LA RICERCA DELLE ORIGINI: "BERLIN-ISLAND" DEL "SARDISCHES KULTURZENTRUM" A CAGLIARI: INTERVISTA AD ALESSANDRO SAU


di Raffaella Enis

Può l’arte contemporanea aiutare a far luce sullo stato attuale dell’eredità culturale sarda? Da questo quesito nasce la mostra “Berlin-Island/ Empirical survey on a Heritage” che si terrà presso gli spazi del Centro Comunale d’Arte e Cultura Lazzaretto di Cagliari sino al 31 Marzo 2013. Il progetto del Circolo Sardo di Berlino/Sardisches Kulturzentrum Berlin, diretto da Alexandra Porcu, è stato ideato e coordinato da Giovanni Casu e curato da Giusy Sanna. La mostra presenta le opere e gli artisti che hanno partecipato agli esperimenti culturali degli anni precedenti: Genau! Sardinia 2010, Holiday Island 2011, Berlin-Island 2012. Gli artisti che partecipano al progetto sono: Irene Balia, Giovanni Casu, Roberto Fanari, Ambra Pittoni – Paul-Flavien Enriquez-Sarano, Carlo Spiga – Stella Veloce, E., Nuno Vicente, Ewa Surowiec, Bryn Chainey, Marisa Benjamim, Alessandro Sau, Cristina Meloni, Rugiada Cadoni from Y Liver, Igor Muroni. In occasione dell’opening del 1° Marzo abbiamo intervistato Alessandro Sau, che ha improntato la sua ricerca artistica come una presa di coscienza in relazione al concetto di immagine. Slegata dall’idea di un tempo storico, l’immagine viene analizzata e vissuta fuori dagli schemi tradizionali. Una concezione in cui l’immagine viene prima del tempo e lo contiene.

Cosa significa per te eredità culturale e fare parte di una determinata cultura? Berlin Island ha proprio lo scopo di investigare su questi temi, come ti poni tu e i tuoi lavori in relazione a queste tematiche? Il problema è che non credo che si possa sfuggire all’eredità culturale, anche se non volessi lavorerei su di essa. Il lavoro di un’artista avviene sempre all’interno di un’eredità culturale, che è sempre un frammento di un’eredità generale più ampia. Io credo che esista un’eredità che ha dei confini piuttosto variabili. Quello che crea un radicamento che può essere visualizzato in un segno distinto, non sta tanto nell’eredità passata, ma in ciò che poi produci a partire da essa. E come io la sviluppo da individuo può prendere direzioni diverse.

Ci sono nei tuoi lavori dei rimandi alla cultura sarda? Si, ci sono, ma non a quella più folcloristica. In me c’è la tradizione sarda, ma in un senso più sotterraneo. Buona parte del mio lavoro è quasi sempre una ricerca sull’origine. Il titolo del progetto che è stato esposto al Grimmuseum è appunto The Image as Origin. L’idea principale è stata quella di far coincidere l’immagine con la sua origine, quindi di un immagine senza storia. Un immagine senza storia è un immagine diciamo antropologica,che riguarda l’uomo. L’immagine è prima di tutto necessità di immagine per l’uomo, che senza immagine non avrebbe il tempo.Riguarda l’uomo in maniera stringente, per questo è antropologica, mentre la storia è qualcosa che si costruisce razionalmente sull’immagine ma che non appartiene all’immagine stessa.

Nei tuoi lavori vengono rappresentati immaginari provenienti dall’infanzia, si può trovare una corrispondenza tra la vita dell’opera e le tue esperienze vissute in un periodo particolare della tua vita? Quello che ho vissuto nel mio immaginifico di quando ero bambino lo voglio riproporre nell’arte. Credo che riscoprendo il tempo dell’infanzia ho riscoperto il tempo dell’immagine, perché quando sei bambino il tempo dell’immagine è un tempo infinito, quando invece diventi grande pensi al tempo dell’immagine come un tempo finito. Quando cresci infatti vivi percependo il tempo, e l’immagine diventa una proiezione di spazio e non di tempo, e così separi le due cose. Il tempo dell’immaginifico, come io l’ho percepito, è invece un’immagine che contiene il tempo. Non si vive il tempo, ma l’immagine. C’è l’immagine e tu stai lì dentro.

Nel tuo percorso formativo ci sono state delle tappe importanti che ti hanno influenzato come artista? Per quanto riguarda la formazione, seppure io abbia frequentato l’ accademia, posso dire di aver studiato principalmente da autodidatta. Devo ringraziare il fatto di essere sardo per essere così testardo. Se uno fa l’artista è perché ha qualcosa da affrontare. In realtà essere artisti è una presa di coscienza in rapporto all’immagine. Arrivare a Berlin-Island è stata un’esperienza importante, è stata la prima volta in cui ho avuto l’esigenza di spiegare il mio lavoro. L’idea di presentare bene il proprio lavoro, è qualcosa di estremamente moderno. Un buon lavoro artistico non si può spiegare, però per noi che viviamo in questo tempo dobbiamo per forza spiegarci. Con Berlin-Island, in un certo senso, ho trovato un modo di farlo. Ci sono certe persone che soffrono perché non vengono capite. E’ normale e capita spesso che esistano incomprensioni, soprattutto nell’arte. Se tutto fosse immediatamente comunicabile sarebbe facile. E’ proprio questa incomunicabilità che rende l’arte affascinante.

Come hai vissuto il rapporto con gli altri artisti internazionali nella residenza di Culturia? I rapporti con gli altri artisti per me sono sempre rapporti umani, quello che si impara è soprattutto a livello umano. Si impara la maniera di vivere. A livello artistico posso vedere un’opera e mi può piacere, ma non sono il tipo di persona che vede le cose e pensa a riprodurle.

Qual’è il tuo lavoro che più ti rappresenta e perché? Il lavoro che più ti rappresenta è sempre l’ultimo. The image as origin è il primo progetto in cui sono riuscito a esprimere questa idea di immagine che contiene il tempo. Il titolo rimanda all’idea che ogni immagine è un’origine. Biancaneve e i sette nani non sono un’immagine in relazione al tempo storico, non sono una deformazione del gusto. Nella mia interpretazione i nani stanno nel cimitero perché sono un’immagine di potenza, sono nani, ma sono anche angeli, santi, gnomi, creature silvestri. C’è una totalità nel loro essere frammento, potenzialmente questo nano è tutto. Bisognerebbe andare oltre l’idea dell’identità, nella mia concezione questo nano è un processo, un’immagine come potenza di immagini. Ho creato un video per esprimere questo processo, i miei nani sono un universo dell’immagine, non sono nani kitsch.

Il video “Relic” termina con la distruzione di Biancaneve, che cosa rappresenta? In sostanza quando ho fatto scoppiare Biancaneve ho cercato di superare la scissione tra gli opposti: bello e brutto, positivo e negativo. L’idea di far scoppiare e ricomporre qualcosa tramite l’azione delle api è stato il tentativo di prendere due polarità e metterle insieme. Non erano più delle sculture, ma delle reliquie. La reliquia di per sé è un resto di qualcosa che contiene una totalità rivolta al passato e al futuro. La reliquia mette insieme presenza e assenza. Ho utilizzato il video per rappresentare il processo, era l’unico modo per registrare un avvenimento.

Se potessi avere una tua collezione privata, quali opere sceglieresti? Un nuraghe, la deposizione di Jacopo Pontormo che si trova nella chiesa di Firenze Santa Felicita Cappella Barbadori-Capponi, un Picasso dell’ ultimo periodo, un’opera di un pittore medievale anonimo che rappresenta paradiso, purgatorio e inferno, un’opera di Mario Merz con gli animali e i neon, e infine il Torso del Belvedere.

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