ZONA FRANCA E DINTORNI: I CONTORNI DELLA FARSA CHE HA PENALIZZATO ANCORA UNA VOLTA DI PIU' LA SARDEGNA


di Omar Onnis

La questione della Zona franca in Sardegna ha ormai assunto i contorni di una farsa, per altro mal congegnata. Anziché acquisire informazioni, metterle insieme coerentemente, trarne indicazioni pragmatiche e pianificare un percorso politico-istituzionale sensato, i protagonisti di questa sceneggiata hanno molto più banalmente assunto ognuno un ruolo e lo stanno recitando da mesi, secondo i canoni della società dello spettacolo, con poco o nullo costrutto concreto. Chi si premura di fare qualche obiezione di semplice buon senso o di puntualizzare qualche aspetto viene immediatamente aggredito come nemico della causa. Fa specie che a cavalcare l’ondata demagogica dei zonafranchisti sia il presidente della regione in persona. Fa specie, ma non sorprende, data la notoria pochezza politica e al contempo la disinvoltura comunicativa del personaggio. Quel che si può dire di certo sulla questione Zona franca sono alcune cose, non molte, ma chiare. Intanto che di zona franca non ce n’è una sola, ma almeno tre tipologie: punti franchi con esenzioni doganali, aree a fiscalità di vantaggio, zone franche propriamente dette (ometto di usare una terminologia troppo tecnica). I punti franchi doganali interessano soprattutto le aree portuali e a oggi l’unico porto sardo che abbia avviato qualche pratica per l’attuazione di questa misura è quello di Cagliari, salvo essersi arenato su questioni giuridiche legate alla perimetrazione dell’area (beghe di confine con alcune proprietà contigue, sembrerebbe). Questo tipo di zona franca consiste in una forma di esenzione da alcune imposte, a vantaggio soprattutto del traffico “estero su estero”, dunque con ricadute sul nostro territorio parziali e indirette. Niente che non si possa fare, comunque, se solo ci si mette con un minimo di serietà. La seconda tipologia è quella che si sta proponendo per il Sulcis: ha il carattere della contingenza e della temporaneità, dev’essere geograficamente circoscritta ed è volta a sostenere territori (in specie, aree urbane) in condizioni estremamente critiche. La titolarità di questa misura è in capo allo stato centrale, dato che il regime fiscale generale è comunque di sua pertinenza. Quella cui puntano tutti però è la zona franca di terzo tipo, ossia integrale ed estesa all’intero territorio sardo: soluzione di difficile configurazione giuridica ed attuazione pratica, sia perché non esistono precedenti di sorta, sia perché comunque il soggetto che ha la potestà di stabilirne la realizzazione è sempre lo stato centrale. Da sottolineare che queste controindicazioni sono espressamente e vigorosamente negate dal comitato che sostiene la zona franca integrale. Secondo gli “esperti” del comitato la zona franca integrale non solo sarebbe perfettamente in consonanza con misure analoghe già attuate da qualche altra parte in Europa (si citano spesso, un po’ incoerentemente, l’Irlanda, le Azzorre, le Canarie, la Valle d’Aosta o Livigno), ma sarebbe anche immediatamente applicabile dietro semplice impulso della Regione autonoma Sardegna, senza passare dallo stato italiano. Le argomentazioni giuridiche a supporto di questa pretesa però sono alquanto labili, a dispetto dell’enfasi con cui sono proclamate e anche della veemenza con cui si rifiuta di considerare qualsiasi obiezione. La considerazione principale da fare al riguardo, tuttavia, è di carattere più generale e decisamente più politico. È una considerazione articolata su due piani. Il primo piano riguarda l’obiettivo della campagna pro zona franca. Si vorrebbe ottenere, per vie traverse, una sorta di potestà fiscale per la Sardegna, senza inserire la questione dentro un discorso più ampio (ed inevitabile), di carattere giuridico ed economico, comprensivo di tutti gli annessi e i connessi: questione energetica, questione trasporti, crisi dei vari settori produttivi, questione del credito, diritti sociali, scarso livello di formazione e di innovazione, ecc. Tutte questioni aperte di carattere strategico, che l’istituzione di una zona franca non risolverebbe, sicuramente non in termini strutturali e di lunga durata. Nonostante questa lacuna evidente, il contenuto politico della mobilitazione si presenta comunque in modo alquanto chiaro. Si parla addirittura di offrire alla Sardegna una sorta di indipendenza di fatto. L’obiezione a questo punto sorge spontanea: ma se l’obiettivo (implicito o esplicito che sia) è quello della sovranità, perché non dedicarsi a una prospettiva più ampia e organica che abbia tra i suoi elementi anche la questione fiscale? Perché non assumere come obiettivo centrale e generale direttamente la nostra autodeterminazione, in tutti i suoi risvolti e con la corretta configurazione giuridica e politica? Non ha molto senso accontentarci di un pallido succedaneo dell’indipendenza, magari ottenuto comunque tramite un conflitto con lo stato italiano, anziché lavorare esplicitamente e alla luce del sole per l’obiettivo principale. È un nonsenso, in definitiva. Da qui la freddezza e i dubbi di gran parte dell’ambito politico indipendentista ma anche – per ragioni diametralmente opposte – le titubanze e i timori dei partiti unionisti (dichiarati o no che siano). L’altro aspetto del discorso, legato a quanto precede, è il seguente. Ostinarsi a credere che esistano ricette magiche per risolvere la nostra crisi sistemica, concentrare ossessivamente forze e attenzioni su singole tematiche, per quanto importanti esse siano, è del tutto infruttuoso, anzi è dannoso. Senza assumere una prospettiva complessiva di autodeterminazione politica non ha senso insistere con discorsi settoriali, presi  uno per uno come gli unici risolutivi. Gli appassionati di questa o quella questione (trasporti, lingua, patrimonio storico-archeologico, zona franca, vertenza entrate, ecc.) sono tutti accomunati dalla convinzione che il tema di loro interesse sia il più importante, quello fondamentale. Ma è fin troppo evidente che ogni singola vertenza, ogni singolo tema, ha senso e forza solo se collegato con tutti gli altri e, tutti insieme, solo se ricompresi in una prospettiva strutturale e di ampio respiro, una prospettiva di emancipazione storica e di indipendenza politica. Il compito di fare sintesi e di promuovere obiettivi politici generali è il compito delle formazioni sociali intermedie, in particolare dei partiti politici. Dentro il sistema socio-economico e giuridico vigente questa è una constatazione di fatto da cui non si sfugge. Purtroppo troppo spesso i difensori di tutte queste nobili cause sono anche renitenti a considerare come propri interlocutori i partiti stessi, o indulgono in forme assortite di ostilità verso la politica in generale, vista come mera dimensione del potere, come occupazione delle istituzioni e dei ruoli decisionali, perpetuata a vantaggio di sé e delle proprie consorterie di appartenenza (la famosa “Casta”). Tra i fautori delle singole questioni sul tappeto da un lato si lamenta l’assenza della politica dalla tematica a cui ci si appassiona, dall’altro si rifuggono i partiti e le formazioni sociali organizzate come centri di interessi opachi e comunque ostili, anziché assumerli come strumento per far valere le proprie ragioni. È vero che la forma partito è oggi deteriorata da decenni di decadenza etica e politica. Ma, con troppa facilità, insieme ai protagonisti dall’ambito politico degli ultimi vent’anni si liquida la politica stessa. Si butta via il bambino con l’acqua sporca, insomma. Per giunta non si considera mai che in Sardegna esistono anche altre forze in campo, oltre ai
decotti e per loro natura deboli e inadeguati partiti di matrice italiana. In definitiva, si può anche continuare a discutere di zona franca, ma solo se si accetta di connettere il discorso a tutte le altre questioni in campo e se si ammette che si tratta semplicemente di una possibile soluzione tampone, da studiare ancora bene in tutti i suoi risvolti, mentre si lavora a obiettivi più ampi, di carattere strutturale e proiettati sul lungo periodo. Non ci serve affatto un ennesimo feticcio sventolato per dividerci e per darci modo di litigare inutilmente, mentre alla chetichella si cedono per qualche spicciolo zone turistiche e aree agricole di pregio al Qatar o ad altre potenze economico-finanziarie straniere, o si consente alla SARAS e ad altre aziende private di coltivare i propri interessi a danno delle nostre popolazioni e del nostro territorio. O acquisiamo uno sguardo d’insieme, nel nome di una nostra soggettività collettiva storicamente dispiegata, o tutto questo affanno non porterà che altra frustrazione e ulteriore disarticolazione sociale. Non è ciò di cui abbiamo bisogno.

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3 commenti

  1. Beniamino Ghiani

    Ne avevo il sentore

  2. Complimenti, ancora una volta con i tuoi articoli cerchi di togliere le fette di mortadella agli occhi di quei Sardi che ancora litigano per delle cavolate anzichè raggiungere degli obiettivi comuni. Complimenti.

  3. uniti si vince, unire gli obiettivi, fare sistema… in sardegna penso che ci siano 6 o 7 partiti simil-indipendentisti, e se non sbaglio di uno è presidente Onnis, staccatosi da Irs… basterebbe questa considerazione per far venire in mente che, chi predica bene spesso razzola male.
    ma andiamo per ordine:
    scrive Onnis: Quella cui puntano tutti però è la zona franca di terzo tipo, ossia integrale ed estesa all’intero territorio sardo: soluzione di difficile configurazione giuridica ed attuazione pratica, sia perché non esistono precedenti di sorta..
    LE ISOLE CANARIE, 2.600.000 ABITANTI (NOI 1.600.000), DIMMI DOVE è L’INCOERENZA NEL PARAGONE
    volevo contestare punto per punto quanto ha scritto "l’esperto" Onnis, ma non vorrei passare per "un movimentista veemente" come ha definito chi spera che questo diritto ci venga alla fine riconosciuto.
    in segno di amicizia, vorrei invitare il presidente Onnis e tutti i suoi elettori di Progetu Republica, a una cena distensiva.
    Mandero’ una fiat multipla a prendervi.

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