di Giacomo Mameli *
Maria Lai ha chiuso l’anno con una mostra esclusiva a Miami, alla rassegna Pulse Projects organizzata da Adaa (Art Dealer’s Association of America) al Palazzo del ghiaccio (The Ice Palace Studios). Per l’infaticabile star delle artiste sarde (ha compiuto 93 anni lo scorso 27 settembre) è stato un altro trionfo, questa volta Oltreoceano, in previsione di altre rassegne già programmate negli Stati Uniti (prossima primavera) e in Europa (a metà estate). Cornell De Vitt, direttore di Pulse Contemporary Art Fair, (una delle istituzioni che negli Stati Uniti fanno cultura a 360 gradi, dal cinema al teatro, dalla danza alla scultura) ha inviato una lettera a Maria Lai nella residenza di Cardedu, dicendole di essere stato «incredibilmente orgoglioso» per averla potuta ospitare assieme agli «altri nostri espositori che la mia squadra è riuscita ad assemblare un team più grande e più bello che mai. Abbiamo un vastissimo assortimento di gallerie internazionali che ci hanno accompagnato fin dalla nostra prima fiera, gallerie nuove di zecca, giovani, all’avanguardia, ben radicate negli States con gallerie europee dello stesso calibro». Gallerie che hanno selezionato diversi creativi dei cinque Continenti. Per l’Italia la scelta è caduta sull’artista infaticabile che, negli anni Ottanta, aveva incantato i critici collegando le case di Ulassai alle montagne che le fanno da cornice. Le aveva unite con nastri celesti «trasformando – aveva scritto Gianni Murtas – una leggenda locale in un grande evento fantastico radicato nel presente», creando un filo comune fra lo splendore delle opere della natura e quelle dell’uomo. Maria Lai – che l’età e la salute tengono inattiva nella sua casa sul mare della costa orientale – ha inviato a Miami alcune opere di collezioni private selezionate dalla nipote Maria Sofia Pisu. Tra le altre spiccavano una geografia senza titolo, del 1987, ribattezzata dal gallerista americano “La Vela”, quasi un’opera immaginifica universale, senza tempo e senza spazio. Vi appare una vela bianca scritta come le geografie di un immenso mappamondo, inserita su un fondo di velluto nero con mappe stellari, galassie e pianeti, un iperuranio di infinito, e tante ulteriori scritture. Gli stessi segni che accompagnano le strade di Ulassai, paese come museo a cielo aperto. Sono i fili della vita, fili che si rincorrono, si cercano, si intrecciano e si svolgono, si dipanano, si spezzano e si riannodano nel grande telaio dell’universo dove la nostra piccola vita ha un senso e una direzione. Miami – in una stanza riservata all’artista sarda – ha proposto anche un libro ecru con scritture e fili color ruggine che fuoriescono come grovigli di parole. Questo capolavoro di Maria Lai ha per titolo “Le parole prigioniere”. Un’altra lettura del mondo contemporaneo, della necessità di dialogo, «della ricerca di parole che – aveva detto l’artista alcuni anni fa nel corso di un’altra mostra a Nuoro – riescano a imporsi sui grandi silenzi dell’umanità, sui bisogni sociali soffocati, pagine che sussurrano e aprono l’animo a realtà che ci sfuggono come gli infiniti drammi e le speranze che accompagnano le singole vicende umane. Leggiamo o immaginiamo parole imprigionate che vorrebbero uscire dalla cella lessicale, con messaggi e chiavi di lettura per comprendere il mistero della nostra esistenza». Nella mostra della città della Florida (chiusa la settimana di Natale con migliaia di visitatori), Maria Lai (presentata dalla critica Manuela Gandini) è stata tratteggiata come «una delle scultrici europee più significative del ventesimo secolo. Accompagnati dalla voce dell’artista sarda, “i quadri, i paesaggi scolpiti, i modelli in tessuto per sceneggiature e i disegni vengono svelati con fluidità e delicatezza grazie a un utilizzo creativo di musica ed immagini. Questa – si leggeva nel catalogo della rassegna – è una ricerca della vita e dell’evoluzione di una creatività sempre colma di idee, la cui modernità è tutt’oggi ancora incredibilmente vitale». Con le opere di Maria Lai anche il video “Ansia d’infinito” di Clarita di Giovanni che ha permesso ai visitatori americani di conoscere nel profondo l’artista di Ulassai. Alla rassegna Pulse Projects hanno partecipato tanti artisti di caratura internazionale. Tra loro Zackary Drucker’s con “At least you know you exist, 2011”, un breve film (16 minuti) presentato al MoMa Ps1 (New York). E poi le sculture cinetiche di Alan Rath (Absolutely, Positively, 2012), altre opere di Hosfelt Gallery (San Francisco/New York) e della Bryce Wolkowitz Gallery (New York). Nives Widauer ha esposto le sue sculture in bronzo dal titolo “Dialog with Analog – Settle (Sculpture), 2011” insieme a pezzi della Hilger modern/contemporary di Vienna. E ancora David Opdyke, Shantell Martin, Jenna Spevack con Seeding The City, 2012, Mixed Greens (New York), Kyle Trowbridge con Untitled Rant, 2012, la Dorsch Gallery (Miami), le installazioni in marmo Venske & Spänle e una rassegna di opere concesse dalla Jonathan LeVine Gallery (New York) e della Generic Art Solutions (Gas), presentata da Jonathan Ferrara Gallery (New Orleans). Altre gallerie stanno corteggiando Maria Lai. E nuove mostre porteranno ancora nel mondo, con l’arte, il nome della Sardegna.
* pubblicato su La Nuova Sardegna