La disoccupazione è all’ 11,2% secondo i dati Istat riferibili al dicembre 2012, e il dato allarmante è che il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni si attesta al 36,4%. Quasi quattro italiani su dieci, cioè, non hanno lavoro e non lo cercano. Ma anche se lo cercassero, dovrebbero stare attenti alla modalità: dal Rapporto Italia 2013 dell’Eurispes emerge infatti che il 21% degli italiani è infatti ricorso a una raccomandazione per trovare un lavoro. Il 27% di chi ha un’occupazione, invece, dichiara di averlo trovato tramite una candidatura spontanea e solo il 9,1% si è rivolto a un Centro per l’impiego (4%), o a un’Agenzia per il lavoro (5,1%). Nel deserto di opportunità che è oggi il mercato del lavoro, quindi, il posto fisso è assolutamente appetibile, più un sogno che una possibilità concreta. Mi stupiscono sempre quelli che si stupiscono, ovvero quelli che considerano un tremendo decadimento della nostra società così evoluta, così movimentata, così moderna il fatto che ancora oggi almeno 4 giovani su 10 desiderino la stabilità economica e il lavoro fisso. Non tutti, cioè, sembrano voler fare l’imprenditore di se stessi – orribile espressione che semplicemente rappresenta quello che fanno tutti quelli che cercano lavoro cercando di “vendersi” nella maniera migliore- o l’artista maledetto. Una delle possibilità è quella del concorso pubblico, con tutti i pericoli che comporta. Sarà anche vero che gli “inattivi” sono un problema grave, ma almeno non subiscono certi stress inutili. Come, inutili? “almeno hai visto come funziona”, “la prossima volta saprai di cosa si tratta”, “non ti sei piazzata così male”. Non sono d’accordo: è veramente improbabile che venga bandito un altro concorso come quello a cui ho partecipato nell’Ateneo di Cagliari. Il profilo richiesto- quello di un funzionario amministrativo – comunicazione e web – ha richiamato 220 candidati, fra i quali c’erano ingegneri, precari dei giornali, della pubblica amministrazione, fuffologi come me e anche qualcuno che un lavoro già ce l’ha ma magari si guarda intorno per cambiare.
Il bando di concorso recita testualmente:
Le prove scritta e teorico pratica (dunque anche la preselettiva, NDR), verteranno sui seguenti argomenti:
– promozione e cura dell’immagine dell’Ateneo e collaborazione alla diffusione dell’informazione anche
attraverso la gestione del sito web;
– divulgazione delle notizie su attività, progetti, servizi, obiettivi, risultati dell’Università di Cagliari tramite
-redazione dei comunicati stampa tramite web e prodotti editoriali;
– realizzazione di servizi sui principali eventi dell’Università, curando l’archivio digitale dell’Ateneo;
– gestione e aggiornamento delle pagine web del sito istituzionale e coordinamento, razionalizzazione e
integrazione delle pagine delle strutture periferiche.
Ora, se la mia amata lingua italiana non mi inganna, questi sono obiettivi da raggiungere, non materie su cui prepararsi. Cioè, la “gestione e aggiornamento delle pagine web del sito istituzionale e coordinamento, razionalizzazione e integrazione delle pagine delle strutture periferiche” può essere considerata un argomento di studio? O piuttosto uno dei compiti che il famoso funzionario dovrà svolgere? Prima dell’inizio della prova, gli organizzatori hanno raccomandato il solito silenzio, gli ovvi cellulari spenti, e l’altrettanto ovvio divieto di copiare dal vicino. Anche perché, sottolineano, “se voi passate il compito alla collega e poi lei va meglio di voi, magari poi lei passa e voi no, insomma non va bene…mors tua vita mea, non c’è bisogno che ve lo ricordi”. Infatti, ma che angoscia. Anche così, le 60 domande a risposta multipla in 60 minuti meritavano comunque la partecipazione. Perché se una arriva 44esima senza sapere assolutamente nulla degli argomenti, cosa sarebbe potuto succedere potendo studiare la normativa (l.150 del 2000, domande 24-35), il social media marketing (domande 1-14), ma anche le nozioni dell’ufficio stampa (domande 15-21) e perfino i metadati strutturali e le civic nets (36-44)? L’inutilità della partecipazione, e mi addolora dirlo, sta proprio nella certezza che prove bizzarre come questa non si ripeteranno, perché è difficile strutturare un concorso pubblico senza materie d’esame. Inutile, quindi, tenere a mente la straordinaria molteplicità degli argomenti. Cosa rimane? La consueta angoscia del cercatore di lavoro nell’incontrare gli altri cercatori, che sono quasi sempre gli stessi, e la sensazione che ogni volta l’orizzonte si restringa un pochino di più, sintetizzata da quel candidato che, avvicinatosi alla finestra in cui erano affissi i risultati della prova preselettiva, ha chiesto spavaldamente: “ah, quindi questi sono i perdenti”. Perché il lavoro è questo, oggi: la consapevolezza che si può vincere, o più spesso perdere.