SETTE PERCORSI ALLA SCOPERTA DEI VENTI CASTELLI DEL GIUDICATO DI TORRES: IL LIBRO DI MARIELLA CORTES E FRANCESCO LEDDA

Mariella Cortès, originaria di Desulo vive a Milano


di Sergio Portas

A leggere le cronache politiche di questo ultimo ventennio di berlusconesco stampo viene da pensare che, fosse ancora scrivente fra noi il padre Dante della Commedia, non avrebbe difficoltà ad affogare tra la pece di Malebolge una  vera e propria folla di “barattieri” italiani, intendendosi per baratteria: “ la colpa di coloro che, ricoprendo cariche pubbliche, concedevano dietro pagamento, o per ottenere altri vantaggi personali, uffici, privilegi, assoluzioni o condanne ecc.” (La Divina Commedia, ed. La Biblioteca di Repubblica l’Espresso, Inferno  pag. 511). Viene in mente quell’ex ministro a cui avevano comprato casa con vista in Colosseo a sua insaputa, o quell’altro condannato in via definitiva per aver pagato il giudice che doveva sentenziare sull’acquisto truffaldino della più importante casa editrice italiana, la Mondadori. Nel 1300 o giù di lì a Ciampolo il navarrese, arruncigliato da Graffiacane (un diavolaccio) nero di pece come fosse una lontra, il buon Virgilio, vagolando con Dante per l’Inferno, chiede con chi stesse parlando prima di venir così orribilmente pescato mercé la chioma ingarbugliata, e se vi fossero latini (leggi italiani) insieme a lui. Come noto questi gli risponde che ce ne erano due che :” Sardos… qui non latii (italiani) sunt” (D. Alighieri, De Vulgari Eloquentia) non sono italiani ma sono sardi, uno è quel frate Gomita che incautamente il signore di Gallura Nino Visconti lasciò governare a suo nome e, in grazia della sua carica, ne mandò liberi alcuni nemici prigionieri in cambio di denaro. Il Visconti, allora erano tempi che non esisteva  l’affido ai servizi sociali, lo fece impiccare. L’altro, tale Michele Zanche che ebbe parte nello scioglimento del matrimonio in seconde nozze di Adelasia, signora di Torres e del Logudoro, col figliastro di Federico secondo Hohenstaufen, Enzo, nominato dal babbo re di Sardegna ( il papa Gregorio IX scomunicò l’imperatore per questa nomina, che voleva essere lui a decidere dei re dell’isola). Anche questo non finì i suoi giorni in un letto  ma ucciso dal genero Branca Doria. Come per ogni sardo che si rispetti “ a dir di Sardigna le  lingue lor non si senton stanche” (Inferno, canto XXII). In questo periodo storico la nostra beneamata isola era immersa nel pieno del medioevo, le crociate si susseguivano l’una all’altra con gli armati cristiani che si spostavano pel Mediterraneo mercé le galere delle flotte pisane e genovesi e veneziane, facendo queste ricche città rette da oligarchie mercatorie ancora più ricche e quindi più politicamente potenti. Tale che Pisa, ad esempio, si oppose strenuamente a che Barisone di Lacon, giudice di Arborea, assumesse il titolo di re di Sardegna (pure lui!), anche se era appoggiato da Genova e da un altro imperatore Hohenstaufen, il Barbarossa che le prese a Legnano, tanto esecrato dai vari Bossi e Borghezio di padana memoria. L’”affaire” si concluse  in una farsa con la fuga di Barisone (Gino Benvenuti, Le Repubbliche marinare, ed. Newton comp. Pag.107). Tutte queste storie che sanno di meraviglia sono in Sardegna ancor oggi come pietrificate dai castelli medievali che punteggiano il suo territorio, ne fa fede il libro di Francesco Ledda e Mariella Cortés: “I Castelli del Giudicato di Torres”, ed. Taphros 2012, ripieno di splendide foto. Per meglio fruire dell’opera i due autori indicano sette percorsi per scoprire venti castelli del Giudicato di Torres. Ma sopratutto sette idee da sviluppare in una o più giornate che vi guideranno tra scenari naturali incontaminati, città dove si fondono antico e moderno e sentieri che furono teatri delle vicende personali dei grandi e piccoli nomi del Medioevo sardo” (Pag.23). I nomi dei giudici sardi si mischiano con quelli dei pisani Visconti, e dei genovesi Doria, dei Malaspina signori di Lunigiana (è lì che Dante, esule da Firenze anche si rifugiò e seppe tutto dei sardi “balentes” del periodo). Questi “latini” se ne venivano da noi in veste di conquistatori, erano tempi in cui dei semplici soldati normanni avrebbero fondato reami in Puglia e Sicilia, altri non meno strampalati sarebbero andati in “terra santa” a conquistarvi contrade e città. Con loro i giudici sardi combatterono fieramente, scambiarono patti nuziali che duravano il tempo (basso) della vita di un coniuge. Tradirono e formarono alleanze che si scioglievano con le nevi del Gennargentu a primavera. Nel libro di Mariella e Francesco sono raccontate anche molte di queste storie, una per tutte quella di Adelasia di Torres, andata sposa a dodici anni al figlio del potente pisano Lamberto Visconti, Ubaldo, che di anni ne aveva già tredici. Divenuta signora del giudicato alla morte del fratello Barisone III (assassinato e dato in pasto ai maiali). Mortole anche il marito, con cui nel palazzo di Ardara dovette giurare “fedeltà” al papa del tempo, più tardi si sposò quell’Enzo tedesco figlio seppur illegittimo d’imperatore, molto più giovane di lei, che rimase in Sardegna giusto il tempo per consumare gli sponsali e se ne tornò in continente a guerreggiare con le truppe imperiali, e finendo i suoi giorni a scrivere poesie in provenzale prigioniero in una torre di Bologna, ancora oggi conosciuta sotto il suo nome. Adelasia, da parte sua, invecchiò nel castello di Burgos. Del castello, dice il libro: stato di conservazione: presenza di strutture in elevato; stato di agibilità: di facile accesso: un picco isolato alle pendici del monte Rasu a 647 m. di altezza, a dominio della vallata del Tirso (pag.40). Dei due autori del libro, Francesco Ledda è storico dell’arte e lavora a Sassari, Mariella Cortés è giornalista e attualmente al “Sardegna Store” di piazza Diaz a Milano, dove la trovo a inventarsi “eventi” perché la gente meneghina se ne venga a visitare questo spazio che mette in mostra le eccellenze artistico-artigianali, nonché culinarie e vitivinicole, della Sardegna nostra. Mariella è di Desulo, in internet una delle sue numerose foto la vede col costume policromo del paese barbaricino, loro è il nuraghe costruito più in alto della Sardegna tutta, in località Ura ‘e Sole. E Montanaru si chiama il loro poeta più insigne, al secolo Antioco Casula. Nasce come giornalista televisiva (telegì a Sassari), mitiche le sue dirette dei “candelabri” che duravano anche sei ore: “ E la mattina presto, dovevi mettere in conto di fare colazione con le melanzane fritte e un bicchiere di vino nero”. Nonchè i suoi servizi sul fenomeno droga a Sassari: “Passavo le notti nelle farmacie di turno, aspettando quelli che venivano a chiedere il metadone”. E ancora a scandagliare il fenomeno prostituzione, a sentire la notte le ragazze che “facevano la vita”. Plurilaureata Mariella, la prima volta con una tesi sull’emigrazione sarda, poi con un’altra intitolata: ”Fiori di ciliegio e tulipani”, relatore Paolo Puddinu che non è, contrariamente a quello che il titolo sembra indicare, esperto di piante e fiori bensì il maggior conoscitore sardo di cultura giapponese. I tulipani rossi sono simboli dei ragazzi-suicidi che l’ayatollah Khomeini mandava a morire contro le mitragliatrici di Saddam Hussein, pei fiori di ciliegio tocca rimandare ai kamikaze giapponesi che si schiantavano coi loro apparecchi sulle portaerei statunitensi, e in loro memoria un ciliegio veniva piantato nel tempio degli eroi Yakusuni Jinja a Tokio. Per scriverne Mariella studia l’arabo e il giapponese, il sardo quello non l’ha dimenticato. Razza tosta questi Cortés, suo fratello Alberto (Si chiama così, perché “a sei anni mi sono innamorata di Alberto Angela”) riesce ad entrare “senza raccomandazioni” all’accademia militare di Modena (21° del suo corso): ora ha mutato lo spadino dei cadetti con la sciabola di sottotenente. I suoi genitori vengono da famiglie numerose, sei zii da una parte e sette dall’altra, con uno stuolo di zie desulesi tutte complottanti per trovarle un fidanzato. Che per ora non c’è, che Mariella se ne va più per biblioteche che per discoteche, ad inseguire cu
riosità infinite su cui vuole “documentarsi”: ci vorrebbe un’altra vita. Il suo editore sta aspettando che finisca di scrivere le interviste che ha fatto agli emigrati sardi: indimenticabile quella ad un sopravvissuto al disastro di  Marcinelle: “non potevo più scendere nella miniera perché sentivo le voci dei compagni morti”. Di Montanaru mi dice che ama “Bidest tue su mare?” (Boghes de Barbagia, ed. Ilisso): “… Non t’incantet o bella, su rumore/ De zittades festosas e galantes,/ Nè t’ingannet sos modos elegantes/ De  calchi bellu imbustu balladore/ … Tue de s’adde virde chi ses nada/ Ama sempre s’aera frisca e pura/ Ama sa paghe rustiga e beada/. La zia di Desulo non avrebbe saputo esortare meglio.

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