La terra dove Venerdì si dice “Chenapura”, la terra dove tutte le feste si dicono “Pasca”, la terra che da sempre ha accolto gli Ebrei, già prima delle grandi cacciate dell’Imperatore Tiberio e di Isabella di Castiglia, incontra la Terra dei suoi “Fratelli maggiori”, secondo la felice espressione del Servo di Dio papa Giovanni Paolo II, con la mostra “Viaggio in Sardegna”, che verrà inaugurata Lunedì 22 aprile 2013, ore 19.00, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Haifa, patrocinata dall’Ambasciata Italiana di Tel Aviv; la Camera di Commercio e Industria Israel-Italia; la Camera di Commercio di Cagliari, Centro Servizi per le Imprese; La Camera di Commercio di Oristano; l’A.S.P.E.N., Azienda Speciale della Camenra di Commercio Industria Agricoltura Artigianato di Nuoro. In Sardegna bastano quattrocento cognomi di origine biblica (1/5 dei cognomi sardi) a confermare una presenza iniziata almeno ai tempi di Salomone, allorchè gli Ebrei di Dan e del regno secessionista d’Israele viaggiarono nel Mediterraneo assieme ai Fenici, arrivando in Sardegna. Successiva è la deportazione da Roma di 4000 Ebrei fatto da Tiberius nel 19 e.v. Con l’avvio del Cristianesimo (VI sec. e.v.) gli Ebrei dell’Isola, perseguitati come cristofoni, furono lentamente annientati. Oggi ne rinveniamo le tracce nei cognomi, in alcuni toponimi, in vari nomi comuni, in parecchi termini infamanti, in qualche reperto archeologico, in nove nomi di pani o dolci. I pani sardi conservano nomi arcaici, legati ai momenti sociali e religiosi che ne determinarono la confezione. Ma la cantonalizzazione dell’isola creata per tutto il Medioevo e nell’Età moderna ha portato scompiglio semantico: tanti pani uguali con nomi diversi, tanti pani diversi con nomi uguali. Sui 300 nomi antichi, prevale comunque il nome còcco, coccòi, cocòne, dato a qualche pane comune, specialmente alle paste-dure, nonché agli elaboratissimi pani della festa. Molle se d’uso paesano, croccante se consumato nella transumanza delle greggi (fressa, pani carasátu), al pane si porta un rispetto sacrale, legato ai tempi arcaici in cui il miracolo d’un seme che germoglia, che vive e lievita persino se ridotto a farina, manifestava la presenza di un Dio misericordioso, un Dio che governa la Natura e le sorti dell’Umanità. Il pane in Sardegna viene portato in processione al posto dell’immagine di Dio. Il Pani de is Bagadíus è messo in croce come Cristo, e come Adonis morto è portato in giro a implorare la rinascita della natura dopo l’estate. La Sardegna è piena di pani sacrificali che sostituirono gli arcaici sacrifici cruenti, di pani che festeggiano il capodanno solare ed equinoziale, di pani che punteggiano i riti muliebri della produttività, pani formanti corone, ghirlande, diademi, che ancora s’impongono sul capo della sposa, che s’appendono al collo del suonatore di launeddas, che replicano fideisticamente la collana floreale delle antiche prostitute sacre, che sacralizzano la morte, la ricorrenza dei defunti, che servirono agli incantesimi d’amore e ai riti apotropaici. Infine abbiamo i pani della Pesah ed i Pani Giudaici.
LA MOSTRA FOTOGRAFICA "VIAGGIO IN SARDEGNA" DAL 22 APRILE AD HAIFA IN ISRAELE
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