di Valentina Usala
“Odi et amo”. L’ossimoro: amare e odiare allo stesso tempo. Un sardo, un emigrato lo sanno bene. Il concetto è rinchiuso in un’elica. Sia essa quella del motore di una nave o di un organismo. Due macchinari geniali, ma se l’elica di ciascuno dei due impazzisce, il caos è assicurato. Parlando in maniera drastica: con l’una si affonda in mare, con l’altra nella rabbia. L’elica dei sardi è quella che perde funzionalità con una casistica regionale più frequente, su territorio nazionale. Sclerosi multipla: centocinquanta casi ogni centomila abitanti. Duemilacinquecento persone affette sul territorio sardo. Si è mai presi in considerazione quelli emigrati, che non vivono in Sardegna? Nulla cambia: predisposizione e assetto genetico e il sardo ne ha uno tutto suo. Così un’elica ti trascina lontano dalla tua terra e un’altra ti ci riporta in un attimo, solo a pensarci. «Quare id faciam, fortasse requiris». Odiare la propria terra diventa istintivo, se quanto riportano gli studi condotti dicono il vero. Amarla è naturale ed inutile chiedersi perché. I geni ti ricordano nel modo più assurdo, che sei sardo, ovunque ti trovi. «Nescio, sed fieri sentio et excrucior». Quest’ultimo vocabolo letteralmente significa “sono messo in croce”, indicando un’idea di dolore spasmodico al cuore, prima di tutto. Si parla di sentimenti, di oltraggio al proprio io. Due le domande di causa-effetto che scaturiscono: quando tornerò? Quando guarirò? È il silenzio. È un libro scritto a metà, le cui pagine intonse vanno colorate giorno per giorno. Ad ora, nessuna soluzione. I sardi continueranno ad emigrare, e i casi di sclerosi multipla ad aumentare. Troppe frasi subordinate, poca linearità. Tanto dolore: solo chi sa cosa significa, sta capendo le mie parole. Servono soluzioni concrete, ma nessuno scrittore è stato così bravo fino ad ora, nel mettere il punto. Quello finale.