di Nadia De Agostini
Mi chiamo Nadia De Agostini, ho appena compiuto 17 anni e frequento la 4° del Liceo Scientifico a Cinisello Balsamo (MI) dove vivo con la mia famiglia composta da mio padre, mia madre e mio fratello Riccardo di 11 anni. Sono nata in Lombardia, ma mi sento per metà sarda in quanto mia madre Congiu Giovanna Rosa è nata a Orgosolo (NU). Lei da giovanissima, nei primi anni 80, si è imbarcata per il continente e da allora vive e lavora come educatrice per il Comune di Milano. Ho tanti hobby e tante aspirazioni. Nel tempo libero studio chitarra e mi diletto a disegnare personaggi mitologici. Naturalmente la mia più grande aspirazione è conoscere meglio tutta la Sardegna e chissà, magari un giorno viverci. Tramite mia madre ho frequentato il circolo A.m.i.s. di Cinisello Balsamo.
Grazie a mia madre, sarda originaria di Orgosolo ed emigrata in continente a Milano, posso dire di aver avuto l’occasione fin da bambina di conoscere uno stralcio della vita “in bidda”, incontrato affascinanti ed intriganti personalità, compreso, per quanto mi è stato possibile, la loro mentalità, e ascoltato fantastiche storie, narrate come solo i sardi sanno fare. Con i suoi luoghi meravigliosi il paesaggio della Sardegna si presta perfettamente all’incantevole retaggio storico di cui è impregnata questa terra, una terra che trasuda di favole, magia, miti e leggende, a me raccontate proprio in quei posti più remoti, spesso conosciuti solo alle persone del posto. E sono proprio questi mitici racconti, narrati nelle sere d’estate sotto il cielo stellato, che mi hanno incantata, così da interessarmi a tal punto da andarne alla ricerca io stessa. Il primo posto fra i personaggi dei racconti legati al mito e alla magia medievali, ho voluto riservarlo alle Janas, perché quei piccoli buchi scavati nella roccia che sono ritenuti le loro case, mi hanno sempre affascinato fin dalla prima volta che, con un po’ di timore per l’oscuro cunicolo interno, m’infilai dentro. Per quanto mi hanno raccontato i miei parenti in Barbagia, le Janas sono piccole e graziose fatine vestite di rosso del mondo fantastico sardo. Le loro dimore, conosciute come “domus de janas”, sono in realtà strutture sepolcrali preistoriche scavate nella roccia delle alture presenti all’interno dell’isola. Infatti, mentre il termine tradotto in italiano è “case delle fate”, in sardo significava originariamente “abitazioni delle persone Janas”, gli indigeni che popolavano l’interno della Sardegna tra il Neolitico più recente e l’Età del Bronzo antico e che erano caratterizzati dalla bassa statura, la stessa che avrà dato sicuramente origine al mito di questi piccoli personaggi. Ancora oggi ho sentito dire ad una persona dal fisico particolarmente minuto: “Mi paret un omine janu!” Contrapposti a questi esseri minuti, ci sono i Gentiles, di statura gigantesca e forza sovrumana. Creduti i più antichi abitanti dell’isola, si presero cura della terra prima che arrivasse l’uomo e a loro si deve la costruzione dei monumenti funerari megalitici appartenenti all’età nuragica, più noti come “tombe dei giganti”. Ho avuto l’occasione di visitare anche quest’ultime accanto ai chimerici racconti di mia madre. Sempre secondo la leggenda, è dai Gentiles che l’uomo ha imparato a costruire le case di pietra, ossia i Nuraghi, la quale imponenza ha chiaramente ispirato il mito dei giganti. Un’altra fonte d’ispirazione tratta dal meraviglioso paesaggio della Barbagia, zona della Sardegna che conosco meglio perché lì affondano le mie radici, parte dalla Voragine del Golgo, inghiottitoio naturale che si apre all’improvviso sull’omonimo altopiano del Supramonte di Baunei. Qui viveva lo Scultone (o Iskultone) un grosso animale rettili forme in una versione sarda del Basilisco. Come quest’ultimo, lo Scultone uccideva con solo lo sguardo qualsiasi animale o uomo che si avventurasse nel suo territorio e terrorizzava così tutta la popolazione. L’unico che riuscì a fronteggiarlo fu San Pietro, che servendosi astutamente di uno specchio, riuscì ad afferrarlo per la coda e sbattendolo ripetutamente a terra creò la famosa fenditura, (la Voragine del Golgo). Sempre dalla Barbagia meridionale, in particolare da Seui, arriva invece il mito di su Pascifera, il pastore invisibile della selvaggina, che protegge i mufloni selvatici e cerca di prevenirne la cattura avvertendoli per tempo del pericolo (ci ricorda forse un po’ Diana, la dea greca protettrice degli animali selvatici e dei boschi). Una presenza misteriosa che sembra fare bene il suo dovere, dato che, a quanto mi ha raccontato mio zio con la passione della caccia, non è certo cosa facile scovare questo scaltro e rapido animale originario esclusivamente della Sardegna e della Corsica. Un’altra storia che sento piuttosto vicina è quella relativa al personaggio della Mama ‘e su sole, che quand’ero bambina mia madre dipingeva come una donna tanto bella quanto severa e terribile. Infatti, non aveva pietà sui bambini che d’estate, anziché fare il riposino pomeridiano, uscivano a giocare nelle ore più calde del primo pomeriggio: ella, se camminando per le strade deserte incontrava qualche bambino che aveva disubbidito ai genitori, lo rincorreva e toccandolo sulla fronte gli lasciava un segno che procurava una gran febbre per qualche giorno. Compresi solo in seguito che era un pretesto per non farmi uscire, e una giustificazione per spiegare il mal di testa e la febbre a causa di un’insolazione. Racconti simili sono quelli della Mama ‘e su frittu, la controparte invernale che gela i bambini che vanno in giro quando fa troppo freddo; della Mama ‘e su bentu che nelle ventose giornate di forte maestrale li trascina via e della Mama ‘e su fogu, quest’ultima creata per tenere lontani i bambini dal fuoco. Gli spauracchi come questi, nati per educare i bambini con un racconto fantastico, in Sardegna sono molto numerosi, si direbbe quasi uno per ogni occasione, ed appunto la tradizione popolare vuole che siano ancora oggi molto utilizzati nei riti e nel linguaggio quotidiani. Ad esempio quand’ero bambina, se uscivo da casa in disordine, mia madre commentava scherzando: “parese una Pettenedda!”. Maria Pettenedda, nei cui racconti spesso si riflette in una pozza cercando di pettinare i suoi folti e disordinati capelli, si è spesso fusa con la figura della guardiana del pozzo, chiamata a seconda dei luoghi in vari modi: Maria Abbranca, Mamma ‘e su putzu, ecc. ecc. Mi ricordo una volta che mia madre mi prese in braccio per permettermi di guardar dentro a un vecchio pozzo e mi invitò a gettarci qualche pietra per vederne il misterioso brillio, prova della sua presenza. Poi però mi aveva anche ammonito prudentemente a non provare a risalire sulla sponda senza la sua supervisione se non volevo essere abbrancata dai lunghi artigli della Pettenedda e trascinata giù per il cupo e profondo buco. Infatti Maria Pettenedda è un personaggio inventato per spiegare ai bambini il rumore dell’acqua che scorre in fondo al pozzo ma anche per tenerceli lontani. Non tutti i racconti erano però un’atavica forma pedagogica, alcuni erano più recenti e legati alle vicende paesane. Si parlava di avvistamenti misteriosi, di accabadore, di maghe e di potenti guaritrici, insomma, tutto ciò che poteva essere discusso e talvolta ampliato dall’immaginario comune. Per mia esperienza non posso dimenticare infatti i divertentissimi discorsi tra mia madre e mia zia che parlavano di una certa vecchia tzia Elisabetta, la quale ad Orgosolo abitava proprio vicino a casa della mia bisnonna. Mia zia che l’aveva conosciuta la descriveva come una tipetta bassa, grassottella e, forse per via della già veneranda età, anche un po’ suonata, ma ciò che più conta è che era considerata anche al di fuori del paese, la maga di Orgosolo. Parlava con gli spiriti, toglieva il malocchio, prevedeva il futuro, insomma tutte le pratiche che si addicono ad una maga tuttofare. Tanto questa sapeva farci, che riceveva anche la clientela che le procuravano zia Pasqualina e zia Rosa sue vicine di casa, (che risultano per me essere mia prozia e mia bisnonna) come una vera e propria agenzia completa di consulto e pernottamento. Queste spassose cronache che facevano parte de sos contos, il gossip di una volta, possono apparire insignificanti ma sono l’espressione delle vicissitudini storiche del paese, un piccolo frammento di quello che per me è la Sardegna. Quando sento mia madre parlare in limba sarda il suono delle sue parole mi riporta in una dimensione a me nota e famigliare. Nelle sue parole c’è la voglia di tramandare pensieri emozioni profumi e colori, che lei non vuole perdere, questo è il modo di essere di mia madre: ancorata sempre alla sua terra, ma protesa verso il resto del mondo. Il bagaglio
culturale che mia madre si è portata dietro e che successivamente ha trasmesso a me, fanno parte di secoli di storia sarda tramandata di generazione in generazione perché quando ritorna al luogo di nascita vedo mia madre come un pezzettino di puzzle che si riposiziona e s’incastra nel suo habitat naturale. La Sardegna è questo e altro.
Tua madre dev’essere una persona eccezionale che ha fatto dei figli eccezionali come te. Saluti dalla nostra Sardegna
CIAO , SONO ARGENTINA E SONO STATA IN SARDEGNA MOLTE VOLTE PERCHE MI AFFASCINA LA SUA STORIA, ED Y SUOI LUOGHI STORICI, HO TANTI AMICI SARDI CHE MI FANNO CONOSCERE QUESTA TERRA DI SOGNO, ED APPREZZO TANTO QUESTI TIPI DI ARTICOLI CHE MI FANNO APPROFFONDIRE LA CONOSCENZA DI QUESTA TERRA RICCA DI CULTURA. GRAZIE NADIA, CONTINUA A RACCONTARE QUESTE COSE INTERESSANTI CHE HA A CHE VEDERE ANCHE CON L’IDIOSINCRAZIA DEL ANTICO POPOLO SARDO.