaggiore, dalla Peschiera di San Teodoro alla miniera di Montevecchio. Molte cose le prende da “Musica dentro”, di Paolo Fresu, edito da Feltrinelli. Nel mentre si parla in maniera così aulica del padre suo, Andrea se ne è venuto su da me, in ultima fila, vicino alla telecamera della TV, le mani piene di aeroplani cartacei vagamente sagomati, quelli semplici fatti da lui, che subito mi fa vedere come si fa a farne uno con la “coda corta” e uno con la “coda lunga”. Il foglio di carta utilizzato è di quelli che riserva le sedie alla stampa, splendido per consistenza e levigatezza, rettangolare quanto basta: se volete il velivolo lungo tocca fare la prima piega per il lato lungo! Poi torna giù dai parenti di suo padre e ne porta altri: “saranno trecento” mi dice orgoglioso, e pronuncia quel numero fantasticamente grande aumentandolo vieppiù, trecentoooo! “Li lanciamo tutti?” Paolo leggendo la sua “Tesi di Laurea” inizia a parlare proprio di lui, Andrea, quando al mattino prima di accompagnarlo a scuola gli indica sul mappamondo luminoso, con il dito, il prossimo viaggio che farà. Questa tesi è talmente ricca di poesia che andrebbe tutta riportata; ne farò un copia-incolla di cui mi scuso preventivamente ma anche il mio spazio è un rettangolo dai lati determinati. Titola: “Limpossibile è possibile”, una piccola idea che si sviluppa in modo concentrico per diventare grande, concentricamente come fosse un sasso gettato in uno stagno, coi cerchi che si propagano toccando e interessando ciò che vi è intorno. La Sardegna è il sasso, il mare che la circonda è lo stagno. Quel Mediterraneo che “ è un cuore che pulsa e alimenta gli organi che sono i Paesi che vi si affacciano”. “Cerchi di sardità, “quel qualcosa di indecifrabile che, quando sono a Pechino, a New York o a Delhi, fa sì che alla fine del concerto ci sia sempre un corregionale che arriva per dire ”anche io sono sardo”. Di Maracalagonis, Bitti, Santu Lussurgiu o Cagliari”. Nascere in un’isola e crescere in quell’altra “isola nell’isola” che è Berchidda è fondamentale. Come Tucconi, la campagna dove ho trascorso buona parte della gioventù tra belati delle pecore e il soffio del maestrale che piega le querce. Tra la scoperta e l’apprendimento della lingua madre che ha un suono tutto suo, metafora del dentro e del fuori, scuro e delicato, comunitario e condiviso, il sardo del Logudoro rappresenta la mia infanzia fra la campagna e il paese, tra i sapori, gli odori e i colori della terra prima che del paese e della comunità. La “limba” universo senza tempo, anche se siamo abituati a pensare al piccolo come locale e al grande come globale, quando anche nel microcosmo delle cose esiste una globalità che è solo da vedere e da sentire. Come piacerebbe ad Andrea, che sa limba la apprende non da me ma dalla nonna che parla in sardo anche con chi non la capisce e che è affascinato da tutti gli strumenti di comunicazione “. E continua Paolo a raccontare la storia incredibile di “Time in Jazz”, i venticinque anni di un festival che “produce cultura che non significa solo generare economia, ma promuovere l’uomo, prima ancora di ciò che lui produce”. Nasce nel 1988 come festival Jazz a Berchidda, da un piccolo gruppo di persone che ancora oggi credono nell’impossibile che diventa possib
ile. Non più solo Jazz ma anche Danza, Balletto, Teatro, Cinema, Pittura, Scultura, Fotografia. Fresu ha concluso la sua “lectio” con la performance musicale “A solo”, concerto per tromba, flicorno, e multi effetti. Alla fine l’ultima nota sembra non volersi interrompere mai. Una voce registrata, fuori campo, dice delle crudeltà che, a volte, i sardi sanno farsi l’un l’altro.“E’ un fantasma!” mi fa Andrea. Non ho cuore di dirgli che ho riconosciuto la voce di Lella Costa, una fantasma gli ribatto. Ce ne sono fantasme femmine? Ce ne sono, mi risponde sicuro. E gli brillano gli occhi per lo scherzo.